Ne abbiamo prodotto 48,5 milioni di ettolitri (fonte MIPAAF, Ismea, UIV) e ne abbiamo esportato per 5,4 miliardi di euro, con percentuali in costante crescita (+4,5% in volume e +7,9% in valore nel primo semestre 2016). Il successo mondiale del vino italiano è un dato indubitabile. Anche per quest’anno siamo i primi produttori al mondo, sopra la Francia, sopra la Spagna, sopra tutti.
Le nostre aziende hanno saputo conquistare un mercato internazionale che ha iniziato ad aprirsi sempre più al vino e che chiede prodotti di qualità. E oggi il settore vinicolo italiano è una realtà di tutto rispetto nel comparto economico produttivo nazionale. Vi lavorano, circa 1,3 milioni di persone, fra lavoratori impegnati direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse, di servizio e in un vastissimo indotto (dal vetro all’enoturismo).
Secondo uno studio della Coldiretti la raccolta di un grappolo alimenta opportunità di lavoro in ben 18 settori: agricoltura, industria trasformazione, commercio/ristorazione, vetro per bicchieri e bottiglie, lavorazione del sughero per tappi, trasporti, assicurazioni/credito/finanza, accessori come cavatappi, sciabole e etilometri, vivaismo, imballaggi come etichette e cartoni, ricerca/formazione/divulgazione, enoturismo, cosmetica, benessere/salute con l’enoterapia, editoria, pubblicità, informatica, bioenergie.
Insomma un patrimonio da difendere e da sostenere perché le sue potenzialità di sviluppo lungi dall’essersi esaurite nel boom di questi anni sono enormi soprattutto ad Est. Ma come sempre accade dietro un successo si prospettano sempre insidie.
Lancia un alert di attenzione il rapporto annuale di Federdoc, la Confederazione Nazionale dei Consorzi volontari per la tutela delle denominazioni di origine, presieduta da Riccardo Ricci Curbastro, organismo interprofessionale che raccorda le componenti agricole, industriali, cooperative e commerciali del settore per affrontare problemi delle denominazioni e garantire l’apporto per la tutela e la salvaguardia legale internazionale.
“L’Italia del vino si conferma un Paese orientato ad un export verso i Pesi terzi – sottolinea Riccardo Ricci Curbastro, Presidente Federdoc, nel presentare il rapporto – Mentre i consumi interni pro capite continuano a calare, prosegue la scalata ai mercati esteri, confermando quelli storici come USA, Regno Unito e Germania, mantenendo salde le posizioni in Francia, Canada, Australia e Messico ma, soprattutto, sviluppando numeri rilevanti in Cina e Corea, target di assoluto valore. Ma in realtà è tutto il mondo che chiede i nostri vini e non è un mistero che ormai l’80% delle etichette nazionali sono destinate a superare i confini italiani”.
Un exploit che rende ancora più importante il ruolo di controllo e vigilanza che Federdoc svolge per proteggere i vini italiani a DO e tutte le aziende del comparto che, nell’ultimo anno, hanno sviluppato introiti per quasi 10 miliardi di euro. Una voce importante per il bilancio del Paese, un asset fondamentale che va protetto da molteplici attacchi e che, solo negli ultimi mesi, ha visto Federdoc protagonista di numerose battaglie.
“Siamo stati promotori, insieme alle altre organizzazioni della filiera – ha spiegato Ricci Curbastro – di moltissime azioni atte a proteggere le DO italiane. Vale la pena ricordare che abbiamo ottenuto la modifica della proposta che aveva come obiettivo concreto quello di liberalizzare l’uso delle varietà che, se fosse stata accettata, avrebbe causato un vulnus gravissimo all’intero sistema delle Indicazioni Geografiche. Così come fondamentale è stato il nostro intervento nella delicatissima questione dell’attribuzione dei domini .wine e .vin che ha consentito di evitare che il mondo del web diventasse una vera giungla, terreno di caccia ideale per chiunque volesse approfittare della rinomanza delle DO più note, usurpandone di fatto il nome con grave danno sia per i produttori che per i consumatori”.
Per intendere bene lo scampato pericolo val la pena di ricordare che l’ICANN – Internet Corporation for ASSIGNED Names and Numbers, società americana di diritto privato incaricata di gestire i nomi dei domini, ha deciso recentemente di estendere i nomi dei domini di primo livello generico. L’obiettivo è di permettere ad un privato, ad una società o ad un ente di registrare un indirizzo web specifico, sulla base della sua attività. Quattro dossier legati al settore vino sono stati deposti; tre imprese sono in concorrenza per gestire il “.wine” e una il “vin”.
Le società selezionate, una volta autorizzate da ICANN, avrebbero potuto commercializzare tali nomi di domini, permettendo ad individui privati o ad enti od organizzazioni di combinarli con un nome di dominio di secondo livello per degli indirizzi web personalizzati come, ad esempio”chianti.wine”, “prosecco.vin”, “rioja.wine”, “champagne.vine” ecc. Fortunatamente questa minaccia è stata sventata. Ma l’allerta resta sempre al massimo livello.
Non da ultimo il presidente Ferderdoc ha ricordato l’impegno nella lotta alla contraffazione che “ci ha visto stipulare un protocollo di intesa con l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi, l’AICIG ed E-bay. Un’operazione sinergica che ha determinato l’attivazione del programma VE.RO, uno strumento di monitoraggio del variegato mondo del web con la conseguente possibilità di segnalare in modo tempestivo irregolarità di tutti i tipi e che ha comportato il blocco di 368 annunci di vendita in contrasto con gli interessi delle DOP e IGP”.
La stessa conferenza è stata anche l’occasione per presentare il bilancio delle attivita’ dell’Aicig, l’Associazione Italiana Consorzi Indicazione Geografiche. La recente entrata in vigore, seppur a titolo provvisorio, dell’accordo di libero scambio tra Unione e Canada (Ceta) per Giuseppe Liberatore, presidente di Aicigi “rappresenta un passo in avanti nell’ottica di un superamento delle barriere commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, ed in particolare nel riconoscimento del sistema Ig e del livello di protezione ad esso riservato. Ancorché in presenza di talune concessioni a beneficio della controparte canadese, appare in effetti innegabile la conquista di uno status di maggiore tutela per un numero significativo di denominazioni italiane ed europee sul mercato nordamericano”.
L’Aicig è in particolare impegnata a studiare gli effetti di una ricerca commissionata dal Consortium for Common Food Names (Ccfn) per valutare l’impatto economico negativo, sui produttori del comparto statunitense, i consumatori e l’economia, per quanto riguarda l’utilizzo esclusivo dei nomi comuni riferiti a noti formaggi Ig.
“La posizione assunta dal Consorzio dei Nomi Comuni – ha dichiarato il Presidente di Aicig – ci impone un’ulteriore riflessione sugli enormi interessi economici di coloro che, da un lato, intendono attribuire carattere di genericità alle denominazioni europee, dall’altro, ne sfruttano convenientemente la buona reputazione operando una sostanziale svalorizzazione dei relativi marchi. Proprio nella necessità di confutare tale approccio, è pertanto necessario fare sistema a difesa del modello delle Indicazioni Geografiche”.