Il Barolo oggi è uno dei vini più prestigiosi al mondo, ma non è sempre stato così. Il successo su scala internazionale risale solo agli anni Novanta del secolo scorso. Il primo Barolo, così come lo conosciamo oggi, è nato infatti con la creazione della Doc nel 1966, poi Docg dal 1980. Ma la sua storia comincia da molto lontano e, cosa incredibile, senza che nessuno si sia mai molto interessato nel tempo alla vicenda di questo vino oggi portabandiera della più alta enologia italiana. Una storia che ha dell’incredibile. La ricostruisce e racconta, dopo approfonditi studi e ricerche, Lorenzo Tablino, storico del vino e per anni enologo di Fontanafredda, nel libro “Alle origini del Barolo” edito da Slow Food. Tablino nel suo complesso lavoro a tratti archeologico, tra archivi e mura di antiche cantine, viaggia a ritroso nel tempo partendo dal successo del Barolo su scala internazionale, costruito solo da 50 anni a questa parte, e retrocede verso periodi storici molto lontani in cui questo vino non riesce a affermarsi oltre una ristretta cerchia regionale. E a dire il vero, documenti esistenti in vari archivi riescono a chiarire solo alcune questioni, su altre resta il mistero.
A differenza di suoi omologhi per prestigio, capacità di invecchiare e presenza sulle migliori tavole del pianeta, infatti, il Barolo cresce, si trasforma, spesso in silenzio, sottotraccia, in un territorio per certi versi magico, ma per anni caratterizzato sostanzialmente dalla povertà (a tratti estrema) dei contadini. Nel Bordolese o in Borgogna, come in altri territori famosi di Francia, la storia dei vini è stata tracciata chiaramente nell’Ottocento e anche prima, in via ufficiale, così là dove, come per esempio in Portogallo, nascevano vini che, molto apprezzati dagli inglesi, viaggiavano via mare per essere bevuti dai nobili e da ricchi borghesi, per il Barolo non era la stessa cosa. La storia ricostruita da Tablino racconta di un vino povero le cui lontane origini affondano nel 1200, un vino ovviamente, profondamente diverso da quello rinomato di oggi, fino a individuare una decina di cantine in attività prima dell’Unità d’Italia che hanno segnato poi il cammino trionfante di questo vino.
I primi vini risalirebbero al 1200 ma la dizione Barol figura solo nl 1751
Come inizia dunque la storia del Barolo? Tablino sottolinea che le citazioni sui documenti d’archivio sono abbastanza recenti se paragonate a quelle dell’uva. Se il Nebbiolo figura col nome di Nibiol in un elenco dei Vini fatti d’ordine della Castellania di Rivoli del 1261, per il vino Barolo occorre arrivare al 1751, quando, una partita di Barol è richiesta in Inghilterra.
Ma bisognerà aspettare il 1820, perché in uno scritto di Giorgio Gallesio, autore della Pomona italiana, si trovi la citazione il «Barolo giudicato migliore del Nizza». Altri autori, come Casalis (1834) e De Bartolomeis (1847), prendono in considerazione i vini prodotti nei comuni di Barolo e dintorni. Ma per questi documenti resta un dubbio relativo a una possibile confusione tra i vini di Barolo, ovvero prodotti nel comune di Barolo e magari ottenuti con uve diverse, e il vino Barolo vero e proprio, ricavato esclusivamente da uve nebbiolo che verrà consacrato come tale solo nel 1966.
Una curiosità: dal 1750 al 1865 passa oltre un secolo, è l’arco di tempo fra la comparsa del termine “Barol” e la prima produzione documentata del Barolo in purezza, ovvero un vino ottenuto esclusivamente con uve nebbiolo coltivate nella zona che, molti anni dopo, sarebbe ricaduta sotto la Doc nel 1966.
La disastrosa spedizione di vini piemontesi in Inghilterra
Un secolo di sorprendenti accadimenti con venature iperboliche come rivela un carteggio pubblicato nel libro “Alle origini del Barolo”, tra l’inviato piemontese alla corte inglese e funzionari dello Stato di Sardegna. “Carlo Perrone di San Martino – scrive Tablino – propone di inviare a Londra ben duecento botti di vino del Piemonte. Si preparò dunque la spedizione via mare dal porto di Nizza, ma andò tutto storto. Non si utilizzarono fusti di rovere, ma di castagno, non si aggiunse al vino, come consigliato dai commercianti inglesi, acquavite, secondo le usanze portoghesi. Non è finita: alcune botti furono fatte galleggiare sul mare, anziché imbarcate. Facile immaginare come sia arrivato il vino a Londra, infatti non piacque. Si preparò una seconda spedizione, che andò ancora peggio. Si misero casse di agrumi sulle botti di vino, ma le arance ovviamente andarono a male, e il vino diventò cattivo. Ma gli inglesi non desistettero e inviarono due commercianti alla corte sabauda a Torino, certi Voodmas e Clies. Siamo nel 1766. Da quanto sappiamo sarebbero ben 24 i territori piemontesi i cui vini interessano e sono ritenuti di alta qualità dagli inglesi.
La strada mancata per Nizza che fece preferire agli inglesi il Marsala con cui Nelson brindò alla vittoria su Napoleone
Per le Langhe si citano Barol, Serralongae e Verdun. Inizialmente i due commercianti insistettero per la costruzione di una strada tra Torino, Cuneo e Nizza, visto che allora c’era una semplice mulattiera. Ma il re tentennava, le finanze erano scarse, e non si fece nulla. Fu un grosso errore politico: all’Inghilterra interessavano i vini piemontesi in quanto le importazioni dal Portogallo si erano fatte molto difficili, a causa di gravi tensioni esistenti tra i due Paesi. Non si approfittò, insomma, di un momento molto favorevole. D’altronde i piemontesi erano guidati un’aristocrazia ancora chiusa nei privilegi dell’Ancien Régime e per nulla aperta alle visioni internazionali.
Finalmente nel 1780 si decise di iniziare i lavori per la costruzione della strada per unire Torino e Nizza tramite Cuneo, e avere finalmente un adeguato sbocco al mare. Ma ormai si era atteso troppo. Erano passati quindici anni dalla prima spedizione: lontano da Torino altri agenti inglesi avevano convinto i viticoltori siciliani a mettere un po’ di acquavite i loro vini bianchi, ed era nato così il Marsala, che piacque molto. Soprattutto non si era perso tempo per preparare le prime spedizioni, e fu un enorme successo. Non a caso l’ammiraglio Nelson brindò con questo vino per festeggiare le prime vittorie navali inglesi nel Mediterraneo contro la flotta napoleonica. Il Barol dovette attendere ancora oltre un secolo per potersi affermare”.
Le dieci cantine storiche che producevano Barolo prima del 1861
Insomma c’è tutta una lunga storia da scoprire in questo libro realizzato con il sostegno di Banca d’Alba. Alle radici del Barolo si arricchisce delle suggestive fotografie di Clay McLachan e le parole di Armando Castagno, giornalista ed esperto di vino, che accompagnano il lettore alla scoperta di dieci cantine in attività da prima del 1861 che ancora oggi producono Barolo. Fratelli Alessandria, Borgogno, Burlotto G.B., Cordero di Montezemolo, Fontanafredda, Umberto Fracassi, Marchesi di Barolo, Poderi Marcarini, Poderi Oddero e Rocche Castamagna vengono accomunati entro un’interessante prospettiva che collega l’attività contemporanea alle profonde radici ancorate nel passato, e che mostra in che modo i diversi protagonisti di questo scenario si misurino con un’eredità così importante. Perché come si legge nell’introduzione “Le radici di un vino, per come lo conosciamo oggi, non stanno soltanto nelle terre da cui trae nutrimento la vigna e nella loro composizione. Stanno, ovviamente, nel lavoro secolare di contadini e vignaioli, e si arricchiscono di personaggi centrali per l’evoluzione del vino stesso, fino a ciò che oggi rappresenta. Sono un insieme di relazioni che si intersecano nel tempo, a volte prendendo strade inaspettate e decisive per il futuro.