La conferma di Barack Obama alla Casa Bianca è stata accolta con tiepido favore anche nella capitale tedesca, dove, da alcune settimane, l’establishment si interrogava perplesso sulla sorte dei rapporti euro-atlantici in caso di vittoria di Mitt Romney. Alla vigilia del voto, tra gli esperti tedeschi di politica estera si discuteva se e come il candidato repubblicano avrebbe puntato su un nuovo attivismo bellico e se avrebbe annunciato presto un aumento della spesa per la difesa. Se quindi, per certi versi, la rielezione di Obama regala una relativa stabilità, per altri, essa non è comunque priva di interrogativi. Due sono le questioni sul tappeto. Una economica e l’altra militare.
In politica estera, spiegano gli analisti, gli USA cercheranno, ove possibile, di addossare spese e responsabilità per nuovi interventi militari agli alleati europei. Il livello del confronto potrebbe insomma alzarsi nei prossimi mesi, in particolar modo quando e se si tratterà di prendere una decisione definitiva riguardante la Siria (e il Mali). Ma anche sull’Afghanistan non è escluso che la comunanza di interessi possa venir presto meno. Sul tavolo delle trattative ci sarà poi anche il fascicolo “armi nucleari”. Sin dal 2009 la Germania vorrebbe denuclearizzare il proprio territorio (e quello europeo) delle armi statunitensi ancora presenti, ma finora l’accordo in sede NATO non è mai stato raggiunto. Di qui l’invito del Ministro degli Esteri, il liberale Guido Westerwelle ad Obama a fare finalmente sul serio.
Al di là degli interventi militari, ciò che però preoccupa davvero Governi e mercati in Europa è la situazione dei conti pubblici degli Stati Uniti. Presto potrebbero andare fuori controllo. Se così fosse, anche il Vecchio Continente, già acciaccato per la crisi interna all’Eurozona, rischierebbe la paralisi. Di qui le forti oscillazioni sui mercati internazionali subito dopo l’esito del voto. A Berlino, poi, si avvertono con particolare enfasi le differenze in politica economica e monetaria con Washington. Dagli Stati Uniti è giunto più volte l’invito a risolvere al più presto la crisi del debito in stile FED, ovvero con un massiccio intervento della banca centrale o con l’emissione di eurobond. La Germania, a sua volta, ha lanciato un appello affinché Barack Obama corra finalmente ai ripari, evitando il cd. fiscal cliff, ossia quel tuffo dalla scogliera fatto di massicci aumenti di tasse e tagli di spesa che, a partire dal nuovo anno, potrebbe verificarsi, se il Presidente non riuscirà a trovare un (diverso) compromesso con le opposizioni su come tagliare deficit e debito. “La politica finanziata soltanto a debito è giunta al capolinea, lo sanno anche negli Stati Uniti”, ha scandito l’altro giorno sempre il Ministro degli Esteri di Berlino. Come dire. Noi avremo i nostri problemi, ma voi avete i vostri. Niente paternale, bitte! Non diverso il commento post-voto di Philipp Mißfelder, politico della CDU: “Ora Obama deve dimostrare di poter aggiustare il bilancio dello Stato”. La Cancelliera è subito intervenuta a smorzare i toni, invitando Obama a farle presto visita a Berlino. Si tratterebbe della prima visita ufficiale del Presidente americano nella capitale tedesca. Un suo viaggio troppo a ridosso delle elezioni federali del settembre prossimo potrebbe tuttavia essere interpretato come un sostegno indebito alla signora Merkel.
Non sembra invece all’ordine del giorno la negoziazione di un trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, rilanciato all’indomani della vittoria di Obama anche dal Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Nonostante la Germania faccia pressing in questo senso, in agenda la Casa Bianca ha un lungo elenco di accordi da stringere, in particolare con Paesi asiatici. I lavori dell’EU-US High Level Group on Growth and Jobs sembrano del resto essere ancora piuttosto indietro.