Non c’è pace per la fabbrica Whirlpool di Napoli. L’azienda non arretra: dopo il rinvio deciso la settimana scorsa, a fine mese intende vendere lo stabilimento che produce lavatrici e dà lavoro a 430 persone. Si tratta di “una scelta unilaterale – ha detto martedì mattina il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, al termine di un incontro con i vertici italiani dell’azienda – Questa procedura può essere ritirata e ci può essere lo spazio per fare cose diverse. Per me è surreale che ci si sieda al tavolo con il Presidente del Consiglio avendo la stessa posizione di tre settimane fa al Mise”.
E ancora: “Se il problema è il prodotto che esce dallo stabilimento di Napoli, il governo propone di cambiare fascia di prodotto. Su questo c’è la massima disponibilità del governo: ci sono molti strumenti che si possono utilizzare. Ma dall’azienda non è arrivata alcuna apertura. L’unica soluzione prospettata è la cessione del ramo d’azienda sostanzialmente verso ignoti”.
In queste condizioni, “se l’azienda continua ad avere un atteggiamento di scelte unilaterali – ha aggiunto il ministro – anche il governo farà le sue scelte unilaterali. Siccome è evidente che questa è una crisi industriale che deve essere trattata dal governo, decideremo nelle prossime ore e giorni i passi. Ritengo sia giusto coinvolgere tutte le componenti del governo”.
Infine, Patuanelli ha definito quelli di Whirlpool “atteggiamenti predatori inaccettabili: c’è un piano industriale firmato a ottobre del 2018 che deve essere portato avanti nella sua interezza”.
Il portavoce dell’azienda ha precisato che i vertici non hanno “alcuna dichiarazione da rilasciare”.
Whirlpool “prende atto con grande rammarico della mancata disponibilità da parte del Governo a discutere il progetto di riconversione del sito – si legge in una nota della società – Tale progetto, come più volte sottolineato, rappresenterebbe l’unica soluzione in grado di garantire la salvaguardia occupazionale e la sostenibilità nel lungo periodo dello stabilimento di Napoli. Vista l’impossibilità di una discussione sul merito del progetto di riconversione e i mesi di incontri che non hanno portato ad alcun progresso nella negoziazione, l’azienda, come comunicato durante la riunione a Palazzo Chigi, si trova costretta a procedere alla cessazione dell’attività produttiva, con decorrenza dal primo novembre 2019”.