Gender neutral, welfare e tutela della genitorialità, formazione e tematiche affini: quanto tutto ciò è presente nelle aziende italiane? Il diversity management è realmente patrimonio del nostro sistema produttivo? Lo sviluppo di questi temi ha ormai una relazione con gli obiettivi Esg di sostenibilità. Del resto, chi studia la sostenibilità sociale questi argomenti li affronta per delineare un sistema meno disarticolato. È giusto, allora, porsi domande?
Diversity management, i risultati dell’indagine
Una fotografia della penetrazione delle policy di welfare la fornisce un’indagine dell’Università di Padova e della Società Fòrema, in Veneto. Novanta aziende su 630 interpellate (il 41% del settore metalmeccanico) hanno condiviso le loro pratiche di diversity management e risposto a un questionario sulla gestione delle risorse umane, del welfare e dell’equilibrio tra vita privata e lavoro. Come a dire che i capitali investiti non sono fini a se stessi, ma incidono sulle trasformazioni sociali e culturali. La ricerca veneta è stata condotta dal professor Claudio Riva dell’Università di Padova, insieme a Vittoria Benfatto, borsista di ricerca e Roberto Baldo di Fòrema. “Nel panorama delle aziende coinvolte nell’indagine, la diffusione del diversity management appare parcellizzata e limitata, nonostante non manchino aziende meritevoli che si distinguono dalle altre”, dice Claudio Riva. La tendenza generale a riconoscere modelli organizzativi più sostenibili c’è, ma gli sforzi devono andare ancora al centro.
Diversity management, le aziende senza procedure
L’indagine è stata condotta nell’ambito del progetto Siadom (Social innovation alliance for diversity management and innovation of organizational models) finanziato dalla Regione Veneto. I dati di base – non solo in Veneto, sia chiaro – sono i differenziali retributivi e contributivi che creano disarmonie tra dipendenti. Un dato macroscopico è il 70% delle aziende del campione che non fa uso di procedure di selezione gender neutral perché non sono ritenute utili. Il welfare per come lo conosciamo è il punto debole del sistema studiato, con il 61% delle aziende che non offre servizi di sostegno alla genitorialità. Le ricadute sulla vivibilità, sui consumi, sulla qualità urbana sono tutte dentro queste carenze. Le aziende si concentrano di più sui buoni pasto-spesa, i buoni benzina, le convenzioni medico-sanitarie. Il welfare offerto mostra una propensione a servizi integrativi di supporto al reddito, piuttosto che di supporto alla persona, dicono i ricercatori.
Ma ci sono passi da compiere anche sulla formazione. Le aziende temono di istruire i propri dipendenti? Quelle che si preoccupano di fornire strumenti di conoscenza sui temi del genere, della diversità e dell’inclusione sono una minoranza. “I persistenti divari di genere nelle organizzazioni in termini di bilanciamento generale e per mansioni, l’affidamento dei ruoli apicali e i differenziali retributivi e contributivi sono un aspetto critico per quanto riguarda il benessere lavorativo dei dipendenti e delle dipendenti e per la sostenibilità stessa delle aziende”, spiega Roberto Baldo, direttore del centro studi di Fòrema. Se ne conclude che il diversity management è un approccio di gestione delle risorse umane che sposta l’attenzione delle organizzazioni del lavoro verso quegli obiettivi Esg di cui si parla tutti i giorni. Una ricerca può aprire nuovi scenari.