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Ex Ilva: piano industriale bocciato dai sindacati, si cercano nuovi acquirenti. Ambiente sempre in primo piano

Il 1 maggio a Taranto è stato un giorno mesto per la difficile situazione dell’ex Ilva. Il piano del governo non piace ai lavoratori ma allo stato sembra l’unico a garantire soldi dall’Ue. Le ipotesi di vendita

Ex Ilva: piano industriale bocciato dai sindacati, si cercano nuovi acquirenti. Ambiente sempre in primo piano

Il vento come metafora di un pericolo ambientale provocato dalle polveri sottili dell’ex Ilva. L’attore Michele Riondino dal palco del 1 maggio a Taranto si è prima scusato per aver postato sui social una brutta foto del presidente del Senato Ignazio La Russa, subito dopo ha ricordato i pericoli per la salute al quartiere Tamburi, quello dove c’è l’acciaieria.

La festa del lavoro è stata malinconica per i tarantini che vedono il destino della fabbrica sempre più cupo. Ancora una volta. Per il 1 maggio il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, organizzatore del concertone in città, aveva invitato a discutere dell’acciaieria tre ministri, i segretari di Pd, M5S, Verdi, Sinistra Italiana, i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Usb, ma non se n’è fatto nulla. Tutti hanno declinato l’invito. “Si sono sottratti al confronto. Evidentemente la vertenza Taranto non è fra le priorità della politica e dei sindacati” è il commento del Comitato. Tre giorni prima il Ministro dell’Industria Adolfo Urso insieme ai Commissari ha presentato ai sindacati un nuovo piano industriale dopo l’uscita di Arcelor Mittal. Il coro unanime è lo stesso: salvare lo stabilimento.

Un piano per l’Europa

Produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio entro il 2026, due formi elettrici nel 2025, 150 milioni di euro in favore di Acciaierie per l’Italia, 320 milioni come prestito ponte della Commissione Ue. Una buona cosa? I sindacati lo hanno bocciato subito. “Avevamo chiesto noi l’incontro al governo, volevamo un aggiornamento a due mesi dall’insediamento dell’amministrazione straordinaria. Ci siamo trovati di fronte a una bozza che tutto aveva tranne che le caratteristiche di un piano industriale” dice Rocco Palombella segretario della Uil.

Produrre acciaio con i forni elettrici, come si fa in altre parti del mondo, sarebbe una soluzione vantaggiosa per l’ambiente. Ma quei forni comportano una riduzione di personale, dicono i sindacati di base. Secondo le loro stime ci sarebbero 4500 posti di lavoro in meno con le nuove tecnologie. C’è, allora, chi pensa che per Taranto non sia il caso di essere troppo green. Attenzione, però, a non dirlo ad alta voce. Intanto nello stabilimento fino al 2030 dovrebbe funzionare almeno un altoforno, l’Afo 4, alimentato a carbone. Altri due sono stati fermati nei mesi scorsi per manutenzione.

Il primo maggio è stata, dunque, una festa mesta. I commissari straordinari Giancarlo Quaranta, Giovanni Fiori, Davide Tabarelli che nulla hanno a che vedere con il disastro industriale più evidente d’Italia, sono impegnati a sbrogliare una matassa arruffata, carica di debiti. Per giunta il Tribunale di Milano sta per dichiarare un nuovo stato di insolvenza di Acciaierie d’Italia. L’azienda è paurosamente in perdita, ha 1700 operai a cassa integrazione e qualora dovesse tornare alla normalità ci vogliono mille interventi di manutenzione.

A chi vendere lo stabilimento?

L’industria ha bisogno di acciaio e all’orizzonte come potenziali acquirenti per l’ex Ilva ci sono aziende del calibro di Arvedi, Steel Mont, Metinvest. Questi ultimi potrebbero essere avvantaggiati sotto vari profili. Loro rappresentanti nelle prossime settimane potrebbero visitare lo stabilimento e prospettare così una ripartenza che nessuno oggi sa immaginare. Sarebbe l’ennesimo punto e a capo dopo i miliardi pubblici finiti anch’essi nelle fornaci tarantine.

Nel frattempo prima di vedere altri piani di industriali c’è quello del 2018 firmato da tutti e che deve essere applicato, dicono Cgil, Cisl, Uil. Torniamo allora al piano presentato dal ministro Urso che almeno per questa settimana è l’unica carta messa sul tavolo. “Se l’ispirazione del piano è presentarla all’Ue per ricevere il via libera al finanziamento ponte è una cosa che devono fare loro e di cui devono prendersi la responsabilità” è l’opinione di Palombella. Certo l’Ue concede prestiti sulla base di piani credibili. Taranto potrebbe tornare a produrre anche 10 milioni di acciaio, tanto la domanda mondiale è buona. Il punto critico industriale e ambientale si risolve solo con impianti efficienti, in regola con le normative come vogliono i cittadini di Taranto. Versione più nobile di “ci vogliono soldi”. Su tutta la vicenda c’è, infine, la cappa delle elezioni europee dove vedremo sventolare alta, in mano a tutti i candidati la bandiera del risanamento dell’acciaieria. Voti ? Certamente, chiesti a migliaia da aspiranti europeisti, talvolta senza un’idea concreta di cosa fare.

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