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Stop alla decontribuzione e lavoro part time contro il Sud. La sinistra va al contrattacco

Gli sgravi fiscali al Sud hanno aiutato le imprese dopo la pandemia. E’ salita però la quota di lavoratrici e lavoratori part-time involontari

Stop alla decontribuzione e lavoro part time contro il Sud. La sinistra va al contrattacco

Ci sono notizie che in una campagna elettorale deflagrano senza distinguere vittime e giustiziere. Quella di questa settimana sulla decontribuzione per i lavoratori del Sud è una di queste. Mezza Italia è sul piede di guerra dopo che il ministro Raffaele Fitto ha detto ai sindacati che lo sgravio fiscale da luglio non sarà rinnovato. Saranno tagliati 3.3 miliardi di euro per 3 milioni di dipendenti, secondo questa progressività: 20% per il 2026 e 2027, 10% nel biennio 2028-2029.

Fitto ha cercato di smentire, tuttavia poteva evitare di allarmare ulteriormente sindacati e industriali che al Sud già combattono la battaglia contro l’autonomia differenziata. L’Istat diceche a marzo ci sono stati 70 mila occupati in più rispetto a febbraio. Tra loro 15 mila sono dipendenti gli altri lavoratori autonomi. È ossigeno per Meloni e i suoi. Eppure il Sud arranca.

Le piccole industrie hanno trovato nella decontribuzione il sistema per riprendersi dopo il black out della pandemia. Il sistema economico diffuso di micro imprese impegnate, in energia, edilizia, semilavorati, servizi, turismo sostenibile potrebbero diminuire le produzioni. Secondo i sindacati ci sarebbero conseguenze sul piano nazionale. Tra il 2021 e il 2023 gli sgravi fiscali hanno consentito l’assunzione di oltre 3 milioni di lavoratori in tutti i settori che ora rischiano di rallentare il cammino.

Per la Sinistra è un governo contro il Sud

Il governo è dichiaratamente contro il Sud, dice la sinistra che aveva varato il provvedimento e che , obiettivamente, ha avuto da Fitto uno straordinario assist per la campagna elettorale. Non sarà facile ai leader del centrodestra candidati nel Sud e nelle Isole – a partire da Giorgia Meloni– spiegare le ragioni di un provvedimento che sarebbe dovuto andare avanti fino al 2029. In più sul numero degli occupati al Sud nel 2023 si è fatta sentire anche la quota di lavoratori con contratto part-time. Milioni di persone con contratti a tempo, dichiaratamente involontari. Vuol dire che lavori 8 ore ma poi ti pago per 4 e sulle 4 ore pago contributi e assicurazione. Caro lavoratore, siamo d’accordo che quello che non emerge lo pago in nero.

Il divario con il centro nord

Siamo davanti a un altro divario con il Centro Nord di cui la sinistra finalmente ha preso atto. Al Sud i rapporti di lavoro part-time involontari sono il 75,% contro il 49,4% del resto del Paese. In altre parole non è più una scelta volontaria, ma un sistema iniquo che contraddice le ragioni di origine.

“È una delle cause delle gravi disuguaglianze che affliggono le società. È la perdita di potere negoziale del lavoro. In Italia ci sono troppe lavoratrici e troppi lavoratori che vivono il lavoro come un dono e non come un diritto costituzionalmente riconosciuto” spiegano al Forum Disuguaglianze e Diversità, fondato da Fabrizio Barca. Un gruppo di lavoro del Forum ha studiato il fenomeno e lunedì 6 maggio a Palazzo Zuccari a Roma alle 10 presenterà il report “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro”.

Il report è stato elaborato da un gruppo di lavoro composto da Giorgia Amato, Ricercatrice del Forum , Susanna Camusso, Senatrice del Pd, Daniela Luisi, Ricercatrice e membro dell’Assemblea del Forum, Matteo Luppi, Ricercatore INAPP, Federica Pintaldi, Dirigente di ricerca Istat e Silvia Vaccaro, Responsabile comunicazione del Forum Disuguaglianze e Diversità.

Part-time involontario: 2 milioni di lavoratori coinvolti

Il part-time involontario riguarda oltre 2 milioni di lavoratori e lavoratrici. Un paradosso che pesa su tutte le statistiche sull’occupazione, sbilanciato verso le donne che da questa forma di inquadramento lavorativo sono le più penalizzate. Tanto più se si pensa che il lavoro a orario ridotto è una delle strade a cui si guarda per consentire che la riduzione dei tempi di lavoro si trasformi in un riequilibrio fra tempi di vita e tempi di lavoro. È evidente che le Regioni più depresse sono quelle più a “buon mercato” per operazioni audaci, sia sotto il profilo politico che industriale. E c’è davvero poco di lagnoso da parte dei meridionali.

La discussione sulla ricerca lunedì si annuncia interessante con la partecipazione di Pierangelo Albini, Responsabile Lavoro e welfare di Confindustria, Chiara Davoli, Sociologa, Fabrizio Russo, Segretario generale Filcams e Annamaria Simonazzi, Presidente della Fondazione G. Brodolini. Nel report ci sono proposte di cui le parti sane e trasparenti dell’economia possono farsi carico. Il governo, se vuole, ha le leve per sanare disuguaglianze, ma non si aspetti denunce formali verso chi assume in modo improprio e sfritta il lavoro, perché il bisogno di lavoro non cala.

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