Gli ispettori della Bce non sono stati “più bravi” di quelli della Banca d’Italia nello scoprire le irregolarità sulle due banche venete. Lo ha detto Carmelo Barbagallo, responsabile della Vigilanza di via Nazionale, nell’audizione davanti alla Commissione d’inchiesta sulle banche. Nel momento in cui l’operato di Bankitalia sulla vigilanza è più che mai sotto i riflettori, Barbagallo ha cercato di respingere ogni critica sulla gestione di via Nazionale e ha richiamato l’attenzione sulla prima ispezione nei confronti delle due venete partita nel novembre del 2014, subito dopo il passaggio delle competenze di Vigilanza a Francoforte.
È stata Bankitalia, continua Barbagallo, ad accorgersi che le ricapitalizzazioni fatte dalle due banche venete per colmare lo shortfall erano irregolari, perché in gran parte finanziate con l’acquisto di azioni proprie non segnalate alla Vigilanza. Via Nazionale a quel punto ha segnalato il problema alla Vigilanza Bce che nel frattempo è partita.
Senza contare che gli amministratori delle due banche venete “hanno ripetutamente occultato importanti informazioni alla Vigilanza – ha aggiunto Barbagallo – di cui hanno deliberatamente disatteso le richieste”. Via Nazionale anche senza i poteri investigativi “ha segnalato tempestivamente le irregolarità all’autorità giudiziaria con la quale l’interlocuzione è stata continua e aperta, al pari della collaborazione con la Consob”.
Barbagallo ha spiegato che le operazioni “baciate” non sono più vietate per legge dal 2008 a patto che non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza. Per individuarle è stata fatta un’analisi complessa, resa ancora più difficile dal fatto che Bankitalia non ha i poteri dell’autorità di giudiziaria, come la possibilità di eseguire perquisizioni, sequestri o interrogatori.
Le due banche su questi temi hanno tenuto “gravi comportamenti” ma “il fattore che più di ogni altro ha determinato l’abbattimento del patrimonio è stato il deterioramento della qualità del credito – ha detto ancora Barbagallo – alla fine del 2016 i deteriorati delle due banche superavano i 18 miliardi ed erano pari per Bpvi al 35% dei prestiti e per Veneto Banca al 39% dei prestiti contro una media di sistema del 17 per cento. Sull’erogazione del credito, la Vigilanza ha più volte stigmatizzato le carenze gestionali e sanzionato i comportamenti scorretti ma non le è consentito l’esercizio di funzioni dirigiste nell’erogazione del credito”.
Le criticità emerse per le due banche venete sono riconducibili, in ultima istanza, “all’inadeguatezza del loro governo societario e, in tale ambito, all’autoreferenzialità del management – ha concluso Barbagallo – Le debolezze si sono innestate sulla recessione e prestiti erogati con leggerezza o in conflitto di interessi hanno portato i due intermediari in prossimità al dissesto”.
Difesa su tutta la linea anche per quanto riguarda la pratica delle cosiddette “porte girevoli”. Barbagallo ha precisato che “la Banca d’Italia non incoraggia né auspica che propri dipendenti siano assunti dai soggetti vigilati”, ma anche quando questo accade “non influisce sul corretto espletamento delle funzioni di vigilanza”. l riferimento è ai tre ex esponenti, tra i quali un alto dirigente di via Nazionale, assunti dalla Popolare di Vicenza. Barbagallo ricorda il codice etico della Banca d’Italia che ha posto dei paletti temporali al passaggio al settore privato degli uomini di Palazzo Koch.
Barbagallo ha infine negato che Bankitalia spingesse per fare delle Popolare di Vicenza dell’ex banchiere Gianni Zonin, oggi indagato dalla magistratura, il pivot delle aggregazioni bancarie, da Banca Etruria alle banche pugliesi, ma a Vicenza come a Montebelluna tutti sapevano che Via Nazionale vedeva di buon’occhio la fusione tra Pop Vicenza e Veneto Banca.