Per Acciaierie d’Italia, il 2023 che potrebbe essere l’anno della svolta: l’ex Ilva inizia l’anno con 750 milioni di denaro fresco che offre ossigeno all’azienda alle prese con scarsezza di circolante e debiti verso Eni e Snam. Intanto verrà completato il piano ambientale e a quel punto la magistratura potrà dissequestrare gli impianti. Così che la più grande acciaieria d’Europa potrà tornare a produrre in condizioni di normalità. L’azienda tornerà “a finanziare il circolante con strumenti di mercato, come fanno tutte le aziende del mondo senza essere costretta a pagare in contanti le forniture, andando evidentemente in difficoltà” spiega il presidente Franco Bernabè in una dettagliata intervista al Corriere della Sera di oggi.
L’ossigeno dei finanziamenti. A che cosa servono e quanto dureranno
I 750 milioni di denaro fresco derivano da un finanziamento da 680 milioni dello stesso governo, ai quali si aggiungono 70 milioni di ArcelorMittal come previsto dai patti appena rinnovati dai soci pubblico e privato. Ci si chiede se tale ammontare basterà all’ex-Ilva e per quanto tempo.
“Va fatto un chiarimento sulla situazione finanziaria: Acciaierie d’Italia non ha debiti finanziari, ma debiti nei confronti dei fornitori bilanciati da crediti nei confronti dei clienti e le materie prime le paga in contanti. Un equilibrio che ha retto fino a quando nel 2022 sono esplosi i prezzi dell’energia, dilatando enormemente i costi per l’azienda. Anche perché AdI è il più grande consumatore di energia d’Italia, utilizzando quasi il 2% del totale del fabbisogno energetico italiano” ha detto Bernabè al Corriere.
Quindi, afferma ancora il manager, i finanziamenti serviranno da una parte a sostenere i notevoli rincari della bolletta energetica (considerando che la sola bolletta del gas è passata da 10-20 milioni al mese a 100 milioni con punte di 150). Ma soprattutto, pagati i debiti con i fornitori di energia, nel corso del 2023 la situazione si normalizzerà se verranno dissequestrati gli impianti e a quel punto la società potrebbe tornare ad essere bancabile, cioè potrà tornare a chiedere finanziamenti alle banche.
“Acciaierie d’Italia non può finanziare il circolante come fanno tutte le aziende del mondo e deve pagare in contanti le forniture. E così, all’atto dell’ordine può sostenere l’acquisto delle materie prime solo se ha la cassa disponibile” dice Bernabè.
Il nodo cruciale del dissequestro: quando e come ?
Come in un percorso a tappe, i target dell’ex-Ilva sono tutti concatenati: normalizzati i rapporti con i fornitori di energia, la società potrà ultimare il suo piano ambientale e a quel punto ci potrà essere il dissequestro degli impianti e l’ex-Ilva potrà tornare a funzionare.
“Il piano ambientale sarà completato a metà 2023. A quel punto spetterà ai commissari fare istanza al tribunale per il dissequestro che, se concesso, risolverà gran parte dei problemi dell’ex Ilva: potrà finanziarsi sul mercato e tornare a produrre più acciaio, potrà attrarre investitori, tornerà a essere la più grande acciaieria d’Europa”.
Si potrà aumentare la produzione. Compatibilmente con i vincoli economici e ambientali
L’obiettivo dunque è un aumento della produzione dopo i 3 milioni di tonnellate di acciaio del 2022 e i 4,4 del 2021. Di quanto potrà essere aumentata “dipende dalle condizioni di mercato e dall’accesso alle risorse finanziarie. Ma ovviamente l’obiettivo dell’azienda è aumentare la produzione compatibilmente con i vincoli economici e ambientali” dice il presidente. Anche la premier Giorgia Meloni è sensibile al tema perchè una maggiore produzione potrebbe portare a una riduzione della cassa integrazione che oggi interessa 3.000 persone.
L’aumento di capitale in relazione al dissequestro. Le novità delle norme del governo
Ci si domanda se l’aumento di capitale per portare Invitalia al 60% va fatto subito e se si possa fare anche con il sequestro degli impianti. “La norma varata dal governo consente di erogare fondi senza il dissequestro degli impianti, anche con un aumento di capitale. È una delle novità della misura. L’altra è che dà una grande flessibilità all’azionista pubblico che può intervenire come e quando ritiene più opportuno. A questo punto, mi creda, il problema non è più delle risorse: per il piano industriale ce ne sono a sufficienza”.
Il peso delle tutele penali introdotte nella norma del governo
Le tutele penali introdotte dalla norma del governo, non rappresentano “né uno scudo né tutele particolari. Ma solo della riaffermazione di un principio ovvio, che la responsabilità penale è personale e quindi non può esserci per reati commessi da altri se qualcuno applica fedelmente la legge. È un principio di buon senso”.
Il piano industriale e le risorse per attuarlo
“Per il piano di riconversione di Taranto sono disponibili 2,750 miliardi: i 750 milioni di finanziamento degli azionisti a cui si aggiungono il miliardo del Decreto Aiuti bis e quello previsto nel Pnrr, destinato a Invitalia per sviluppare la società del Dri, il pre ridotto di ferro” dice Bernabè. “Tutte risorse di cui beneficerà soprattutto Taranto che ha una cultura industriale che va preservata e fatta crescere in funzione dello sviluppo della tecnologia verde con l’idrogeno e le rinnovabili. I soldi per la conversione di Taranto ci sono e tutto quello che provoca ritardo crea notevole danno”.
Le trattative: un accordo è possibile, si era trovato anche per la chimica. Il 19 gennaio un tavolo chiave
Acciaierie d’Italia si ritrova tra due fuochi: i sindacati che chiedono più lavoro, gli enti locali – dal presidente della Regione Michele Emiliano al sindaco di Taranto Rinaldo Melucci – che chiedono più vincoli ambientali. Un sentiero stretto che rischia di bloccare l’avanzamento dei piani di industriali e in definitiva, dello sviluppo.
“Io credo che tutti abbiano a cuore lo sviluppo, l’occupazione e la salute”, risponde al Corriere Franco Bernabè. “Non c’è differenza tra azienda, sindacati e amministrazioni sugli obiettivi finali da realizzare. Ricordo che la grande trasformazione dell’industria chimica, che io ho gestito da Ad dell’Eni, poneva problemi più importanti perché tantissimi erano i poli industriali coinvolti. Eppure fu fatta in totale accordo con i sindacati e le amministrazioni locali. Perché non dobbiamo riuscirci anche a Taranto? Bisogna mettersi attorno al tavolo e trovare un accordo: noi a quello convocato per il 19 gennaio dal ministro delle Imprese Adolfo Urso ci saremo. Insieme la soluzione può essere trovata. A meno che veramente non si voglia far chiudere lo stabilimento. Ma questo, sia chiaro, non è l’intendimento dello Stato”.