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Web tax: scontro Usa-Ue, ma serve al Recovery Fund

Il sottosegretario Usa Steve Mnuchin ha inviato una lettera ai ministri dell’Economia europei, minacciando ritorsioni nel caso di un’accelerata sulla tassa ai giganti del web. Il dibattito è aperto all’Ocse, ma Bruxelles aspetta anche quelle risorse per finanziare l’emissione dei titoli comuni. La Francia reagisce

Web tax: scontro Usa-Ue, ma serve al Recovery Fund

Dopo la guerra di tariffe con la Cina, tornano le ombre di uno scontro anche tra Usa e Europa, a causa della web tax. E il tutto in piena crisi da Covid-19. A svelare il nuovo inasprimento di una tensione già esplosa qualche mese fa, quando addirittura il presidente Donald Trump aveva minacciato dazi sui prodotti importati dall’Europa, in particolare i vini francesi, è il Financial Times. Il quotidiano finanziario britannico è venuto a conoscenza di una lettera inviata dal segretario di Stato Usa Steve Mnuchin ai ministri dell’Economia di Italia, Francia, Spagna e Regno Unito, invitandoli ad allentare la morsa sulle velleità di una tassa contro i giganti di Internet. La questione è da tempo sul tavolo dell’Ocse: alla fine di gennaio, 137 Paesi avevano effettivamente concordato di raggiungere entro la fine del 2020 un accordo sulla tassazione delle varie Amazon, Facebook, Google etc.

“Accelerare le negoziazioni ci distrarrebbe dall’affrontare questioni ben più importanti, come la ripresa economica”, ha sostenuto Mnuchin. Qualcuno però, come la Francia, aveva già tentato una fuga in avanti, anticipando un primo tentativo di tassazione che secondo quanto comunicato dal ministro Bruno Le Maire ha fruttato, nel 2019, 350 milioni di euro allo Stato francese. “Un risultato non trascurabile”, aveva detto Le Maire, che oggi su Les Echos definisce la lettera di Mnuchin “una provocazione. Siamo stati a pochi centimetri da un accordo sulla tassazione dei giganti digitali, che sono forse gli unici al mondo a trarre profitto dal coronavirus. L’accordo all’Ocse va trovato il prima possibile”. Non di questo avviso evidentemente Washington, che vorrebbe riprendere con più calma la trattativa, magari a fine 2020, cioè a elezioni presidenziali concluse. Intimando nel frattempo a non intraprendere iniziative solitarie: “Lo abbiamo detto più volte – ha scritto Mnuchin -: nei confronti dei Paesi che adotteranno queste tassazioni, gli Usa reagiranno con misure proporzionate”.

Il dibattito in sede europea va avanti dal 2017, ma finora mai Bruxelles è riuscita a mettere d’accordo tutti i Paesi. Per ovvi motivi: in Europa esistono alcuni Paesi, come Irlanda, Olanda, Lussemburgo e alcuni Paesi dell’Est, che adottano regimi fiscali vantaggiosi per i big del web. Mai come questa volta, però, le risorse della web tax sarebbero vitali, per tutti, per contrastare la crisi economica che sta travolgendo l’intero pianeta. Il Recovery Fund infatti conta anche su quelle entrate: 10 miliardi all’anno arriverebbero dalla la riforma dell’Ets (Emission trading system ovvero i permessi di inquinamento – a pagamento – per le grandi imprese); dai 5 ai 14 miliardi all’anno attraverso la carbon tax sulle importazioni ad alto contenuto di gas serra; ancora 10 miliardi all’anno da una tassa per le imprese che traggono i maggiori benefici dall’esistenza del mercato unico; e infine 1,3 miliardi proprio dalla digital tax sui giganti del web 

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