Da mesi si parla di un provvedimento per favorire il rimpatrio di capitali dall’estero. Il premier Letta poco prima di Natale ha ribadito che il provvedimento sarebbe stato varato a breve ed ha annunciato un suo imminente viaggio in Svizzera per definire i dettagli. Il provvedimento non sembra però avere trovato posto nel decreto “milleproroghe”. C’è quindi ancora incertezza su quali ne saranno i contenuti. D’altro canto, sembra che il Governo conti molto sulle risorse che fin da quest’anno dovrebbe garantire, per destinarle alla riduzione del cuneo fiscale. E’ quindi fondamentale che i potenziali interessati – che sembra siano ancora molti, nonostante i due “scudi” del 2009 e del 2001 – siano rapidamente messi in condizione di sapere con certezza l’onere da sopportare per regolarizzare la propria posizione.
E qui sorgono difficoltà che forse spiegano la lunga gestazione. Tecnicamente, un provvedimento come lo “scudo” è relativamente semplice da congegnare. Poiché si basa sul principio del “condono” delle irregolarità commesse fino al momento del rimpatrio (“no questions asked”), è sufficiente definire la percentuale a carico del contribuente sul valore delle attività rimpatriate ed il gioco è fatto. La voluntary disclosure non comporta invece alcun condono e si basa sul principio che, a seguito dell’autodenuncia, il contribuente deve pagare le imposte che avrebbe pagato nei periodi di imposta ancora aperti se avesse detenuto le disponibilità estere “in chiaro” (più gli interessi). Il premio per chi si autodenuncia consiste in uno sconto sulle sanzioni e nella non punibilità penale.
Sulla base delle anticipazioni note al momento sui contenuti del provvedimento, sembra però che questi principi troveranno applicazione non attraverso norme semplici e chiare dettate allo specifico fine ma, piuttosto, attraverso un rinvio ad un gruppo di complesse norme già vigenti, la cui applicazione potrebbe oltretutto essere in parte rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione alla quale il contribuente si autodenuncia.
Vi sono due tipi di violazioni collegate alla omessa dichiarazione di disponibilità all’estero. La prima è la mancata dichiarazione in sé stessa, cioè l’omessa indicazione della disponibilità nel quadro RW, indipendentemente dal se o meno la disponibilità abbia prodotto reddito imponibile. La seconda è invece il mancato pagamento di imposte in Italia sul reddito generato dalla disponibilità, reddito che peraltro è meramente eventuale. Le sanzioni per violazione dell’obbligo dichiarativo – com’è noto – sono state già oggetto di riduzione con la Legge Europea 2013, mentre per l’omesso pagamento di imposte vigono numerose norme sanzionatorie di applicazione generale, sparse nell’ordinamento. Allo sconto su entrambe le tipologie di sanzioni si arriverebbe, secondo quanto noto al momento, attraverso un duplice meccanismo. In primo luogo, le sanzioni che l’amministrazione irrogherebbe a seguito dell’autodenuncia del contribuente dovrebbero essere determinate nella metà del c.d. minimo edittale (la sanzione minima prevista per una determinata violazione), purché le disponibilità siano trasferite in Italia ovvero in altro paese UE o aderente allo spazio economico europeo (altrimenti la riduzione si ferma a tre quarti del minimo edittale). In secondo luogo, il contribuente beneficerebbe di un ulteriore sconto attraverso la c.d. definizione agevolata, che gli consentirebbe di estinguere la contestazione conseguente all’autodenuncia con il pagamento, oltre che delle imposte evase, di un importo pari ad un terzo delle sanzioni determinate come detto o, comunque, di un importo “non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo“ ovvero ”se più favorevole, il terzo della somma delle sanzioni più gravi”.
L’applicazione di tale meccanismo deve quindi essere preceduta da un atto con il quale l’amministrazione, esaminata la “storia” delle attività in emersione attraverso un confronto (inizialmente anonimo) con il professionista incaricato dal contribuente, ne determina l’imponibilità a ritroso per poi calcolare le sanzioni irrogabili, da ridursi secondo la prima parte del meccanismo. E qui iniziano le difficoltà. Se la determinazione delle sanzioni per omessa indicazione nel quadro RW, essendo slegate da un imposta evasa, può risultare relativamente agevole, non altrettanto può dirsi quando si tratta di determinare sanzioni per le imposte evase, che vanno calcolate commisuratamente all’importo delle stesse. Tale importo dipenderà dalla tipologia dell’investimento in cui la disponibilità estera consiste: ad esempio, immobili, titoli di stato, azioni, obbligazioni, fondi di investimento, ecc.. I proventi di ciascuna tipologia sono assoggettati a prelievi di diversa misura, che per giunta sono cambiati nel corso degli anni. Inoltre, una norma (art. 1, D.Lgs. 471/97) prevede che le sanzioni riguardanti redditi prodotti all’estero siano, in generale, aumentate di un terzo. Se poi sono in gioco investimenti ed attività di natura finanziaria detenute in paesi black-list (tra i quali la Svizzera), altre norme (art. 12, D.L. 78/2009) stabiliscono che esse si presumono costituite con redditi sottratti a tassazione in Italia, salva prova contraria a carico del contribuente, ed inoltre che le sanzioni ed i termini prescrizionali per l’accertamento siano raddoppiati. E’ discutibile, tuttavia, che tali norme possano applicarsi per gli anni antecedenti la loro entrata in vigore (2009). Un’altra norma (art. 6, D.L. 167/90) prevede una presunzione di redditività pari al tasso ufficiale di riferimento delle attività estere di natura finanziaria, ma non è chiaro quale sarebbe l’aliquota d’imposta sul reddito presunto né è certo che il contribuente “in disclosure” ne possa invocare l’applicazione. Ancora un’altra norma (art. 12, D. Lgsv. 472/97) si occupa di violazioni “seriali” (che per definizione potrebbero considerarsi configurabili quando le disponibilità siano state detenute all’estero per più anni, cioè nella pressoché totalità dei casi), statuendo che “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base (per un solo periodo) aumentata della metà al triplo”. Anche l’applicabilità di questa norma (c.d. cumulo giuridico) non è certa.
Sembra che il provvedimento in gestazione non si occuperà di chiarire le modalità applicative di queste e di altre rilevanti norme, affidando il compito ad un successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Certo si è che, al momento — salvo il caso meramente accademico di un contribuente che abbia detenuto all’estero una determinata somma per 10 anni in un conto infruttifero senza aver mai fatto né versamenti né prelievi, caso in cui le sanzioni potrebbero essere facilmente calcolate — qualunque contribuente animato da buoni propositi ma le cui disponibilità estere abbiano una storia più variegata, per calcolare il costo della regolarizzazione sarebbe costretto, insieme al consulente a cui si è affidato, ad affrontare il labirinto di norme tipico della nostra legislazione fiscale, con possibili effetti scoraggianti. Perché la voluntary disclosure possa portare in tempi brevi i risultati auspicati, sarebbe forse bene prendere in considerazione la rapida emanazione di norme di semplificazione forfettaria sia del reddito estero che delle sanzioni, come è stato fatto in altri paesi, fermo restando il principio di fondo che il contribuente, diversamente da quanto avvenne con gli “scudi”, debba pagare interamente le imposte come se avesse detenuto “in chiaro” le disponibilità estere.