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Web Radio e nuovi imprenditori: a Torino con Radio Banda Larga

Il fenomeno delle web radio nasce negli anni ’90 in America, e già nel 2002 il MIT ne aveva contate più di 27 mila – Semplici sia da aprire che da gestire, possono arrivare in tutto il mondo con spese irrisorie – Lorenzo Ricca, direttore di Radiobandalarga, parla del suo progetto, delle difficoltà incontrate, degli obiettivi e delle potenzialità del web.

Web Radio e nuovi imprenditori: a Torino con Radio Banda Larga

La prima web radio nasce nel 1995 dall’idea di  Rob Glaser e, da allora, questo fenomeno non smette di crescere. Nel 2002 le ricerche del MIT avevano portato alla luce più di 27 mila web radio nate per vie indipendenti in tutto il mondo, e da quel momento si stima che il numero sia più che raddoppiato. Qual è la fortuna di questo fenomeno in così grande crescita?

La prima cosa che salta agli occhi è la sua economicità e la sua facile gestione: per metterne in piedi una radio su internet, infatti, bastano un pc e un server, e si trasmette via streaming, servizio che molte realtà forniscono a costi decisamente sostenibili.

Non è però solo a livello economico o amministrativo il forte vantaggio che il fare radio su internet comporta: pur avendo una portata globale (e dunque un pubblico assolutamente eterogeneo), le nuove radio molto spesso hanno prodotto palinsesti forti per la loro portata sperimentale. Rivolte ad un nuovo pubblico – talmente vasto da non poter essere standardizzato –  le radio si sono sentite libere da una produzione che doveva rivolgersi ad un ascoltatore medio, e hanno iniziato a raccontarci qualcosa di più personale.

Questo, non a caso, è il messaggio che con più forza è uscito dalla chiacchierata con Lorenzo Ricca, presidente di una giovane web radio torinese che, di mese in mese, vede crescere la sua portata.

Radio Banda Larga nasce tra il 2011 e il 2012 dall’idea di Lorenzo Ricca, Renato Striglia e Francesco Cannavà. La sua “Carta dei valori” prevede, tra le altre cose, nessuna pubblicità, nessuno scopo di lucro e partecipazione aperta a tutti. Appogiata alla Cooperativa Biloba prima, autonoma e trasformata anche in Associazione Culturale dopo, RBL è la prima radio italiana le cui trasmissioni si registrano fuori dagli studi radiofonici.

Perchè questa scelta della radio fuori dagli studi?

Quello che vogliamo creare con RBL è un rapporto diretto con la realtà. Portare la radio fuori dalle mura significa aprirsi alla partecipazione e alla collaborazione, ma soprattutto lasciare che la realtà entri con prepotenza nelle trasmissioni. Registrare un programma in diretta dal festival di musica di Chamois (CHAMOISic), ad esempio, non significa solo avere un filo diretto con le realtà che ci interessano, ma anche far entrare i rumori degli esterni nei microfoni, fare in modo che le persone che passano di lì possano fermarsi ad ascoltare e magari anche intervenire in prima persona. É una radio molto fisica.

Il vostro motto è «Tutti possono fare la radio. Anche i dj!». Che cosa significa?

Sembrerà paradossale, ma noi abbiamo progettato una radio più per chi la fa che per chi l’ascolta. Quello che più ci preme è che chi mette in piedi un suo programma sia stimolato a tirare fuori le proprie idee, a capire cosa vuole comunicare, non ad appoggiarsi alle direttive di qualcun altro. Per questo abbiamo deciso di non nominare nessun direttore artistico, di non definire in modo troppo netto le nostre linee guida. Nell’era degli utenti che generano i contenuti, in cui l’accesso ai media è più diretto, questo per noi significa concentrarsi sul fatto che tutti possiamo prenderli in mano e trasmettere le nostre conoscenze attraveso di essi.

I vostri laboratori sociali nascono su questa scia?

Sì, le nostre idee ci hanno portato ad usare la radio come mezzo formativo. Siamo convinti che qualsiasi mezzo artistico sia capace di stimolare un’autoriflessione, una presa di coscienza molto forte, e per questo abbiamo portato Radio Banda Larga in contesti difficili. Ci siamo avvicinati lentamente, prima stazionando soltanto, poi tentando di coinvolgere i ragazzi. Abbiamo scoperto quanto la semplice scelta di una canzone da mandare in onda possa muovere la coscienza di chi è coinvolto: comporta il chiedersi cosa si vuole dire di sé, il che obbliga a creare una connessione con se stessi, ad imparare a conoscersi, ma, ancor più complicato, ad imparare a rendere comunicabile ciò che si vuole dire, a creare un ponte con l’esterno. Questo è quello che vogliamo fare con la nostra radio, motivo per cui diamo in mano ai dj i loro programmi. É una cosa molto importante per noi.

In un momento in cui la comunicazione verbale è stata soppiantata da quella visiva, la radio sembra un mezzo quasi rivoluzionario

È vero. Con la radio cerchiamo proprio di prescindere dall’immagine, che porta ad una comunicazione immaediata ma molto superficiale. Le parole sono uno strumento forte, se poi unite alla musica, diventano un mezzo per una presa di coscienza completa, razionale ed emotiva.

Come pensate si evolverà il fenomeno delle web radio?

Siamo in un momento storico in cui è difficile fare previsioni. Ogni giorno c’è qualcuno in più che ascolta la radio web andando in giro (la si può ascoltare con ogni smartphone), ma lo scoglio più grande rimane l’ascolto in auto. L’80% degli ascoltatori di radio la ascolta dalla macchina, andando al lavoro o durante i viaggi; esiste già uno strumento per ascoltare la webradio dalla macchina, ma non so prevedere dove ci porterà.

Il punto è che il web permette di prescindere dal problema degli ascoltatori, o comunque di non partire da quello. Internet (che sembrava il mezzo che avrebbe rarefatto i rapporti umani) ci permette di fondare la nostra radio proprio sulle persone che la fanno, su quello che sono e sull’importanza di comunicarlo.

Comunicazione e umanità, collettività, collaborazione e anche un giovane imprenditore. Tu sei presidente dell’Associazione Culturale Banda Larga e hai solo 24 anni. Come ti senti ad avere sulle spalle un progetto così importante?

Da una parte sento una forte soddisfazione, ma non nego che la cosa possa essere anche un fardello. Le idee sono tante, ma spesso è difficile consolidarle per i limiti economici che abbiamo. C’è da dire, però, che mi ritengo fortunato ad essere di questa generazione; siamo consapevoli di vivere un’epoca di forti incertezze, che non ci fa più credere nel modello studio-lavoro. Questo ci permette di avere più libertà, di lanciarci in progetti nuovi spinti dalle nostre passioni, dunque credo ci conceda più opportunità. Forse non posso ancora sentirmi realizzato professionalmente perchè di quello che faccio non riesco a vivere, ma mi sento realizzato umanamente, sento di stare percorrendo la strada giusta, in cui credo. E non è poco.

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