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Welfare aziendale: cresce anche in Italia, bene le Pmi

Cresce il sostegno ai dipendenti da parte delle aziende italiane. Il 45% delle piccole e medie imprese è attivo in almeno 4 aree di welfare aziendale, mentre l’11% è molto attivo negli interventi in favore dei lavoratori, con iniziative in più di 6 ambiti fra previdenza e sanità integrativa, assicurazioni e sostegno economico a dipendenti e famiglie, tutela delle pari opportunità e sostegno ai genitori, conciliazione di lavoro ed esigenze familiari, formazione e sostegno alla mobilità, sicurezza e prevenzione, sostegno ai soggetti deboli, integrazione sociale e welfare allargato al territorio. E’ quanto emerge dal primo Rapporto nazionale sul Welfare nelle piccole e medie imprese, presentato martedì a Roma, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio e promosso da Generali Italia con la partecipazione di Confagricoltura e Confindustria.

La ricerca, realizzata dalla società specializzata Innovation Team, è stata condotta su 2.140 aziende dai 10 ai 250 dipendenti. Al centro dello studio è il Welfare Index PMI, l’indice che misura il livello di welfare aziendale nelle Pmi italiane, con l’obiettivo di diffondere la cultura del welfare nelle piccole e medie imprese, che rappresentano l’ossatura del sistema produttivo nazionale e occupano l’80% della forza lavoro del Paese.

Dall’analisi emerge che non ci sono sostanziali differenze tra il Nord e il Sud Italia. Il discrimine è piuttosto nelle dimensioni aziendali: le imprese più attive sono quelle con oltre 100 dipendenti. Il 64% delle Pmi ha intrapreso iniziative nell’area della formazione e del sostegno alla mobilità, assumendo un ruolo di sostegno alle politiche attive per l’occupazione, in particolar modo per i giovani. Il 35%, invece, ha potuto investire nel welfare risorse consistenti grazie ai vantaggi fiscali, peraltro aumentati dall’ultima Legge di Stabilità.

“Abbiamo dato un segnale con gli sgravi sul welfare aziendale: il decreto attuativo è pronto e arriverà rapidamente, siamo nella fase di concerto – ha detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti –. Credo sia una scelta giusta, che va resa strutturale nel tempo. La questione che abbiamo di fronte non è più nei termini conflitto-contratto. Oggi il lavoro è diverso: non è scambio di energia meccanica, ma fantasia, impegno, capacità creativa, voglia di fare e di essere. Dobbiamo sconfiggere le rendite e promuovere le opportunità. C’è tanta strada da fare e probabilmente la contrattazione non è lo strumento più adatto per affrontarla. Confondere il reddito con il lavoro è sbagliato: dobbiamo governare la transizione in atto, in cui il progresso tecnologico, molto più veloce di quello sociale, riduce i posti di lavoro. E’ questa la sfida che abbiamo davanti. Basta con i furbi, dobbiamo costruire insieme una società in cui tutti sappiano di avere una chance”.

Secondo Philippe Donnet, country manager e Ad di Generali Italia, “con il welfare aziendale vinco tutti. Vincono i dipendenti, che vedono aumentare il proprio reddito reale. Vincono gli imprenditori, che ottengono un ritorno per l’azienda in termini di produttività, di capacità di attrarre talenti e di benefici fiscali. Vincono le amministrazioni locali, che integrando welfare pubblico e privato vedono aumentare il benessere sociale. Ma vince anche l’Italia: le Pmi sono il vero motore dell’economia italiana e se vanno meglio loro va meglio il Paese. Noi operiamo per diffondere la cultura vincente del welfare aziendale, che contribuisce a far crescere le aziende, il territorio, le comunità e il Paese”.

Stando al rapporto, le Pmi possono essere classificate sulla base di cinque diversi approcci al welfare aziendale:

• “Vita e lavoro” (21% del totale), le imprese con rilevanti iniziative nelle aree della conciliazione vita e lavoro, del sostegno alle pari opportunità e ai genitori;

• “Inclusivi” (9,5%), le imprese più attive nelle aree della integrazione sociale e delle iniziative di welfare allargate al territorio;

• “People care” (10,8%), le imprese con iniziative concentrate soprattutto nelle aree della gestione delle risorse umane e dei fringe benefit;

• “Attuatori” (48%), aziende attive in diverse aree del welfare aziendale che però prevalentemente applicano quanto previsto dai contratti nazionali di categoria;

• “Beginner” (10,7%), imprese che sono nella fase iniziale di esperienza del welfare aziendale.

“L’azienda può diventare sempre più un distributore di benessere – sostiene Alberto Baban, presidente di Piccola Industria Confindustria –. Sono convinto che aumentare il senso di comunità nelle imprese aumenterà la produttività. Ma dobbiamo fare cultura nelle nostre aziende, spiegando perché si può fare welfare e anche quanto è semplice farlo. Da parte sua, il governo sta andando nella giusta direzione: la detassazione è una misura corretta, perché non tratta il welfare come un semplice benefit, ma come uno strumento per accrescere la competitività”.

Quanto alle aree di welfare più utilizzate dalle imprese, sono raggruppabili in tre tipologie:

1. Iniziative per la gestione del personale: formazione e sostegno alla mobilità (64,1%), assicurazioni per dipendenti e famiglie (53%), sostegno economico ai dipendenti (46,2%).

2. Iniziative classiche di welfare complementare: previdenza integrativa (40,4%), Salute (38,8%), sicurezza e prevenzione (38%).

3. Iniziative più innovative: pari opportunità e sostegno ai genitori (18,5%), welfare allargato al territorio (15%), integrazione sociale (14,1%) e conciliazione vita lavoro (4,9%).

Le motivazioni che spingono le Pmi a intraprendere iniziative di welfare aziendale sono principalmente due: la gestione del personale, e quindi il benessere dei dipendenti per migliorarne la soddisfazione e la produttività, e la sostenibilità nel lungo termine del successo aziendale, unita ad aspetti reputazionali.

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