Un fenomeno in crescita, ma che resta pur sempre elitario. E dai contorni ancora incerti, in mancanza di una normativa certa. Si tratta della produzione e consumo del cosiddetto vino “naturale”, portata avanti da un numero esiguo di produttori e di consumatori esigenti. Le virgolette sono d’obbligo, visto che certezze ancora non ce ne sono, anche se cominciano ad emergere primi dati su questo interessante fenomeno che vede spesso contrapposti i “Golia” della grande produzione industriale e i “Davide” della produzione artigianale. Il vino “naturale” affronta oggi lo scetticismo di parte del mondo accademico e le diffidenze e i lacci della burocrazia italiana ed europea. Al di là delle mode, i produttori sono portavoce di un sogno di naturalità e di ritorno alla natura auspicato da un numero maggiore di persone stanche delle scorciatoie della globalizzazione e dell’uniformità di prodotti e gusti del vivere contemporaneo.
La definizione. Secondo i produttori, il “vino naturale” è un vino che non presenta alcuna sostanza additiva al di là del mosto in un quadro normativo che oggi consente l’aggiunta di fino a 100 sostanze additive, tra tannini, lieviti selezionati o gomma arabica, durante il processo di trasformazione dell’uva in mosto. Si tratterebbe di un passo in avanti rispetto al vino biologico che, secondo le leggi europee, può ancora contenere fino a 60 sostanze additive. La ragione per ricorrere agli additivi è essenzialmente commerciale: generare un prodotto standard il cui gusto non vari troppo da vendemmia a vendemmia, nonostante le variazioni di clima e nel territorio, e che duri di più in vista dell’export.
La produzione. I numeri della produzione di “vino naturale” sono ancora esigui, anche a causa della minore resa di questo tipo di produzione: i produttori naturali ottengono una quantità di ettolitri 2,19 volte minore rispetto a quella del vino comune. Questo è il motivo per cui talvolta i vini naturali sono più costosi degli altri e sono prediletti da un’elite di consumatori attenti alla qualità. Secondo il recente volume “Il vino ‘naturale’. I numeri, gli intenti e altri racconti” (scritto dal collettivo Servabo ed edito da Versanti) che, tra i primi, cerca di dare una fotografia precisa della produzione di “vino naturale” in Italia, nel nostro Paese esisterebbero 771 produttori che lavorerebbero l’1,64% della superficie viticola italiana e produrrebbero lo 0,74% dell’output globale. Secondo la ricerca, quasi la metà di queste aziende si trova nel Nord d’Italia e produce il 45% degli ettolitri totali. Tra le regioni in evidenza figurano Toscana e Piemonte, in prima linea nella produzione di “vino naturale”, nonché il Trentino Alto Adige che vanta la più alta percentuale di ettari ed ettolitri naturali con rese superiori a quelle dei vini “non naturali”. Fanalino di coda la Sicilia, che presenta una resa particolarmente scarsa. Nel 2011 le bottiglie sono state 42 milioni, pari quindi a quelle prodotte da una grande azienda italiana, come la Zonin. Del totale dei produttori, il 60% ha la certificazione biologica, mentre il 13% ha ottenuto una certificazione Demeter da produzione biodinamica.
La certificazione. La certificazione è uno dei maggiori problemi per i produttori “naturali”. A oggi la dizione vino “naturale” non esiste e una simile denominazione non esiste nei regolamenti che disciplinano la commercializzazione del vino in Italia e in Unione europea. Chi produce vino “naturale” non può apporre quindi nessuna etichetta “legale” che qualifichi la propria produzione in questo senso. Vitale diventa quindi la fiducia tra il consumatore e il produttore o distributore.