Disponibilità da parte del datore di lavoro e dei disoccupati, una fitta rete di agenzie sul territorio e un monitoraggio continuo sulla loro applicazione. Così hanno funzionato in Germania i mini-job, forma contrattuale che permette di lavorare part time guadagnando soldi esenti da tasse e contributi previdenziali. Da presidente dell’agenzia federale del lavoro di Norimberga Frank Jurgen Weise ha un osservatorio privilegiato sul mercato del lavoro tedesco: l’agenzia fornisce un collegamento tra i disoccupati in cerca di lavoro e le aziende in cerca di impiegati. Weise è stato chiamato a parlare di fronte i manager e gli imprenditori riuniti a Cernobbio per il workshop Ambrosetti.
Insieme a lui, moderati da Corrado Passera, anche Michael Burda, professore di economia presso la Humboldt University di Berlino, e Jorg Asmussen, politico tedesco e già membro del comitato esecutivo della Bce. Un tris tedesco in cattedra. Perché è alla Germania che si guarda quando si parla di lavoro. La Germania spicca come l’unico Paese in cui il tasso di disoccupazione si è ridotto nonostante le ricadute della crisi economica. Nel 2008 la disoccupazione era al 7,5% mentre nel 2014 è scesa al 5,1% (dati aggiustati per la stagionalità) contro un aumento in media per l’Europa a 28 di circa 3 punti percentuali (dal 7% al 10,2% il dato aggregato). Merito in gran parte della flessibilità del mercato del lavoro, di cui i mini-job sono la ricetta più nota. Un modello che in molti ora vorrebbero esportare in Italia. “Niente è importabile. Ma si può imparare dall’esperienza degli altri. Fino al 2005 il mercato del lavoro in Germania era un disastro e abbiamo imparato molto dall’Italia e da altri Paesi europei”, ha spiegato Weise a Firstonline parlando a margine del workshop Ambrosetti. “Sia i datori di lavoro sia le persone – ha aggiunto – devono imparare ad accettare la flessibilità. I tedeschi lo hanno fatto e per questo i mini-job hanno funzionato”.
In Germania l’Agenzia federale del lavoro ha migliaia di agenzie sparse sul territorio i cui consulenti conoscono e hanno stretti rapporti con i datori di lavoro locali. “E’ una decisione locale – continua Weise – il disoccupato viene da noi a cercare lavoro e i nostri consulenti sul territorio vanno a parlare con il potenziale datore di lavoro. Registriamo le offerte di lavoro nel nostro order book. Al momento c’è un milione di posti liberi in Germania, noi ne abbiamo inseriti 500.000. I restanti 500.000 non ci sono perché si tratta di lavori troppo specialistici per il nostro target di disoccupati”. In Germania ci sono 7 milioni di persone che utilizzano i mini-job. “La metà sono donne – spiega Weise – si tratta di persone che lavorano a casa o che prima lavoravano in nero. Qui l’aspetto positivo è che i mini-job danno una opportunità a chi non vuole lavorare di più e che in questo modo può guadagnare fino a 450 euro al mese senza pagarci sopra le tasse e senza spese sociali”.
Ma il ricorso ai mini-job non è solo un modo per parcheggiare una fetta della popolazione. Rappresentano anche uno strumento per offrire ai disoccupati di lungo periodo una via per tornare sul mercato del lavoro. “La prima soluzione è ovviamente quella di offrire a chi ha competenze un lavoro full time – dice Weise – ma a volte è difficile e partiamo con un mini-job. In questo caso, lo Stato integra 450 euro soldi aggiuntivi che portano il salario al livello del welfare sociale di 850 euro. L’idea è quella di far progredire il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. Partire con un mini-job è meglio che niente”. Come ogni modello, i mini-job hanno aspetti positivi e altri meno. “Non parlerei di aspetti cattivi – dice Weise – piuttosto di problemi. Come per esempio i casi in cui le società dividono 1 full time job in 4 mini-job risparmiando così sugli oneri sociali. I nostri consulenti monitorano comunque costantemente questo fenomeno”.
Come si muoverà l’Italia? Dal workshop arriva la rassicurazione del ministro Giuliano Poletti: “Cercherò di rendere il mercato del lavoro più semplice ed efficiente”, ha detto ribattendo all’invito arrivato il giorno precedente da Peter Praet, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, che chiedeva all’Italia di concentrarsi sulle misure del mercato del lavoro. Poletti, il cui intervento era previsto nella stessa tavola rotonda che ha ospitato Weise, Burda e Asmussen, non ha potuto partecipare all’ultimo per un problema di salute. ”Scusate. Sono in grande imbarazzo. Mi si è bloccata la schiena”, ha voluto precisare dopo il polverone che si è sollevato sull’assenza del premier Renzi: ”Voglio evitare – ha detto – che nascano equivoci. Apprezzo il lavoro di Ambrosetti ma conosco il mio problema e so che devo ricorrere al più presto ad un aiuto medico per mettermi in sesto ed essere efficiente nei prossimi giorni”.