A Parigi la storia è il presente
Ho pensato, perché non segnalare loro almeno 10 cose da vedere a Parigi? Naturalmente, mica sono stato a Parigi, però mi sono fatto aiutare da Farah Nayeri corrispondente culturale del New York Times che a Parigi c’è stata per la FIAC, la Foire Internationale d’Art Contemporain, conclusasi da poco.
A Parigi il passato è sempre declinato al presente e lo si vede proprio dallo spazio che la Ville Lumière dedica all’arte contemporanea, in questo momento che la contemporaneità ha il sapore amaro del primo olio.
Effimero? Come la Eiffel?
C’è poco da dire sulla FIAC dal momento che, ormai, si è chiusa. Ma c’è molto da dire sull’edificio che l’ha ospitata. Non il solito Grand Palais, in ristrutturazione, ma un edificio temporaneo che dialoga con la Torre Eiffel e lascia a bocca aperta: il Grand Palais Éphémère. Denominazione intrigante e postmoderna per la nuova stupefacente struttura a croce latina di 10mila metri quadri progettata dall’Architetto Jean-Michel Wilmotte e costata al governo francese 40 milioni di euro.
Nel 2024 ospiterà le gare di Judo dei Giochi Olimpici estivi. La struttura si potrebbe davvero definire liquida: utilizza materiali interamente riciclabili, smontabili e facilmente riconfigurabili come dei pezzi di lego.
Fa un po’ sorridere l’appellativo “éphémère”, pensando alla vicina Tour Eiffel che avrebbe dovuto essere, anch’essa, “effimera”. Forse l’unica vera “effimerità” di questo modernissimo Grand Palais riguarda la durata dei materiali nel tempo. Ma, tanto, interessa il futuro ai parigini?
Il drago di Calder
Sempre legato alla FIAC, ma visibile fino al 2 gennaio 2022, è l’enorme installazione (17 metri di lunghezza per 10 di altezza) di Alexander Calder in Place Vendôme alla base della omonima spilungona colonna. È il Flying Dragon assemblato dall’artista newyorchese nel 1975, l’anno prima di morire.
Sembra un velivolo alieno sceso, per un avaria, nel cuore di Parigi. Magari proviene da un Marte, oramai colonia cinese. Ma Parigi non ha paura dei cinesi, Parigi non ha paura di nulla.
L’insieme colonna-dragone è un po’ kitsch e verrebbe da dire “ma vai in dôme”… però guardando e riguardando se ne è conquistati. Parigi è così, è l’ente onnivoro de La Citta incantata di Hayao Miyazaki: ingoia tutto.
Picasso, straniero vessato
Per 40 anni Pablo Picasso è stato un sorvegliato speciale dalla polizia segreta d’oltralpe. Il 4 novembre apre al Palais de la Porte Dorée, nei locali del Musée national de l’histoire de l’immigration, una mostra con 200 opere dell’artista, materiale filmico e documenti che riguardano i rapporti di polizia, le pratiche per la cittadinanza, la corrispondenza con la madre e altri oggetti personali di Pablo Picasso durate la sua permanenza sul suolo francese nel periodo 1901-1940.
Picasso, considerato dalla polizia “un artista di scarso merito”, veniva associato agli ambienti anarchici e comunisti spagnoli. Inoltre non parlava francese, rincasava a notte fonda, leggeva giornali stranieri e dipingeva mendicanti e donne del popolo.
Solo nel 1958 la Francia si accorse del valore dell’artista: offrì a Picasso la cittadinanza e la Legione d’onore. L’artista li rifiutò entrambi. Una storia, quella di Picasso e la Francia, d’ingratitudine e anche di vessazione (che manca lo spazio per raccontarla).
Georg Baselitz, lo straniero omaggiato
Impossibile non sostare al Centre Pompidou, la “raffineria” dell’arte moderna. Lì ci trovate fino al 7 marzo 2022 una grande retrospettiva di un pittore per il quale i francesi hanno un debole, il tedesco Georg Baselitz.
Un raro atto di reciprocità dei francesi e di Parigi verso il (non più) problematico vicino. Ricordiamoci che i tedeschi, cioè i nazisti, volevano distruggere Parigi; in proposito c’è il bel film del 2014, Diplomacy – Una notte per salvare Parigi, su Prime Video.
L’artista di Dresda ha rappresentato, con la sua fredda e inquietante tavolozza e con i suoi dipinti a capo all’ingiù, la distruzione totale della Germania (cose e coscienze) seguita alla guerra. Tutto si era rovesciato.
Baselitz, oggi 83enne, ha ricevuto il maggiore riconoscimento francese nel campo dell’arte: la nomina a membro dell’Académie des Beaux-Arts di Parigi come artista non francese, un riconoscimento che, in precedenza, era toccato ad Andrzej Wajda e Federico Fellini.
Al Pompidou sono esposte, in ordine cronologico, opere che coprono oltre mezzo secolo di attività dell’artista.
Lo spleen di Parigi raffigurato da un’altra Dumas
Sull’altra sponda della Senna, al Museo d’Orsay, espone un’artista contemporanea tutta da scoprire. È la pittrice sudafricana, d’origine boera, Marlene Dumas che rende omaggio al più celebrato poeta francese del XIX secolo, Charles Baudelaire, a 200 anni dalla nascita.
L’Orsay propone 14 dipinti della 68enne pittrice di Città del Capo, tutti ispirati a Le spleen de Paris, sottotitolo dei Petits Poèmes en prose, scritti da Baudelaire tra il 1855 e il 1869.
Solo Baudelaire poteva raccontarci il senso di ubriacatura che Parigi trasmette a chi diviene prigioniero del suo spleen! Editi in Italia da Feltrinelli; solo 1,99 € in Kindle Store. Nella sua collezione permanente, il museo espone, altre tre importanti opere della Dumas.
Ancora l’Africa; ancora un artista che celebra un poeta
La Galerie Lelong & Co. (zona Champs-Élysées) dedica una personale (Partages, fino al 10 novembre) a Barthélémy Toguo, pittore, scultore, fotografo e artista performativo franco-camerunese.
Toguo è anche conosciuto per una serie di performance chiamate “Transit” che sono andate in scena in luoghi di transito come aeroporti, stazioni ferroviarie e mezzi di trasporto. In una performance, si è presentato al check-in di un volo all’aeroporto Charles de Gaulle, indossando un cartucciera riempita di caramelle. In un’altra, si è seduto nello scompartimento di un treno in tuta da netturbino, creando scompiglio tra i viaggiatori e provocando l’intervento del capotreno.
In otto dipinti completamente blu, denominati Partages I-VIII, Toguo commemora il poeta e scrittore di origine egiziana Edmond Jabès, scomparso 30 anni fa. I dipinti, che sono evocazioni del genocidio, dello sradicamento e dell’esilio, tracciano un parallelo tra lo scrittore e il popolo Bamileke del Camerun occidentale.
La mostra presenta anche un’installazione interattiva: i visitatori possono fare una donazione o inviare un messaggio cartaceo o elettronico all’artista.
Flashback nel grande collezionismo russo
200 opere, mai viste al di fuori della Russia, appartenenti a quella che fu la Collezione Morozov, sono state riorganizzate ed esposte (fino al 22 febbraio 2022) da Anne Baldassari — già direttrice del Museo Picasso di Parigi — alla Fondation Louis Vuitton al Bois de Boulogne nell’avveniristica “nave” progettata da Frank Gehry.
La collezione dei fratelli Morozov, imprenditori tessili nella Russia zarista, raccoglieva i lavori, acquistati anche durante le frequenti visite d’affari a Parigi, dell’avanguardia francese e russa del tempo, costituita da artisti come Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Renoir, Monet, Bonnard, Denis, Matisse, Derain, Picasso, Malevitch, Repin, Larionov, Sérov.
Confiscata dai rivoluzionari d’ottobre e dispersa fra i musei russi, la collezione è stata ricomposta e allestita dalla Baldassari, come in un macchina del tempo, in una scenografia che immette il visitatore nell’originale disposizione della quadreria realizzata, all’epoca, dai fratelli Morozov.
5 maggio 1821, ancora orba di tanto spiro
Poteva mancare Napoleone a Parigi a duecento anni precisi dalla sua morte? Certo che no! Ecco che Parigi, la città dove la storia è il presente, dedica una memoria storica al piccolo grande corso.
Certamente gli inglesi non andranno alla Villette a visitare le memorabilia del “tiranno”, ma noi italiani, che gli dobbiamo molto, dovremmo farlo. Nella Grande Halle de la Villette, fino al 19 dicembre, come in un film in costume, scorrono momenti della vita di Napoleone.
Gli oggetti di scena sono 150 pezzi e arredi assolutamente originali, utilizzati dal generale e dall’imperatore (anche dell’Elba) nella sua vita intima e sentimentale, ma anche in quella pubblica. Questi oggetti sono disposti in un percorso cronologico e pedagogico suddiviso in nove sezioni.
Ecco la spada intarsiata di gioielli, la fascia tricolore delle cerimonie, i letti, il trono con monogramma e l’originale carro di legno che portò il suo corpo al luogo del suo ultimo riposo nell’isola di Sant’Elena.
Il cilindro di Tadao Ando
Impossibile farsi sfuggire l’intervento minimalista dell’architetto giapponese Tadao Ando alla Borsa di commercio di Parigi dove, dal 22 maggio 2021, si può visitare la collezione d’arte contemporanea del multimiliardario del lusso François Pinault (Gucci ecc.). Si tratta di una collezione unica costituita da 10mila opere d’arte di 400 artisti, raccolte in 40 anni dal fondatore di Kering.
Ando ha progettato un cilindro di cemento di 29 metri di diametro, inserito a mo’ di matrioska nello spazio rotondeggiante del vecchio e glorioso edificio (già abitazione di Caterina de’ Medici) che è mantenuto in tutto il suo splendore decorativo come un guscio che incorpora il cestello di una lavatrice.
Passato e presente fusi nell’immanente. Superbo!
Il tempio della settima arte, inventata a Parigi
Come non andare o tornare a Bercy per sostare una mezza giornata nell’avveniristica cattedrale del cinema, progettata da Frank Gehry: la Cinémathèque française – Museo del Cinema di Parigi. S
variati anni fa ho preso un alberghetto (un Ibis) a 100 metri dalla cineteca e per quasi una settimana ho visto tutte le proiezioni che vi si davano. Allora c’era una retrospettiva del grande cinema polacco (Wajda, Kieslowsky, Zanussi, il primo Polansky ecc.) con film (in polacco) dibattiti e incontri (in francese) ad altissimo livello.
Nelle pause tra le proiezioni (fino a tarda notte), mi trattenevo nel Parco di Bercy, dove superata la Senna, si estende l’austero e un po’ greve edificio a forma di libro della Bibliothèque nationale de France. Notevole però al suo interno.
Alla Cinémathèque française fino a 6 gennaio 2022 c’è una mostra che coniuga cinema e moda: Cinémode par Jean Paul Gaultier.
Retrospettive del mese di novembre: Philipp Noyce, John Sayles, Alain Renais, Jacques Roziers, Nicole Garcia, American Fringe, saison 5.
Come si può chiamare il ristorante della Cinémathèque française? Facile: Les 400 coups.
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La cosa da immaginare
Christo!, l’ha fatto davvero
Purtroppo dal 3 ottobre non è più visibile l’Arc de Triomphe empaqueté, l’opera postuma (questa si éphémère) di Christo, l’artista bulgaro che deve moltissimo a Parigi, e della compagna di vita e d’arte Jeanne Claude, l’artista di Casablanca anch’ella legatissima a Parigi.
Dopo 60 anni dalla sua ideazione il progetto di Christo sembrava l’icona di un’utopia, quando il governo francese, inaspettatamente, ha dato il permesso a un atto evidentemente irriverente, coprire come con una sorta sudario l’emblema della grandezza della storia della Francia.
Indubbiamente c’è stato qualcosa di sacro, più che di profano, in questo progetto di Christo che costituisce anche il suo maggiore lascito artistico. Come in effetti lo aveva pensato, il rivestimento in polipropilene (25 kmq di materiale), ha trasformato la pietra inerte del tronfio arco in un mana, conferendole uno stato vivo, animato, sensuale, ansimante.
Lo stesso Christo l’aveva pensato così:
“Sarà come un oggetto vivente che si animerà nel vento e rifletterà la luce. Le pieghe si muoveranno, la superficie del monumento diventerà sensuale. Le persone avranno voglia di toccare l’Arco di Trionfo”.
Vestito da sidolizzatore (cfr. Squid Game) che incombe come il corvo di Pasolini (gli ho trafugato cencio e boccetta), dico che va bene Parigi, ma c’è anche Treviri/Trier con il suo immenso duomo, la Basilica di Costantino, la Porta Nigra, le terme romane, il mastodontico monumento a Marx, “regalo” hors gabarit dei cinesi, la casa natale del filosofo e agitatore, mèta dei visitatori del (nuovo) celeste impero.
Soprattutto si còlgono fantastici porcini, intorno a Trier, ed è stagione. E ci sono le bancarelle con il vino della Mosella, i suoi “Sekte” e, poco più in là, l’Hunsrück, set di Heimat (orasu Chili, 3,99 € a episodio) e, accanto, il Lussemburgo…
OK, ti sei divertito. Ora rendimi la lattina di Sidol! Parigi è centro, contemporaneità, animazione, stimolo? Evabbbene. Trier invece, lascia che te lo dica, è periferia, passatismo, torpore, freno.
Vedi che succede a lavorare sotto mentite spoglie? E ora che fai? Mi dai in pasto a Totò?