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Mebiobanca, dati di 2.035 società italiane medie e grandi: cresce fatturato, ma solo grazie a export

FIRSTonline

L’indagine condotta dall’Ufficio Studi di Mediobanca riguarda le sole attività italiane facenti capo a 2035 imprese (tra cui tutte quelle industriali con più di 500 addetti), al fine di valutare le ricadute domestiche di attività che presentano una sempre più rilevante quota (produttiva, reddituale e occupazionale) che si realizza all’estero con benefici che ricadono al di fuori del nostro Paese. Nel 2012 i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale hanno realizzato il 12% del proprio fatturato per il mercato italiano; l’88% per estero si è suddiviso tra esportazioni (23%) e “estero su estero” (65%). Rispetto al 2011 il fatturato complessivo è cresciuto del 6%, media tra la flessione del 13% del mercato domestico e la crescita del 10% della quota estera; le esportazioni sono cresciute del 2%, l’estero su estero del 13%. Questa indagine, quindi, esamina la porzione italiana dei grandi gruppi, ovvero il 12% del fatturato costituito dalle vendite italiane ed il 23% che viene esportato, tralasciando il 65% realizzato dagli insediamenti produttivi esteri.

In sintesi:

a. L’insieme delle 2035 imprese ha segnato nel 2012 un lieve aumento del fatturato (+1,1% sul 2011) che rappresenta una forte decelerazione dopo i due anni precedenti abbastanza effervescenti (+7,4% nel 2010, +8,5% nel 2011). La sequenza dell’ultimo quadriennio è la seguente: il grande crollo (-15,4% nel 2009), la ripresa (2010-2011), la frenata (2012). L’ultimo anno ha frustrato quella che appariva fino al 2011 una ragionevole speranza di recupero dei livelli di vendite del 2008: le 2035 imprese sono rimaste dello 0,2% sotto quella soglia.

b. Senza il traino del mercato estero il quadro sarebbe stato assai più fosco. Le vendite italiane sono tornate a flettere nel 2012 (-0,6%) e il grande scivolone del 2009 (-14,2%) non è più stato recuperato: la reazione del 2010 (+5,6%) e del 2011 (+4,6%) è stata troppo timida e nel 2012 il fatturato nazionale si fissa al 5,8% in meno sul 2008. Continua ad arrivare ossigeno dalle esportazioni, cadute tanto rovinosamente nel 2009 (-18,5%), quanto poi reattive nel 2010 (+12,2%) e nel 2011 (+18,4%). Anche il 2012 è stato di crescita (+4,9%), seppure meno entusiasmante, ma alla fine il bilancio del quadriennio è positivo: le esportazioni sono del 13,6% superiori al 2008. Mettendo insieme Italia ed estero, si arriva al fatturato totale invariato tra 2008 e 2012 di cui si è detto.

c. Per il quinto anno consecutivo l’occupazione è calata, nel 2012 (-0,9%) in maniera più evidente rispetto all’anno precedente quando era stato contenuto il taglio della forza lavoro al -0,2%. Rispetto al 2008, la riduzione degli organici ha raggiunto le 70mila unità, pari al 5,1% della consistenza iniziale. Nel 2012 il downsizing è stato più intenso nelle società pubbliche (-2,3%) che nelle private a controllo italiano (-0,3%); il terziario (-1,5%) ha tagliato più della manifattura (-1,1%);

d. Stagnano gli investimenti tecnici, in marginale aumento dello 0,9% nel 2012. Le 2035 imprese hanno realizzato nel 2012 investimenti del 22,7% inferiori rispetto 2003 (sette miliardi di euro in meno a moneta costante) e del 19,7% sul 2008 (sei miliardi in meno).

e. Dopo il 2009 sembra cambiare il rapporto tra volumi commerciali (vendite) e margini. Fino al 2009 le due grandezze si sono mosse in modo concordante. Dal 2009 alla ripresa dei volumi è corrisposta una caduta, o una minore crescita, dei margini industriali. Il fenomeno interessa in modo particolare l’industria energetica ma anche, con minore intensità, la manifattura (Grafico in calce a questa nota).

f. Nonostante la tenuta del fatturato, i margini industriali (Mon) delle 2035 imprese calano nel 2012 (-16,9%) e restano assai lontani dal pre-crisi del 2007 (-36,8%). Se valutati in rapporto al fatturato, i risultati intermedi del conto economico sono tutti ai minimi del decennio: il Mon è al 4,6% (7,8% nel 2007, 7% nel 2003), il risultato corrente è al 5,3% (8,2% nel 2007 e 6,7% nel 2003). Solo il risultato netto è in forte ripresa sul 2011, +46,6%, grazie a due fattori concomitanti: il miglioramento del saldo finanziario sostenuto da maggiori dividendi (sono quelli percepiti a valere sull’esercizio 2011) e soprattutto la riduzione degli oneri straordinari, dimezzatisi per il venire meno di gran parte delle svalutazioni occorse nel 2011, assieme a maggiori plusvalenze da realizzo.

g. A livello settoriale, il 2012 ha portato l’avanzamento del fatturato industriale (+1,7%) e l’arretramento del terziario (-1,2%). Dentro l’industria sono però cresciute solo le vendite dell’energetico (petrolio ed elettricità), con un +8,7% sul 2011; mentre hanno ridotto il fatturato il settore delle costruzioni e grandi opere (-2,6%) e la manifattura (-2,1%). Fatte pari a 100 le vendite pre-crisi (2008), ecco le posizioni a fine 2012: industria 99,2; energia 108,1; costruzioni 107,9;
manifattura 94,1. L’andamento delle imprese di costruzione è stato sostenuto dalle commesse estere (+62,7% l’export dal 2007). Il quadro dei margini è nell’insieme fosco: l’industria riduce il Mon nel 2012 del 19,8%, l’energia riesce a fare peggio (nonostante la dinamica commerciale positiva) e ripiega del 27,9%, la manifattura del 14,3% e le costruzioni del 24,6. Fissati a 100 i margini del 2007, i livelli del 2012 sono assai deludenti: industria 50,4; energia 42,4; manifattura 54,4. La sola nota positiva viene dal settore delle costruzioni (ben posizionato, come visto, anche nelle vendite) con un numero indice sul 2007 pari a 110,2. Nel terziario la flessione del Mon è del 13,4%, con la distribuzione al dettaglio che in un solo anno ha perduto quasi un quarto dei margini (-23,5%).

h. Dentro la manifattura, che è in calo nelle vendite sul 2008, del 5,9% e nei margini del 45,6%, non mancano le note positive (o meno negative). Circa le vendite, sempre rispetto al 2008, gli unici comparti in positivo sono l’alimentare e bevande (+7,3%) e la chimica-fibre-gomma (+3,6%); i grandi gruppi manifatturieri riescono a fare peggio (-7,7%) di tutte le altre fasce dimensionali (imprese medio-grandi -6,8%, medie imprese -1,6%; la somma dei due, il quarto capitalismo, fa – 5,1%) e della manifattura nel suo insieme (il -5,9% già richiamato). I settori che incrementano le vendite lo fanno crescendo all’estero, ma anche proteggendosi sul mercato nazionale: l’alimentarebevande cresce del 23,2% nell’export sul 2008 (+1,2% la manifattura nel suo insieme), ma tiene anche in Italia (+3,9%, -11,2% la manifattura); il chimico-fibre-gomma cresce del 12,9% all’estero e contiene la flessione domestica (-1,5%). Le medie imprese flettono in Italia (-5%), ma vanno bene all’estero (+5%), facendo assai meglio dei grandi gruppi (-17,8% in casa, +1,3% fuori). L’alimentarebevande è il solo comparto ad avere realizzato nel 2012 margini industriali superiori al 2007 (+31,2%). La grande impresa ha margini operativi sistematicamente negativi, la media impresa è del 32% sotto i margini del 2007, meglio ancora hanno fatto le produzioni del made in Italy che contengono il ritardo al 22,5%.

i. Rispetto al 2003, le imprese manifatturiere hanno segnato un aumento del 20,3% (2,1% medio annuo) del valore della produzione per addetto che si confronta con una crescita del costo del lavoro del 24,7% (2,5% medio annuo), originando una perdita di competitività di 4,4 punti. Contestualmente l’occupazione è caduta del 7,3%. Dal 2008 per quattro anni su cinque si sono avuti scarti negativi tra l’incremento del valore della produzione e quello dei salari: la crescita del valore prodotto da ogni addetto è stata quindi insufficiente a compensare il maggiore costo per la forza lavoro sostenuto dalle imprese. Mostrano guadagni di competitività solo il meccanico ed elettronico (+1,5 punti), ma grazie alle produzioni che non riguardano i mezzi di trasporto (+4,9 punti), e la metallurgia beneficiata dall’importante crescita dei prezzi legati alle materie di riferimento (+4,3 punti). Tra i settori maggiormente in sofferenza: l’editoria e stampa che dal 2003 perde 26 punti di competitività, i beni per la persona e la casa che perdono 17 punti (ma a causa dei settori legati al residenziale, ossia i prodotti per l’edilizia ed i mobili) e la meccanica che opera nei mezzi di trasporto. Qui la perdita (quasi 10 punti) è avvenuta in presenza di aumenti salariali pari a meno della metà della manifattura (+11,6% contro +24,7%) ma ciononostante esorbitanti data l’esigua crescita del valore delle produzioni per addetto (solo +1,8%). Quanto al 2012, il valore della produzione manifatturiera per addetto è caduto del 3,1% sul 2011. Il costo del lavoro per addetto è calato dello 0,2% (è la seconda volta dal 2003, dopo il 2009), producendo una perdita di competitività pari a 2,9 punti. E ciò nonostante l’ulteriore caduta dell’occupazione (-0,9%). Nel 2012 si segnala la crisi profonda della stampa editoria (15,5 punti la perdita di competitività) e la difficoltà della metallurgia non più sostenuta da una dinamica favorevole dei prezzi. Guadagnano competitività l’alimentare (puntellato dalla crescita dei prezzi delle proprie produzioni) e la meccanica dei mezzi di trasporto il cui recupero di competitività (+2,1 punti) è avvenuto integralmente grazie alla forte caduta del costo del lavoro (-5,8%) che è stata superiore a quella della produzione pro capite (-3,7%).

j. La struttura finanziaria delle 2035 società si è indebolita nel 2012. Il rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri è cresciuto dal 95% del 2011 al 99,1% del 2012; era pari al 78,6% nel 2003. Le imprese pubbliche, che nel 2003 vantavano un rapporto assai ridotto pari al 37,3%, si sono portate nel 2012 all’89% (anche qui in aumento dall’80,9% del 2011); le private sono nel 2012 al 106,1%, dal 104.5% del 2011. Assai più virtuose, anche sotto questo profilo, le medie imprese, con un rapporto nel 2012 pari all’85,1%, in riduzione dal 91,7% del 2011.

k. La struttura del debito finanziario delle 2035 imprese ha subìto una profonda modificazione dal 2003. Ne ha risentito la composizione per scadenza, con la quota a breve termine che è caduta dal 46% del 2003 al 37% del 2012. I rapporti di finanziamento intrattenuti con società consociate hanno tenuto il passo del maggiore indebitamento finanziario, ragguagliandosi a fine 2012 al 35% del totale, in linea con i valori di inizio periodo. E’ invece cresciuta dal 12% al 23% la parte costituita da raccolta obbligazionaria, con contestuale riduzione dei finanziamenti erogati da altri finanziatori, calati dal 54% al 42% del totale. All’interno di quest’ultima categoria la parte preponderante è rappresentata da credito bancario che, nell’arco del decennio, ha visto cadere la propria rilevanza dal 48,4% al 33% della provvista finanziaria complessiva. In termini assoluti le erogazioni degli istituti di credito sono cresciute di 11,1 miliardi, ovvero dell’11,1% sul 2003, ma esse avrebbero dovuto essere di oltre 50 miliardi di euro superiori per mantenere invariato il peso bancario sul debito finanziario complessivo. Nel solo 2012 l’esposizione verso le banche si è ridotta per 6,3 miliardi, la terza contrazione dal 2009, intervallata dalla parziale ripresa del 2011. Negli ultimi quattro anni i debiti bancari si sono ridotti per circa 15 miliardi, saldo tra i 5,6 miliardi di maggiori affidamenti a breve e la caduta pari a 20,6 miliardi di quelli a lungo termine. I minori affidamenti hanno toccato le imprese pubbliche per 10,4 miliardi, quelle private per 4,6 miliardi. La caduta delle erogazioni a medio lungo termine è stata più che compensata dall’aumento delle emissioni obbligazionarie, cresciute tra 2008 e 2012 di 28,9 miliardi. Si segnala che nel 2012 i debiti finanziari verso consociate (118,8 miliardi) hanno superato quelli verso il sistema bancario (111,3 miliardi), anche per effetto di finanziamenti erogati da finanziarie estere che operano raccolta sui mercati internazionali per le esigenze del gruppo. Le disponibilità infine sono cresciute nel 2012 dal 12% al 17% dei debiti finanziari.

l. Le medie imprese si confermano il segmento più sano del nostro tessuto manifatturiero, pur nella gravità del contesto e relativamente ai gruppi maggiori. Hanno realizzato tra il 2003 ed il 2012 un valore aggiunto superiore del 14% a quello della manifattura, del 20% a quello delle grandi industrie manifatturiere e in linea con quello del made in Italy e comunque sopra di esso del 4%.

m. La manifattura ha mediamente reso nell’ultimo quadriennio quanto un investimento in titoli di stato, ovvero il 3,6%. Questo è avvenuto grazie all’andamento delle imprese del quarto capitalismo (roe medio del 4,8%) ed in particolare delle medie imprese (roe al 5,6%) e del made in Italy (7,1%), mentre le attività italiane della grande industria hanno mediamente segnato perdite nette (-0,6% il roe del quadriennio).

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Allegati: Dati cumulativi di 2035 societ� italiane X Giornalisti (1).pdf

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