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Vino in Borsa, boom delle aziende vinicole: ecco la classifica

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Più che bolla, bollicine. Correva l’anno 2004 quando Mediobanca realizzò un indice mondiale dei prezzi delle azioni vinicole. Oggi questo indice comprende 50 società emittenti di 55 titoli trattati in 22 Borse, la cui capitalizzazione, a fine marzo 2018, era pari a 57,6 miliardi di euro.

Ebbene, la capitalizzazione dei titoli che compongono questo indice è aumentata del 12,2% tra marzo 2017 e marzo 2018. E allargando l’orizzonte temporale, i numeri sono di gran lunga migliori: dal gennaio 2001, l’indice di Borsa mondiale del settore vinicolo in versione total return (comprensivo dei dividendi distribuiti) è cresciuto del 719,6%, decisamente meglio delle Borse mondiali (+80% circa per l’MSCI Net Total Return World).

VINO, IL NUOVO BENE RIFUGIO?

Avete letto bene: +720%. Dal gennaio 2001 al marzo 2018, infatti, l’oro ha visto salire le sue quotazioni, con un’impennata in coincidenza della crisi greca e un successivo ripiegamento in scia al ritorno di un certo ottimismo sui mercati, di “appena” il 278%.

 

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Quindi? Era meglio rifugiarsi nell’alcol? Poggiate il bicchiere. Al di là della boutade, è bene tenere a mente la diversa natura dei due investimenti: da una parte l’oro, che è appunto il bene rifugio per definizione, in cui si investe più per mettere i propri soldi al riparo dalle intemperanze dei mercati che per guadagnare; dall’altra abbiamo invece titoli azionari, che non si possono certamente considerare un rifugio.

Le azioni, ripetiamolo ancora una volta, rappresentano un investimento nel capitale di rischio di un’impresa e possono darci tante soddisfazioni, ma non bisogna mai dimenticare che comportano dei rischi.

I VINI NON SONO TUTTI UGUALI

Anche perché, come sottolinea la stessa Mediobanca nell’indagine sul settore presentata in occasione di Vinitaly, non tutti i Paesi hanno partecipato allo stesso modo alla cavalcata del +720%.

La migliore performance in termini relativi – ossia al netto delle dinamiche delle Borse nazionali – è stata realizzata dalle società del Nord America (+744,6%), dell’Australia (+163,5%) e della Francia (+100%), mentre in altri Paesi le società vinicole hanno reso meno della Borsa nazionale: è successo in Cile (-40,1%) e in Cina (-73,4%).

VINO MADE IN ITALY

Chi avesse voluto partecipare a questo rally investendo in aziende quotate a Piazza Affari non ne avrebbe avuto la possibilità fino al 2015. Poi, in quell’anno, sono sbarcate in Borsa Italiana le uniche due aziende del settore ad oggi quotate: una è la IWB-Italian Wine Brands, che controlla la Giordano Vini e della Provinco, l’altra è Masi Agricola.

I titoli della IWB al 22 marzo 2018 quotavano 13,15 euro per un valore di Borsa di circa 75 milioni, in rialzo del 32% rispetto al prezzo di collocamento, mentre le azioni di Masi Agricola sempre al 22 marzo valevano 4,23 euro, l’8% sotto il prezzo di collocamento di 4,6 euro, con una capitalizzazione pari a 136 milioni.

Risultati, come si vede, abbastanza lontani da quelli dell’indice mondiale, che dal 2015 ha portato a casa un +400% circa: a conferma del fatto che, se la performance globale è stata stellare, nel dettaglio la situazione cambia molto da Paese a Paese (e da listino a listino).

Tuttavia, secondo Mediobanca, la Borsa resta per le aziende italiane un’occasione che è un peccato non cogliere: prendendo come base i multipli di Borsa delle società quotate sui mercati internazionali, gli analisti ha stimato che, se tutte le 94 SPA e SRL del settore decidessero di quotarsi, avrebbero un valore di mercato complessivo di 5,3 miliardi di euro, con un “premio” sul valore contabile (3,13 miliardi) pari a circa il 70%.

NUMERI E PREVISIONI DEL SETTORE VINICOLO

Peraltro, nella sua indagine, Mediobanca evidenzia come numeri e prospettive delle aziende italiane nel 2017 siano stati particolarmente floridi. Il fatturato è aumentato del 6,5% sul 2016 grazie non solo alle vendite estere (+7,7%) ma anche al buon contributo di quelle domestiche (+5,2%).

E a proposito di mercati esteri: nel 2017 le aree più dinamiche sono state quella asiatica (+21,1% sul 2016, per una quota sul totale del 4,2%) e il Sud America (+20,1%, quota dell’1,4% sul totale). Il 53,4% delle esportazioni si concentra sui Paesi UE (+8,6% rispetto al 2016).

Il resto del mondo (Africa, Medio Oriente e Paesi europei non UE), che rappresenta il 9,1%, ha registrato un +5,8% e il Nord America un +5,7% (per una quota pari al 31,9%).

Per il 2018, il 93% degli intervistati prevede di non subire un calo delle vendite.

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