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Vigilanza bancaria, è ora di ripensarla

Imagoeconomica

Ancora oggi la vigilanza bancaria rimane improntata alla passata esperienza dell’economia mista, ostica per chi non l’ha vissuta.

La banca si configurava come attività per l’erogazione del credito a breve termine, di aziende soggette alla penetrante direzione e coordinamento del Governo, tramite la vigilanza. I finanziamenti a medio termine e partecipativi facevano capo al Governo mediante l’Iri, l’Eni, l’Imi, la Cassa per il Mezzogiorno, il Mediocredito e altri istituti; faceva capo anche la gestione delle leggi di agevolazione finanziaria per settori e territori. L’intermediazione bancaria prevaleva nel finanziamento dell’economia reale, rendendo marginale per le imprese produttive la raccolta diretta azionaria in Borsa; l’obbligazionaria era praticamente inesistente. La stessa Mediobanca, ideata da Mattioli come meccanismo per lo sviluppo del mercato della raccolta diretta, nei fatti si era concentrata, ad opera di Cuccia, nell’intermediazione creditizia per le imprese private. Le aziende e gli istituti di credito erano di diritto pubblico o società a controllo pubblico, sicché in definitiva era il Governo a nominarne gli esponenti: poche le banche significative di esclusiva pertinenza privata.

Elementare e banco-centrico, di aziende ed istituti pubblici specializzati, il sistema finanziario era strumento privilegiato del Governo nell’erogazione del credito, per la politica economica. Coerentemente, l’obiettivo della concorrenza tra gli operatori era residuale, in quanto avrebbe ostacolato la selezione del credito mediante la quale l’intervento pubblico otteneva quello che oggi indichiamo in aiuti di Stato. Quale attività di politica e di alta amministrazione, non cadeva sotto controllo giurisdizionale. I giuristi parlarono di ordinamento settoriale del credito, originale formula di servizio pubblico. A sua volta la sottrazione al mercato provvedeva alla difesa del risparmio, facendone garante lo Stato. La vigilanza sull’intermediazione bancaria era della Banca d’Italia, titolare della moneta, così da congiungere le politiche monetaria e finanziaria sotto l’alta direzione governativa. Ricordo che la Banca era allora agenzia tecnica del Governo, che disponeva della revoca del Governatore all’incrinarsi della fiducia, non essendo prevista scadenza all’Ufficio: l’indipendenza era affidata alla qualità della persona chiamata all’incarico. Necessariamente era un sistema finanziario autarchico.

Il sistema si rivelò efficace nelle fasi di ripresa del dopoguerra e di primo sviluppo dell’economia industriale; non avrebbe potuto durare. Comunque, era divenuto incompatibile con la successiva scelta dell’integrazione italiana nell’Unione Europea, che nell’area euro disgiunge finanza e moneta; che regola la finanza come mercato europeo aperto al globale; che affida la moneta e la vigilanza sui mercati finanziari ad Autorità indipendenti dalla politica.

Con la conversione del servizio pubblico del credito in mercato di imprese è stata convertita anche la vigilanza, da agente del potere governativo di indirizzare l’economia (mista) ad autorità del controllo prudenziale: riscontro della legalità dei comportamenti di agenti privati, indipendenti da autorità di governo, dipendenti dal mercato per la loro dimensione e sopravvivenza. Sono le imprese – libere di definire l’oggetto (c.d. banca universale) e di decidere le operazioni – che con le loro scelte concorrono ad indirizzare e coordinare, a formare il mercato finanziario. Verifichiamo la priorità del diritto privato, con conseguente espansione dell’intervento giurisdizionale: in definitiva il giudice, nell’applicare la legge per risolvere il conflitto, è l’autorità del mercato (rule of law).

Nell’organizzare la vigilanza prudenziale il diritto europeo articola le responsabilità in sistema di autorità di vigilanza, differenziate nelle funzioni: per contenere il controllo amministrativo al  ruolo di garante della legalità; per preservare sull’imprenditore il rischio dell’affare gestito nel mercato; per l’efficienza e la trasparente ripartizione delle responsabilità che si ottiene con il corretto bilanciamento dei poteri; per preservare la concorrenza da aiuti di Stato anche impliciti, la cui erogazione deve essere rimessa alla esclusiva competenza politica come eccezione alle regole generali della concorrenza, per definiti interessi generali.

È sistema già adottato da altri Stati membri (es. Francia); opportunamente, poiché nella dimensione europea, potenzialmente globale, il mercato che le imprese creano non rimane circoscritto al territorio della vigilanza nazionale. Non è adottato dall’Italia, che nell’adeguarsi alle istituzioni europee ha preferito profittare della deroga al riguardo consentita, per privilegiare la propria impostazione tradizionale; con inconvenienti.

Troviamo affidata alla Banca d’Italia la vigilanza prudenziale, concentrata nel Governatore e nel Direttorio, che lo assiste. Il Governatore è innanzitutto responsabile della politica monetaria quale componente del Sistema europeo delle banche centrali. Invece nella Bce la vigilanza macroprudenziale (interventi che riguardano il sistema) fa capo al Presidente, mentre la responsabilità della vigilanza prudenziale è affidata a distinto collegio (Consiglio di vigilanza) presieduto da persona nominata in sedi politiche secondo procedura che la configura in Autorità responsabile in proprio della competenza; secondo specifiche disposizioni che ne fanno un corpo la cui indipendenza è diversa dall’indipendenza della Bce nella competenza monetaria. Nel caso della Banca d’Italia, l’indipendenza della vigilanza prudenziale si immedesima nella Banca centrale, impedendo nella decisione di nomina del responsabile la valutazione distinta della personalità in corrispondenza dell’incarico; correlativamente la disfunzione della vigilanza compromette l’immagine del Governatore titolare della competenza monetaria.

Nello stesso vertice della Banca d’Italia si appuntano: la regolamentazione (normazione), le operazioni di vigilanza e la gestione delle crisi bancarie. Mentre nel diritto comunitario la normazione fa capo all’ABE (Autorità bancaria europea) e la gestione delle crisi bancarie è affidata al Comitato di risoluzione unico (agenzia dell’Unione con personalità giuridica). Il Fondo interbancario di tutela dei depositi è sì un consorzio tra gli istituti bancari aderenti, ma resta soggetto a stretta vigilanza della Banca d’Italia, con il rischio di inquinamenti nell’impiego delle risorse. Invece, secondo la recente proposta, il Sistema europeo di assicurazione dei depositi è affidato al Comitato di risoluzione, con gestione e responsabilità separata. Merita anche sottolineare che nell’esercizio della vigilanza della Banca d’Italia manca la procedura del riesame degli atti d’intervento che i destinatari possono promuovere, secondo la procedura comunitaria, presso la Commissione amministrativa del riesame, fornita di particolari garanzie di terzietà rispetto all’Autorità che ha emesso gli atti (organo quasi-giurisdizionale); particolarmente importante quando si tratta dell’irrogazione di sanzioni.

In questo contesto vanno discusse le vicende delle recenti crisi bancarie. Sono crisi in prevalenza dovute a disfunzioni nell’erogazione dei crediti, in sofferenza se non irrecuperabili. Sembrano disfunzioni più agevoli da monitorare, rispetto altre crisi; perciò da più parti, anche in Parlamento, si sono lamentate carenze di vigilanza, la cui scarsa reattività al momento in cui già si rivelavano ne ha aggravato il percorso. La concentrazione dei poteri porta a pensare che chi vigila e dispone anche della decisione sull’intervento di crisi possa essere portato al rinvio, nell’affidamento che il tempo potrà sistemare le cose; la situazione emerge in conflitto d’interesse se la crisi dovesse rivelare disfunzioni di vigilanza. Come spiegarci l’inerzia della vigilanza nonostante i gravi rilievi del rapporto ispettivo (verifiche al 5 luglio 2001) sulla Banca popolare di Vicenza? Il rapporto è stato ampiamente ripreso dalla stampa in seguito alla recente crisi. Ne viene messa in discussione la responsabilità del Governatore, mentre sarebbe bene che il sistema differenziasse le posizioni.

Sulla vicenda della Popolare di Bari abbiamo letto il decreto di amministrazione straordinaria (13 dicembre), il decreto-legge di fine anno (16 dicembre), la relazione del ministro Gualtieri (10 gennaio) e notizie di stampa. Si ipotizza la trasformazione della cooperativa in società per azioni, per poi ricostruirne il capitale. Sarebbe strano che l’intervento pubblico (come appare stando alla relazione del ministro) consentisse di ricostruire il capitale come se fossero apporti di terzi interessati all’acquisto delle azioni: la società tornerebbe solvente, mentre è proprio l’ausilio statale che ne confermerebbe la crisi irrimediabile: l’intervento non sarebbe capitale a titolo privato, ma aiuto di Stato. L’operazione confonderebbe le responsabilità, ma eviterebbe anche la dichiarazione d’insolvenza (rilevante tra l’altro agli effetti penali) già pronunciata nelle precedenti crisi (es. popolare di Vicenza).

Nelle vicende troviamo implicato il Governo senza che si capisca se per la necessità di promuovere aiuti di Stato, nel qual caso la procedura va avviata presso la Commissione Ue, oppure per la tradizionale mentalità dell’economia mista che lo vuole tutore del risparmio, il che inquinerebbe l’indipendenza della vigilanza.

Proprio queste esperienze confermano la necessità di ripensare l’organizzazione della vigilanza. Va preso atto che le disfunzioni, ancor prima di imputarle alla Banca d’Italia, sono dovute ad una deficiente impostazione legislativa. Il Governo e il Parlamento dovrebbero farsi carico della riforma, servendosi sì degli organi tecnici della Banca d’Italia, ma non delegando di fatto la configurazione del sistema, come accade.

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