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Visentini: il mondo cambia, è tempo che anche Confindustria rinnovi la rappresentanza delle imprese

L’ormai prossimo rinnovo dei vertici della Confindustria stimola qualche riflessione sul ruolo della rappresentanza delle imprese nella realtà di oggi. Certamente il distacco della Fiat dalla Confindustria fa data. Non tanto perché “snatura la maggiore organizzazione italiana degli imprenditori”, quanto perché ne è la presa d’atto: è simbolo dei problemi che da tempo si sono imposti nell’evoluzione delle cose, senza che si sia trovata l’abilità per districarne la soluzione. La risposta della Presidente Marcegaglia, così semplice e convincente, alle specifiche ragioni di Marchionne a spiegazione della disdetta, mi convince che la Fiat ha colto l’occasione per una decisione di strategia, comunque definita.

“Può un’organizzazione di imprese rinunciare alla maggiore e più rappresentativa industria privata italiana senza smarrire la sua missione?” Ma quale è oggi la missione? La Confindustria, istituita agli inizi del ‘900 come controparte sindacale nelle relazioni del lavoro, su questo fondamento, integrata dall’Assonime, ha esteso le competenze, divenendo con il Dopoguerra protagonista della politica economica italiana. L’organizzazione, che ci viene tramandata, allora bene rispondeva alla missione di corpo di rappresentanza dell’industria privata, dell’iniziativa economica privata grande e piccola, poderosamente sviluppata sotto il governo dello Stato, nel contesto amministrativo dell’economia mista, nella dialettica contrapposizione con l’impresa pubblica, dominante nelle fonti d’energia e nei servizi di pubblica utilità; dialettica divenuta ancor più sicura dopo la nazionalizzazione dell’energia elettrica.

In questo contesto si spiega il diffuso, autorevole, servizio di consulenza alle imprese, generato dal rapporto privilegiato con le autorità, nell’assenza di servizi professionali concorrenti sul mercato. Sono missione e privilegio che il tempo ha dissolto; l’organizzazione è oggi un bel vestito senza corpo. È un altro dei retaggi che ci trasciniamo per non essere riusciti, con gli anni ’90, ad adattare le nostre istituzioni ai nuovi tempi.

Cosa può essere la Confindustria in un mercato europeo integrato nell’economia globale? Non è soltanto la Fiat ad essere dislocata in differenti territori, nei mercati integrati; ad essere senza nazionalità, se non forse per la legge della società e dell’impresa, liberamente scelta; nella concorrenza tra ordinamenti giuridici; tra amministrazioni; tra mercati del lavoro, selezionati secondo la qualificazione e l’istruzione professionale. Ormai è la realtà di imprese che sono dislocate come multinazionali, che possiamo dire minori se guardiamo soltanto al volume d’affari: sono la tipologia del prodotto e della clientela che fanno l’impresa globale o locale. È realtà così diffusa da essere l’economia industriale di oggi. È una realtà nella quale ci siamo inseriti profondamente, con i nostri difetti e con i pregi, che ancora ci consentono di reggere il confronto. A ciò siamo arrivati grazie anche alla decisa volontà delle imprese e delle loro rappresentanze. È curioso: la Confindustria è stata attore propulsivo fondamentale dell’integrazione europea e mondiale dell’industria e dell’economia italiana, anche come mezzo per privatizzare il mercato, e così sfuggire ai lacci nazionali ormai inutili e frenanti; ma poi non ha saputo aggiornare se stessa.
 
Sul piano della rappresentanza nazionale degli interessi serve una Confindustria? Sento di escludere il compito di forgiare cultura economica nell’interesse generale del Paese, con la sensibilità che spesso nel passato ha caratterizzato le associazioni d’imprenditori nel contesto dell’economia mista. Oggi, nel mercato privato liberale s’impone la separazione dei ruoli. Meglio rispondono ad obiettivi d’interesse generale le accademie, che anche l’industriale può sentire la motivazione di promuovere, ma con strumenti diversi dall’associazione, come vediamo all’estero, think thank, fondazioni, dai quali il promotore si distacca, una volta creati. Perciò sento inappropriato oggi per associazioni di parte sia disporre di accademia che di stampa.

Nel mercato è intrinseco alla organizzazione associativa l’interesse di parte, però inteso seriamente come interesse integrato degli associati, ben compreso come interesse nella prospettiva del medio termine, e non del vantaggio congiunturale di ciò che la singola entità riesce ad acchiappare. Questa rappresentanza d’interessi d’impresa è certamente necessaria nei confronti dei sindacati, dei governi nazionali, dell’Europa, delle rappresentanze in altri territori. L’industria che opera in Italia, anche se globale, ha bisogno di una cinghia di trasmissione dei propri interessi nel territorio. L’Europa e il globale non annullano il nazionale; anzi! Ne mutano la prospettiva, e quindi gli interessi da rappresentare. Sono gli interessi alla valutazione e rielaborazione dei dati secondo la propria prospettiva; alle politiche macroeconomiche, a seguire le leggi nazionali nel contesto globale; alla qualità delle relazioni di lavoro; alla qualità professionale del lavoro nella concorrenza del mercato globale del lavoro. Ma è difficile formulare una tecnica di organizzazione che risponda, e costringa, all’integrazione degli interessi nella nuova realtà, senza cadere nelle spinte congiunturali e personali di alcune parti più influenti. Lo stato attuale associativo si rivela assai disomogeneo, specie per la presenza di entità sotto influenza statale.

Le associazioni territoriali servono le industrie che restano radicate nel territorio per la produzione e la clientela, nel proporre loro servizi estremamente utili, con risultati, a quanto vedo, differenti, ma svolgendo compiti essenziali. Peraltro difficilmente possono accompagnare globalmente le imprese che si inseriscono nel mercato mondiale, se non con costi proibitivi, in concorrenza con società professionali che dispongono di organizzazione mondiale. Per altro verso nel nuovo contesto poco serve alle associazioni territoriali l’integrazione nazionale. Ancora diverse sono le associazioni settoriali, spesso integrate a livello europeo e globale, piuttosto che nazionale, con obiettivi specializzati al settore.

Le riflessioni che sono venuto svolgendo non possono non sollevare due interrogativi: 1) come sarà la prossima campagna elettorale confindustriale? 2) che influenza avrà il distacco Fiat sulle candidature?

Non credo che il problema sia la persona. Certo la qualità degli uomini conta; ma quello che può fare la persona dipende dall’organizzazione, e dalla filosofia che la alimenta.

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