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Voucher della discordia: la verità raccontata dai numeri

FIRSTonline

La narrazione, avrebbe detto Vendola, richiede il crimine da punire. Nella tragedia greca il capro espiatorio era fondamentale. Ed ecco così che dal magma rivoluzionario liberato dal referendum esce l’indicazione dello scandalo la cui rimozione segnalerebbe il trionfo della volontà popolare di tornare indietro: l’abominevole voucher. Certo, poi c’è anche la legge sulla scuola, l’art. 18 (ma è un po’ abusato: più nuovo e di pronta beva il voucher…). E voucher sia! 

La butto in grottesco perché tale è la vulgata che si legge e si sente in questi giorni. Eppure grazie ad un bel lavoro dell’INPS, son disponibili dei dati precisi e inediti che descrivono il fenomeno voucher nella sua realtà concreta. Consultarli? Costa fatica, e da noi la fatica della politica tende ad esaurirsi nella comunicazione, più che nella documentazione. Tuttavia vediamoli un po’.

Prima questione: stiamo parlando di un fenomeno di quali dimensioni? Le persone che nel 2015 hanno riscosso almeno 1 voucher non sono poche: 1.380.000, ed è un numero in costante crescita dal 2008. Ma quanto incide il voucher sul totale dei costi del lavoro? Nel 2015 per una cifra pari a 0,232% del costo del lavoro dipendente nel settore privato. Dire che è marginale è un eufemismo! Del resto, dei percettori di voucher, il 50% ha riscosso da 29 voucher in giù, quindi da €217,5 a scendere in termine di incasso. Soltanto il 2,2% ha percepito cifre nette superiori ai 2250€, lontanissimo dal tetto di 7000€ che quasi nessuno nemmeno sfiora.

La media dei voucher effettivamente riscossi dai lavoratori è nel 2015 di 63 pro capite, ed è una media costante negli ultimi anni: aumenta la platea dei percettori di voucher, ma non il numero di voucher che ciascuno percepisce. In sostanza il voucher neppure lontanamente si avvicina a sostituire la retribuzione da lavoro dipendente, salvo eventualmente il caso limite del lavoro a chiamata.

Un dato molto interessante è quello delle giornate lavorate e del numero di voucher riscossi per giornata lavorata: per il 30% della platea non vengono riscossi più di 2 voucher/giornata, per una media di 35 giornate lavorate. Di questa platea il 72% non supera i 29 voucher/anno. All’estremità opposta ci sta il 18% dei percettori che riscuote più di 20 voucher/giornata, per una media di 145 voucher/anno: ma in questo caso le giornate sono mediamente 4,5.

Si tratta cioè di prestazioni professionali più qualificate, ma assolutamente occasionali. Quanto all’estremità inferiore della tabella, può anche darsi che parte di questi voucher siano la copertura per un lavoro in realtà in nero (tipo un voucher al giorno per eventuali ispezioni e il resto fuori busta); ma la domanda è: abolendo il voucher faremo emergere il nero o sommergeremo anche quel poco che il voucher ha fatto emergere?

Il rapporto percettori-committenti: il 49% dei committenti nel periodo 2008-2015 ha comperato meno di 50 voucher/anno ed ha avuto 3,7 percettori, e l’81% dei percettori ha lavorato per un solo committente. Di questi il 62% ha riscosso meno di 65 voucher/anno: non certo una cifra che denunci una sostituzione del lavoro subordinato con il voucher. Si tratta di una copertura per il lavoro nero? Valgono le considerazioni fatte sopra. E comunque non è il voucher che crea il lavoro nero: tutt’al più si può dire che non ha fatto riemergere il
nero. E come avrebbe potuto? In ogni caso il nero è più conveniente di qualunque altra forma di retribuzione, non è certo colpa del voucher! 

A proposito del requisito dell’occasionalità del lavoro accessorio, va verificato che non sia costante e ripetitivo nel tempo: i dati INPS ci
dicono che nel periodo 2011-2015 il nastro medio di entrata-uscita dal lavoro occasionale sia stato di 1 anno e mezzo per lavoratore. Il tasso di ripetizione della prestazione per ogni singolo percettore è del 49% medio, molto più alto per i pensionati e molto più basso per i
percettori di ammortizzatori sociali. *In sostanza non si vede una “trappola” del lavoro accessorio in cui si resti incastrati; men che meno per i giovani*. Nel rapporto INPS esiste poi un’illuminante tabella che illustra il rapporto, regione per regione, tra voucher mediamente riscossi per percettore e lavoro irregolare (fig.2 pag.16): la quota più alta di voucher/percettore si riscontra nel nord-ovest, nel nord-est e in Emilia, esattamente dove più bassa è la percentuale del lavoro irregolare; esattamente all’opposto nelle regioni del sud.

Molto interessanti i dati sulla condizione professionale dei percettori: l’8% sono pensionati, il 55% lavoratori attivi assicurati, il 23% silenti (ex assicurati, in genere disoccupati), il 14% senza posizione assicurativa (inoccupati o inattivi). Tra gli assicurati il 30% ha nello stesso anno contratto subordinato e voucher con lo stesso committente. Ma di questi nei tre quarti dei casi il contratto segue al voucher, che gioca un ruolo tipo tirocinio; il 25% ha in contemporanea contratto subordinato e voucher, ma per l’80% sono part timer e/o tempi determinati; il 20% ha avuto un contratto subordinato con un datore diverso; il 10% è passato al voucher dopo aver cessato da un datore diverso; il 15% ha avuto solo voucher. Il 5% di questi ha indennità di disoccupazione (dati aprile settembre 2014 2015).

In sostanza si evidenzia una diretta relazione tra lavoro accessorio e carriere lavorative discontinue o a orario ridotto. Il numero medio di voucher percepiti risulta inversamente proporzionale alla quota di giornate lavorate nell’anno: è infatti massimo (78) per i soggetti che
non hanno mai lavorato nell’anno (hanno percepito solo indennità di sostegno al reddito) e minimo (51) per i soggetti con giornate lavorate e retribuite che hanno praticamente saturato l’intero anno. 

Da notare che il gruppo dei percettori privi di posizione previdenziale, in gran maggioranza giovani non ancora entrati nel mercato del lavoro, è formato per ogni anno da una quota superiore al 70% di “new entry”: quindi anche qui nessun intrappolamento nel lavoro accessorio. 

In definitiva pare infondata l’ipotesi che il voucher invada tendenzialmente aree che venivano prima coperte da rapporti di lavoro subordinato. Viceversa ha un certo rilievo come fonte di reddito accessorio per pensionati e dipendenti con rapporti di lavoro parziali e
discontinui. Ha poi una funzione, anche se non rilevantissima, di periodo di prova funzionale all’assunzione. Ha sicuramente fatto emergere “lavoretti” che prima venivano retribuiti in modo informale; è possibile che venga utilizzato per fornire un alibi legale a situazioni
di lavoro nero.

Questo bilancio, tuttavia, non pare indicare l’esigenza di sopprimerlo: quasi tutto ciò che consente, come visto, di retribuire legalmente
sprofonderebbe nel nero. Ridicolo pensare che verrebbe sostituito con rapporti più formali, tipo contratti a termine o collaborazioni, o
magari con false partite IVA. Possibile, forse opportuno, qualche intervento di manutenzione. Il più lo ha fatto il Governo Renzi con l’obbligo di tracciabilità, che impedisce l’utilizzo del voucher ex post per coprire casi di lavoro nero. Nessuno poi vivrebbe come un dramma l’abbassamento del tetto dei 7.000 €, che tanto nessuno raggiunge. Vogliamo abolire il lavoro accessorio per l’edilizia? Basta sapere che il comparto delle costruzioni rappresenta l’1,85% dei percettori e il 2,4% dei voucher riscossi: marginalissimo rispetto al fenomeno del lavoro accessorio. 

Se si vuol rimettere sotto controllo l’edilizia, forse, è meglio guardare alle false partite IVA e magari rafforzare l’attività ispettiva con qualche supporto tecnologico, tipo l’installazione di telecamere nei cantieri.

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