Non si è parlato solo di migranti (peraltro senza raggiungere un’intesa piena) al vertice europeo di Bruxelles di giovedì e venerdì scorsi: i capi di Stato dell’Eurozona hanno infatti parlato anche di banche, dando il via libera al paracadute finanziario (backstop) del Fondo di risoluzione bancario e trovando l’accordo per “una roadmap per cominciare i negoziati politici sul sistema unico di garanzia dei depositi”. Questa in definitiva la sola conclusione concreta e ufficiale (in linea con le previsioni, peraltro) dell’Eurosummit sulla riforma dell’unione monetaria.
Il backstop, secondo quanto aveva confermato anche il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, sarà “pienamente operativo” prima della fine del periodo di transizione nel 2024 “se saranno raggiunti sufficienti progressi nelle misure di riduzione del rischio”. Nel 2020 dovranno pronunciarsi le istituzioni e le autorità coinvolte “sulla base del rispetto del requisito di capitale Mrel (l’importo di fondi propri e passività ammissibili espresso in percentuale del totale di passività e fondi propri) e dell’andamento della riduzione delle sofferenze bancarie. Nessuno Stato sarà escluso dall’accesso al backstop“. Altra indicazione dell’Eurogruppo, sancita nell’ultima riunione di Lussemburgo, la riduzione continua dei ‘non performing loans”: questa è poi la condizione di fondo per procedere ulteriormente nel completamento dell’unione bancaria.
A questo proposito i ministri hanno concordato sull’uso di sei indicatori sui quali fondare la valutazione: ratio di capitale, effetto leva, copertura della liquidità, il ‘net stable funding ratio’ (rapporto tra l’ammontare disponibile di provvista stabile e l’ammontare obbligatorio di provvista stabile), il rapporto sofferenze/crediti totali, il Mrel. Sull’esposizione delle banche al debito sovrano nazionale e “sull’utilità di includere indicatori aggiuntivi le visioni divergono sostanzialmente”. L’Italia non vuole limiti (peraltro sarebbe necessaria una decisione a livello globale, cioè del Comitato di Basilea che non è riuscito a decidere dopo mesi di negoziato tecnico). La lettera di Centeno cui si riferiscono i leader Eurozona (che citano la proposta franco-tedesca di riforma) non citava l’indicazione di Berlino e Parigi di porre obiettivi di livello di sofferenze giudicate ottimale: 5% lorde, 2,5% nette. L’Italia è attorno all’11% lordo. Il ministro dell’economia Tria aveva già indicato a Lussemburgo l’opposizione del governo a definire target.
Tornando al vertice di Bruxelles degli ultimi due giorni, c’è stata anche una dura discussione sul ruolo dell’European Stability Mechanism (Esm): l’Italia ha chiesto e ottenuto fosse corretto un passaggio della dichiarazione finale che dava per scontato il suo rafforzamento sulla base di quanto definito dai ministri finanziari dell’Eurogruppo. Nello specifico la questione sollevata dal premier Giuseppe Conte riguarda l’ultima bozza di conclusioni dell’Eurosummit, dove era scritto: “L’Esm sarà rafforzato, sulla base di tutti gli elementi di una riforma dell’European Stability Mechanism indicati nella lettera del presidente Eurogruppo, incluso il paracadute finanziario comune del Fondo di risoluzione unico. L’Eurogruppo preparerà i termini di riferimento del ‘backstop’ e concorderà un programma per ulteriori sviluppi dell’Esm entro dicembre 2018”.
Una formulazione che il premier Conte ha ritenuto già contenesse un tracciato eccessivamente fisso delle discussioni future. La nuova formulazione, dopo una buona mezz’ora di negoziato con tanto di riferimenti all’esatto significato dei termini usati, è risultata questa: “L’Esm fornirà il ‘backstop’ comune al Fondo di risoluzione unico e sarà rafforzato lavorando sulla base di tutti gli elementi di una riforma Esm come definito nella lettera del presidente dell’Eurogruppo”‘. Il termine che secondo Conte fa la differenza è quel riferimento al ‘lavoro’ che deve essere ancora fatto sulla base di quanto già discusso dai ministri finanziari. Appare più un punto di principio che altro: la sostanza resta che sul ruolo dell’Esm le posizioni tra i governi restano distanti.
I leader dell’Eurozona hanno indicato anche che l’accordo all’Ecofin sul ‘pacchetto bancario’ dovrà permettere ai legislatori di adottarlo entro fine anno preservando gli equilibri attuali. L’indicazione che può cominciare il negoziato sul sistema unico di garanzia dei depositi è un fatto positivo, ma non ci sono impegni sull’obiettivo temporale. In realtà c’è divergenza sulla valutazione del livello di riduzione dei rischi bancari (in sostanza la riduzione delle sofferenze) necessario per poi condividerli. Nessuno pensa che sarà possibile avere un accordo in tempi brevi.
Sulla riforma dell’Eurozona, i leader si sono invece limitati a indicare che l’Eurogruppo discuterà ulteriormente tutti i temi citati nella lettera del presidente Centeno al Consiglio Ue. La questione del bilancio Eurozona, cavallo di battaglia di Macron, dell’Italia (governo precedente) e Commissione oltrechè del fronte del sud, non viene neppure citata. E’ vero che Merkel ultimamente si è schierata a favore (tanto che ha sostenuto un documento comune con Macron), però c’è divergenza tra Francia e Germania sull’ammontare delle risorse disponibili.
Soddisfatto comunque il premier Conte: “Sull’Unione bancaria e monetaria c’è stata una discussione molto vivace e a un certo punto ho bloccato l’approvazione del documento, è vero: all’Italia non stava bene. Dopo una pausa e una lunga negoziazione siamo riusciti a sbloccare il testo, che ora ci sta molto bene”. In particolare, ha spiegato il presidente del Consiglio in conferenza stampa, l’Italia apprezza “l’istituzione del common backstop, un meccanismo di sicurezza per la condivisione del rischio nel sistema bancario che darà la possibilità anche alle nostre banche, ma alle banche di tutti i Paesi di accedere a un fondo di garanzia comune”.