Il suo nome deriva da quella forma un po’ curiosa che ricorda molto i vecchi copricapo dei preti di campagna: è la zucca Berrettina detta anche “Capé da prèvi” che in dialetto locale significa cappello da preti. Un tempo, ma la memoria si perde nei ricordi, era molto apprezzata nelle campagne di Lungavilla, l’ex Calcababbio, toponimo nato probabilmente da un soprannome, derivante dal verbo calcare e dal termine dialettale babi che significa “rospo”, animale molto diffuso nella zona e che figura, per l’appunto, schiacciato da un piede, anche nello stemma comunale della cittadina. Siamo nella zona dell’Oltrepò pavese, zona agricola per eccellenza, e di trascorse povertà. Le zucche rappresentavano per le popolazioni di queste parti una sicura risposta al fabbisogno alimentare nell’autunno e nei primi mesi dell’inverno. In particolare la Berrettina, molto gustosa e versatile in cucina, con buccia di un colore che dal verde salvia tende al grigiastro, dalla polpa dolce, saporita e farinosa che si conserva a lungo in inverno, era preferita alle altre, comer si evince da un detto popolare: ”S’la gh’ha no al capè, a l’è no bòna” che, tradotto, significa “se non ha il cappello non è buona”
Nel 2006 un cercatore di tartufi vide una zucca strana
Ma, come spesso accade in agricoltura, questo piccolo e glorioso ortaggio rustico non poteva certo competere, nel tempo, con tutte le cultivar di zucche che noi siamo abituati a vedere nei negozi di ortofrutta, dalle grandi dimensioni. Le campagne di Lungavilla sono state così invase dalla zucca Marina di Chioggia, dall’aspetto bitorzoluto, di grandi dimensioni o dalla Zucca tonda padana, nota come zucca americana, che per i contadini garantivano una maggior resa economica. La stessa industria alimentare aveva rinunciato alla lavorazione della Berrettina perché si registrava un eccessivo scarto nella lavorazione e conseguentemente era meno remunerativa. Ed è così che per la Berrettina è iniziato un lungo ma progressivo declino fino alla sua definitiva scomparsa dai mercati, alla faccia della biodiversità che purtroppo continua a cedere il passo di fronte alle esigenze del profitto.
Della umile zucca berrettina si era perso ogni ricordo fino a che, nel 2006, 13 anni fa, un cacciatore di tartufi, il signor Emilio Manelli aggirandosi per le campagne di Lungavilla, costeggiando un orto, vide spuntare davanti ai suoi occhi un ortaggio dalla strada forma di cui aveva sentito parlare dai vecchi del paese. Manelli si informò con il proprietario del terreno, Ernesto Valdata che gli confidò una bella storia: i semi di quella zucca gli erano stati consegnati dal padre che a sua volta li aveva ricevuti dal nonno. Lui li aveva messi in terra per una sorta di debito morale che aveva verso questo patrimonio verde tramandato di padre in figlio come un tesoro di famiglia. Bastò parlare con qualche vecchio del paese per scoprire che quelle zucche erano gli ultimi esemplari “rimasti in vita” di quella zucca Berrettina che era stata data per morta da decenni. Qui scattò subito un orgoglio di campanile: Valdata e Manelli investirono del fatto il comune di Lungavilla. Ma non si fermarono qui perché, a questo punto, si formò una specie di esercito di volontari nel quale entrarono a far parte agricoltori, amministratori locali, addetti alla biblioteca comunale e tutti insieme si rivolsero all’Istituto Statale Agrario Antonio Zanelli di Reggio Emilia, Istituto specializzato nello studio, nella ricerca e nella conservazione di varietà di zucche tipiche della pianura padana per costruire un percorso di ricerca della originalità dei semi ereditati da Valdata. Venne coinvolto anche l’Ente Nazionale sementi elette di Tavazzano che oggi è Centro di sperimentazione e certificazione delle sementi per avviare una rigorosa indagine genetica. E sì, perché il problema, a questo punto, era di sapere se quella zucca, che era retaggio di antiche coltivazioni della zona, nel tempo si fosse “Imbastardita” per impollinazione, per ibridazioni, subendo conseguentemente modificazioni genetiche.
A Lungavilla volevano essere sicuri che quella zucca fosse corrispondente al ceppo originario di cui parlavano i vecchi del paese, per averne sentito parlare dai propri genitori o dai nonni. Ed è così che nel 2008 venne avviato un progetto di analisi genetiche che hanno fornito elementi di supporto utile per lo screening iniziale del materiale a disposizione e contemporaneamente vennero avviate le prime coltivazioni sperimentali.
Le analisi genetiche confermarono: era il capppello da prete
Il responso delle analisi genetiche e morfologiche non lasciò adito a dubbi: quella trovata nel terreno di Valdata era la vera e originale Zucca Berrettina e si era preservata miracolosamente nel tempo nella sua purezza. La biodiversità questa volta aveva vinto.
Si creò un comitato, oggi presieduto da Manelli, per la promozione della zucca Berrettina. Il comune concesse il marchio De.Co. l’attestazione che lega in modo anagrafico un prodotto al suo luogo storico di origine, cosa che ha comportato un rigoroso disciplinare che stabilisce tutti i protocolli per la sua coltivazione sia per quanto riguarda l’area geografica, che ha l’epicentro a Lungavilla ma che abbraccia anche i comuni di Castelletto di Branduzzo Pizzale Verretto e Montebello della Battaglia sia per quanto riguarda l’impegno a osservare rigorosamente la fase di coltivazione perché eventuali ibridazioni non compromettano il lavoro di recupero.
Oggi i produttori certificati sono quattro: Giampaolo Campanini (tel. 3343556661), Luigi Chiossa (3385802480), Riccardo Lodigiani (3476478259) e Matteo Vidali (tel. 038385204). E la zucca Berrettina, le cui proprietà gastronomiche ne fanno un piacevole e versatile protagonista della cucina, dai semi tostati ai ravioli agli gnocchi passando per il tradizionale nusat, che ha origini storiche, medievali a Lungavilla, per finire con le torte e le marmellate, è tornata a essere la regina della gastronomia del paese.
Alla Berrettina è dedicata la “festa di succ” che propone la Berrettina in tutti i modi ma organizza anche convegni, worshop e iniziative per diffondere la conoscenza della qualità di questa zucca particolare. Una curiosità: ogni anno una processione attraversa il centro della cittadina e lungo tutto il percorso della processione i cittadini rendono omaggio al Santo piazzando davanti a loro porta d’ingresso le zucche Capé da prèvi.
Un ringraziamento al cielo per aver ritrovato un prodotto che raccoglie la storia della vecchia Calcabbio.