Il 25 gennaio Luca Paolazzi ha pubblicato su FIRSTonline un articolo in cui sottolinea come la pericolosità del coronavirus cinese sia stata esagerata: il tasso di mortalità è molto basso, nettamente inferiore a quello del coronavirus della Sars del 2003, e in ogni caso l’influenza (il coronavirus appartiene alla famiglia dei virus influenzali) uccide ogni anno nel mondo decine di migliaia di persone senza che nessuno ne riempia i titoli dei giornali. Dal che Paolazzi conclude che da questo panico tutti ci perdono, eccetto i media, che magari fanno soldi con la pubblicità messa vicino ai titoloni sul virus. E conclude: «Shakespeare direbbe: tanto rumore per nulla. E noi, più modestamente, concludiamo che i media sono gli untori (virtuali) del XXI secolo».
Alla deprecazione di Paolazzi si è aggiunta recentemente la condanna di una professoressa di Storia della medicina, Eugenia Tognotti, che sulla «Stampa» ha scritto di “isteria collettiva”, e che “i sintomi non sarebbero preoccupanti come quelli della Sars, tanto che l’Oms ha deciso di non dichiarare a tutt’oggi un’emergenza internazionale di sanità pubblica, come ha fatto per l’Influenza suina ed Ebola” (emergenza internazionale che è stata invece dichiarata a poche ore dall’uscita dell’articolo). C’è da sperare che nelle settimane a venire la sfida della comunicazione del rischio non venga perduta da tutti gli attori sulla scena – conclude Tognotti – che hanno finora ingenerato psicosi ed eccessi di allarmismo. La differenza fra la deprecazione degli eccessi di allarmismo fra Paolazzi e Tognotti è che il primo dà la colpa ai media “untori”, e la seconda condanna tutti gli autori sulla scena.
Vorrei osservare che è prematuro parlare di scarsa pericolosità prima di capire quale sia la rapidità di diffusione del virus. Paolazzi scrive che in questa stagione negli Usa ci sono stati 2.100 morti per influenza su 4,6 milioni di ammalati, e sembra suggerire che non ci dobbiamo preoccupare per i 41 morti (al 25 gennaio, quando scriveva; ma ora, fino a ieri, sono 213, e aumentano ogni giorno) del nuovo virus. La Tognotti dice che il tasso di mortalità del virus cinese è del 2%. Ma quello dell’influenza normale negli Usa è, secondo i dati di Paolazzi, dello 0,046%. Un 2% è devastante: chi non avrebbe paura di ammalarsi di qualcosa che porta alla tomba un ammalato su 50? Specie quando non esistono quei vaccini che invece esistono per l’influenza.
La Sars ebbe un tasso di mortalità più elevato e durò otto mesi. Ma, a meno di due mesi dall’inizio, il nuovo coronavirus ha già infettato più persone di quante la Sars ne infettò dal novembre 2002 al luglio 2003. Potrei, per suscitare più isteria collettiva, ricordare l’influenza spagnola del 1918, che fece oltre 50 milioni di morti, ma non sarebbe corretto: quella fu una tempesta perfetta che non si potrebbe ripetere nel mondo di oggi. Non si potrebbe ripetere perché oggi c’è la capacità di circoscrivere la diffusione del virus. Non si potrebbe ripetere perché un’utilissima e giustificatissima paranoia spinge tutti gli attori sulla scena a prendere misure e contromisure per minimizzare il rischio del contagio e della diffusione (compreso il ruolo dei media: “All the News That’s Fit to Print”, dice il motto del New York Times).
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La famosa influenza spagnola del 2018.