Continua a crescere la spesa per il welfare in Italia, continuando il percorso accentuatisi prima per la pandemia e ora per il rialzo dell’inflazione, mostrando nette differenze tra nord e sud. Ma il sistema Italia nei prossimi anni, se non interverranno politiche correttive, potrebbe vedere un forte squilibrio sia a causa della riduzione della natalità, sia per l’emigrazione degli italiani verso altri paesi, non compensata dall’immigrazione. Il 2035 sarà l’anno in cui il numero dei pensionati supererà quello dei lavoratori.
E’ questa la fotografia emersa nell’edizione 2022 del Rapporto del Think Tank “Welfare, Italia” supportata da Unipol Gruppo con la collaborazione di The European House – Ambrosetti e con il sostegno di un comitato scientifico composto da Veronica De Romanis, Giuseppe Guzzetti, Walter Ricciardi e Stefano Scarpetta presentata oggi a Roma.
Welfare 2022, Mattarella: dare risposta veloce alle nuove necessità
Il Forum è stato aperto dal messaggio del Presidente della Repubblica che ha evidenziato come “La collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore è una chiave, nella conferma del carattere universale dei diritti, per potenziare e ammodernare i servizi”. Inoltre Mattarella ha sottolineato come “stia mutando e si stia ampliando la platea dei bisogni delle persone e delle comunità e occorre, dunque, un adeguamento altrettanto veloce delle risposte che lo Stato e lo Stato-comunità mettono a disposizione. Il quadro offerto dal PNRR è una opportunità in questa direzione”.
Aumenta ancora la spesa per il welfare: nel 2022 +18 miliardi
Secondo le stime del Think Tank “Welfare, Italia”, l’aumento generalizzato della spesa in welfare indotto dalla pandemia continua anche nel post COVID-19. Dopo aver visto una crescita di 46 miliardi nel 2020, tra il 2021 e il 2022 si è registrato un ulteriore aumento di 22 miliardi, di cui 18 miliardi solo nel 2022, raggiungendo i 615 miliardi di euro nei suoi pilastri tradizionali: Sanità, Politiche Sociali, Previdenza e Istruzione. In particolare, la previdenza continua ad assorbire circa la metà della spesa in welfare (48,4%), seguita dalla sanità (21,8%), dalle politiche sociali (18,2%) e dall’istruzione (11,6%).
Le differenze tra nord e sud: spicca Trento, maglia nera la Calabria
Osservando la mappa italiana si nota come, come di consueto, vi sia una netta spaccatura tra Nord, Centro e Sud nella capacità di risposta del sistema di welfare delle Regioni italiane, ma si rileva una riduzione del gap rispetto all’edizione precedente. Nel dettaglio, la pubblica amministrazione di Trento si conferma prima in classifica (81,3 punti), seguita da quella di Bolzano (78,7 punti) e dal Friuli-Venezia Giulia (77,4 punti). Il Veneto (70,1), l’ultima regione del Nord, si posiziona davanti a tutte le regioni dell’Italia centrale e meridionale. In particolare, le ultime 8 Regioni appartengono tutte all’Italia Meridionale e Insulare e la prima dell’area, la Sardegna (14ma con 62,8 punti), dista oltre 18 punti dalla P.A. di Trento e precede di circa 12 punti la Calabria, ultima in classifica. Se si escludono le Regioni a Statuto Speciale -che hanno un diverso rapporto con lo Stato- in prima linea risulta l’Emilia Romagna con (75,9 punti) seguita da Lombardia (73,8), Piemonte (70,6) e Liguria ,(70,5).
Rispetto all’edizione precedente, emerge una lieve diminuzione della polarizzazione nella capacità di risposta del sistema di welfare delle Regioni italiane (-2,1 punti), con il divario tra Regione best e worst passato da 32,7 punti a 30,6 punti (principalmente per una diminuzione del punteggio della P.A. di Trento).
L’impatto dell’inflazione rischia di portare ulteriori 300.000 famiglie nella povertà assoluta
L’impatto dell’aumento dei prezzi sulla scia della ripresa economica del 2021 e successivamente a causa del conflitto in Ucraina, sta aggravando la situazione delle famiglie più deboli. Il rapporto prevede che la spinta inflattiva potrebbe far salire il numero di famiglie in povertà assoluta a 2,3 milioni (da 2 milioni), seguando il numero più alto dall’inizio della rilevazione Istat nel 2005.
Gli impatti saranno particolarmente gravi per le famiglie già più vulnerabili, che destinano a spese essenziali (alimentari, affitti, acqua, luce e gas, salute) il 76% del proprio reddito (vs. 56% per le famiglie a più alto reddito): per le famiglie meno abbienti il reddito disponibile per le spese out-of pocket (non necessarie alla sussistenza) è già stato più che decimato dall’inflazione, riducendosi del 20,7% (15,7 punti percentuali in più del quintile più ricco). Inoltre, l’inflazione avrà un impatto negativo anche sui risparmi e sul valore dei salari reali: secondo le stime OCSE, nel 2022 il valore dei salari reali in Italia si ridurrà del -3,1% (rispetto alla media OCSE di -2,3%), in un contesto in cui l’Italia, negli ultimi 30 anni, è stato l’unico Paese dell’area OECD che ha visto una diminuzione dei salari (-0,1% annuo tra 1990 e 2020).
Cala il numero di italiani per natalità ed emigrazione
Posto che la dinamica demografica è (insieme al mercato del lavoro) una funzione chiave del sistema di welfare, il Rapporto ha indagato sulla situazione del 2022 e in prospettiva al 2035 e al 2050.
Nel 2021, per la prima volta nella storia italiana, il numero di nati è sceso sotto la soglia dei 400.000 (attestandosi a 399.000, portando il saldo naturale (la differenza tra numero di nuovi nati e numero di decessi) in negativo di 214.000 persone. Il dato risulta migliore rispetto al 2020 quando, a causa soprattutto della pandemia, si era registrato un saldo naturale negativo di 335.000 mila persone, il peggiore dal 1918, l’anno dell’epidemia di “spagnola”.
Il tasso di natalità in Italia, pari a 6,8 nati per mille abitanti, è il valore più basso nell’intera Unione Europea e l’Italia registra il tasso di dipendenza degli anziani più alto nell’UE-27 (40,1 over-65 per 100 persone nella fascia 20-64 anni), dietro solo alla Finlandia (40,3%) e con un valore superiore alla media europea (35,4%) di 4,7 punti percentuali.
In prospettiva, in base al calo della natalità, nel 2035 in Italia ci saranno 2,5 milioni di persone in meno rispetto al 2020 (pari a 4,4 milioni di persone in età lavorativa), che si confrontano con la crescita di 3,6 milioni di over-65. Nel 2050, lo scenario peggiore prevede un calo della popolazione di 10,5 milioni nel nostro Paese.
Cresce l’esodo degli italiani all’estero, diminuisce l’immigrazione
Sul fronte migratorio, tra 2011 e 2020, si è registrato un saldo positivo per 1,7 milioni di persone (il 2,9% della popolazione italiana al 2020). Ma c’è da notare che se il numero di emigrati italiani è aumentato del +93,9% (7° variazione a livello UE), bisogna rilevare anche una riduzione del 35,8% del numero di immigrati (la peggiore variazione in UE).
In particolare, quello che occorre sottolineare dell’emigrazione italiana riguarda il cosiddetto “Capitale Umano” perso (e non recuperato) dal Paese: dei 121.000 italiani che hanno lasciato l’Italia nel 2020, il 26% (circa 31.000 persone) possedeva una laurea o un titolo di studio superiore.
“Welfare, Italia” ha stimato che se tutti gli emigrati nel 2020 non tornassero in Italia durante la loro vita lavorativa, il Paese perderebbe circa 147 miliardi di euro, ovvero la somma tra il costo della spesa in istruzione perso, pari a 10,5 miliardi di euro, e i mancati redditi guadagnati dagli emigrati nel corso della loro vita lavorativa all’estero (stimata in circa 35 anni), pari a 136,5 miliardi di euro.
In prospettiva: gli italiani potrebbero diminuire tra i 7 e i 10 milioni entro il 2050
Ai trend demografici attuali, in assenza di politiche correttive, al 2035 l’Italia perderà il 4,2% della popolazione rispetto al 2022 (pari a 4,4 milioni di persone in età lavorativa) e dovrà sostenere 3,6 milioni di over-65 in più rispetto ai livelli attuali.
Se si guarda al 2050, nello scenario di base delle Nazioni Unite, la popolazione italiana potrebbe attestarsi a 52,3 milioni di persone, 6,7 milioni in meno del 2020, con un’incidenza degli over-65 pari al 37% del totale. Considerando invece lo scenario peggiore, la diminuzione della popolazione rispetto ai livelli del 2020 potrebbe essere pari a 10,5 milioni in meno nel 2050.
Il sistema di welfare sarà messo sotto pressione: nel 2035 i pensionati superaranno i lavoratori
La diminuzione della base lavorativa e l’aumento della popolazione anziana metteranno ancor di più sotto pressione la sostenibilità del sistema di welfare del Paese. In ambito pensionistico, nel 2035 il numero di pensionati supererà per la prima volta quello degli occupati (il rapporto di equilibro dovrebbe essere 3 lavoratori per 2 pensionati) e, nello stesso anno, l’incidenza della spesa previdenziale sul PIL potrebbe raggiungere il picco del 17,5%. In ambito sanitario – dove l’invecchiamento è associato a un aumento delle malattie non trasmissibili e croniche e da una maggiore pressione sui sistemi sanitari e di assistenza socio-sanitaria – secondo le stime di Meridiano Sanità la spesa sanitaria pubblica raggiungerà i 164 miliardi di euro entro il 2035 (7,9% del PIL) e i 220 miliardi di euro entro il 2050 (9,5% del PIL).
Il Think Tank traccia le 6 priorità di azione
In questo quadro, “Welfare, Italia” ha individuato 6 priorità d’azione, supportate da specifici indirizzi
operativi, che il Paese deve affrontare per contrastare la dinamica demografica negativa del Paese e
rendere più sostenibile la spesa in welfare alla luce dell’evoluzione demografica:
-Integrare il tema della natalità all’interno della tassonomia sociale europea
-Promuovere misure finalizzate a sostenere la genitorialità e ad accrescere l’occupazione femminile
-Mitigare i flussi migratori in uscita e rendere più efficiente il mercato del lavoro anche per i cittadini stranieri
-Valorizzare il contributo della componente previdenziale integrativa
-Favorire l’allargamento dell’offerta dei servizi di welfare attraverso le soluzioni di welfare contrattuale e aziendale
-Ridefinire il Reddito di Cittadinanza come strumento di inclusione sociale e potenziare i meccanismi di attivazione e inserimento lavorativo