Tutte le strade portano a Roma, anche quelle delle spie di professione. Domenica 28 luglio 2024, la Capitale ospiterà un incontro di alto livello tra i principali attori internazionali coinvolti nella crisi di Gaza. Il vertice vedrà la partecipazione di figure chiave nel panorama della sicurezza e della diplomazia internazionale: il direttore della Cia, William Burns; il capo del Mossad, David Barnea; il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdel Rahman al-Thani e il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamal. L’obiettivo principale di questo incontro è discutere e cercare di finalizzare un accordo per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi tenuti da Hamas. Quest’ultimo passo sembra difficile dato che al vertice delle spie non parteciperanno il capo dello Shin Bet, Ronen Bar e il generale Nitzan Alon, responsabile per gli ostaggi.
L’incontro di Roma segue discussioni precedenti a Parigi e in Egitto. La scelta della capitale italiana riflette anche l’aumento del ruolo della diplomazia italiana, che si è recentemente intensificata attraverso l’iniziativa “Food for Gaza”, menzionata anche durante il recente G7 del commercio estero a Reggio Calabria.
Si riuscirà ad arrivare ad un accordo? Le aspettative per una svolta decisiva durante questo incontro sono basse, dato il continuo irrigidimento delle posizioni israeliane e la complessità delle richieste. Un funzionario israeliano ha dichiarato che non ci si aspetta una svolta a Roma, poiché la pressione di Biden non ha convinto Netanyahu ad ammorbidire le sue richieste. Attualmente, il premier israeliano non sembra disposto a fare concessioni, il che potrebbe portare a una crisi nei negoziati anziché a un accordo.
“Netanyahu vuole un accordo impossibile, al momento non è disposto a muoversi e quindi potremo andare incontro a una crisi dei negoziati piuttosto che ad un accordo”, hanno spiegato le fonti israeliane.
Le richieste di Netanyahu
Secondo fonti israeliane, l’incontro di domenica si concentrerà sulla strategia e non su dettagli specifici del negoziato. La situazione è resa più complessa dalle nuove richieste di Netanyahu e dalla crescente preoccupazione per il rischio di un fallimento delle trattative. Il premier israeliano ha avanzato nuove richieste per il negoziato, tra cui l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio per il movimento di armi e militanti palestinesi e il mantenimento del controllo israeliano del “Corridoio Filadelfia” tra Gaza e l’Egitto.
La pressione di Biden su Netanyahu non ha portato a concessioni da parte del premier israeliano, che continua a chiedere condizioni che potrebbero rendere impossibile raggiungere un accordo. Netanyahu ha promesso di presentare una proposta aggiornata, ma i consiglieri di Biden non sono certi se Netanyahu stia davvero cercando un accordo o stia solo cercando di guadagnare tempo. I funzionari israeliani temono che le nuove richieste di Netanyahu possano portare a una crisi nei negoziati. Il discorso di Bibi al Congresso ha deluso i familiari degli ostaggi, che speravano in un impegno concreto per un cessate il fuoco.
Australia, Canada e Nuova Zelanda chiedono il cessate il fuoco
Intanto arriva un ennesimo appello per fermare il sangue nella Striscia. Australia, Canada e Nuova Zelanda hanno lanciato un accorato appello per un cessate il fuoco immediato a Gaza, definendo la situazione “catastrofica” e la sofferenza umana “inaccettabile”. In una dichiarazione congiunta, i primi ministri dei tre Paesi hanno condannato fermamente Hamas per gli attacchi del 7 ottobre, ma hanno anche esortato Israele ad “ascoltare le preoccupazioni della comunità internazionale”.
I tre peasi hanno sottolineato che “la protezione dei civili è fondamentale” e che “non si può costringere i civili palestinesi a pagare il prezzo della sconfitta di Hamas”. Hanno espresso pieno sostegno all’accordo di cessate il fuoco delineato dal presidente Biden e approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, avvertendo che “qualsiasi ritardo vedrà solo più vite perse”.
L’appello include anche la richiesta a Israele di “rispondere in modo sostanziale” al parere della Corte Internazionale di Giustizia e di “invertire l’espansione record degli insediamenti in Cisgiordania”. I tre Paesi si sono detti “seriamente preoccupati” per il rischio di un’ulteriore escalation regionale, condannando l’attacco iraniano contro Israele e chiedendo la cessazione delle ostilità lungo il confine libanese.