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Wimbledon: per parlare di tennis, “prima di tutto si è cronisti”

“Noi prima di tutto si è cronisti”. Così il mio amico e vicedirettore al “Sole 24 ore”, Aldo Carboni da Scansano (Grosseto), usava dire quando si discettava del senso della professione giornalistica. E queste parole (a prima vista un po’retoriche) mi sono venute in mente sfogliando “Wimbledon. Sessant’anni di storia del più importante torneo del mondo”, l’ultima fatica consegnata alle stampe dallo “Scriba”, al secolo Gianni Clerici e uscito in questi giorni per Mondadori. Questo per almeno tre motivi: prima di tutto perché Aldo è ancora un ottimo tennista, che continua a cimentarsi nei tornei over 65, non con giornalisti in pensione, bensì con ex campioni e maestri di tennis tutt’ora in attività; poi perché sono molti i match di Wimbledon che abbiamo visto insieme nella sua stanza in redazione, fruendo delle straordinarie telecronache di Rino Tommasi e del dottor Divago (lo stesso Clerici) secondo la definizione del suo “socio” in trasmissione. E infine perché il libro del quale parliamo poteva scriverlo soltanto un grande cronista, che ha poi anche il dono e la grazia della scrittura.

Non credo sia un caso che Clerici abbia fatto precedere i capitoli dedicati agli Winbledon di ciascun anno (dal 1953 in poi) dai tabellini dei risultati dai quarti di finale in poi. E’ un modo di ricordarci che “prima di tutto si è cronisti” e quindi le aride tabelle dei punti vengono prima dei commenti e delle pur brillanti divagazioni. E qui una divagazione vorrei farla io per lamentare il fatto che nei grandi giornali sportivi ormai non si mettono più (per il tennis ma non solo per il tennis) i risultati delle gare più importanti. Rimpiango i tempi nei quali sulla Gazzetta potevo conoscere, sin dal primo turno, i risultati dei campionati italiani di prima, seconda e terza categoria per non parlare degli juniores e degli allievi. Magari pubblicati in corpo 5, ma comunque leggibili con un po’ di buona volontà.

Devo poi ringraziare Clerici per avermi fatto quasi vedere una partita di Nicola Pietrangeli della quale ho spesso sentito parlare. E’ il quarto di finale di Wimbledon 1960 che Nicola vinse contro Mackay, un tipo che anche a quei tempi (di racchette di legno e accordature di budello) serviva a 200 all’ora. “Quando si è in svantaggio per un’ora, si hanno contro sette set-ball, errori di arbitraggio, e un Mackay inferocito da un gioco irridente, quando si è mal cominciato e si rimonta da 2-5 a 6-5 per poi farsi raggiungere, e rimanere in svantaggio fino al 14-13, quando accade tutto ciò, e si vince al primo set ball, sempre lottando, senza un cedimento, un secondo di debolezza: bene allora si è un grande campione”. Così Clerici. E io che Pietrangeli l’ho visto giocare, che in qualche torneo gli ho anche fatto da giudice di linea e di sedia, lo vedo il Nicola irridente, che con il suo lungolinea di rovescia passa l’omone che gli ha servito a quasi 200 all’ora e poi è sceso a rete. Ma il di più è che quel pezzo (per il Giorno?) Clerici lo stava trasmettendo a braccio ai dimafonisti. A partita ancora in corso. Da grande cronista. E qui sarei io ad essere pessimo cronista se non riportassi che quel match Nicola (testa di serie numero 5) lo vinse su Mackay (testa di serie numero 2) per 16-14 6-2 3-6 6-4. In semifinale Pietrangeli fu sconfitto da Laver (testa di serie numero 3) per 4-6 -6-3 8-10 6-2 6-4. Insomma quell’anno davvero Nicola avrebbe potuto vincere Wimbledon.

Mi accorgo che ancora una volta il protagonista della storia del nostro tennis, sull’erba come sulla terra battuta, torna ad essere Pietrangeli. Nella cronaca come nelle statistiche, come nella letteratura. Non è in fondo Nicola anche il protagonista del romanzo di Clerici “I gesti bianchi”? Ed è qui io credo che il lavoro scrupoloso e attento del cronista (scriba) si salda con quello della sensibilità letteraria (Clerici) dell’autore, non soltanto de “I gesti bianchi”, ma anche di “Fuori rosa”, un romanzo che un Clerici giovane dedicò a l mondo del calcio e che ho avuto la ventura di leggere quando ero ragazzo. Me ne ricordò ancora (bella anche la prefazione di Gianni Brera) e questo è un buon segno. Infine scorrendo il libro mi sono particolarmente piaciute le righe dedicate a Jana Novotna, la grande perdente che però un Wimbledon lo vinse. Perdeva perché come uno dei protagonisti dei “gesti bianchi” non sapeva giocare come si deve i punti più importanti (quelli attorno al 4 pari). E qui mi permetto un suggerimento al Clerici fine letterato. Non potrebbe essere Jana la protagonista di un suo prossimo romanzo? Ora mi fermo perché rischio di identificarmi un po’ troppo con il dottor Divago. Prepariamoci invece a seguire le prossime due settimane di torneo sull’erba di Wimbledon. Io guarderò soprattutto il torneo femminile; con le racchette di oggi gli uomini tirano troppo forte.

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