Carlo Verdone che interpreta sé stesso ai tempi dei social media e delle piattaforme OTT, del cinema che non è “più quello di una volta” con i personaggi che lo hanno reso famoso, del passaggio dal “… famolo strano” a “… famolo anziano”. Questa la trama di Vita da Carlo, una serie in dieci episodi da ieri in distribuzione su Amazon Prime Video.
Parliamo prima del contenuto e poi del contenitore. Verdone è, racchiude e concentra buona parte della commedia cinematografica nazionale degli ultimi decenni. I suoi “personaggi” hanno raccontato meglio di tanti altri tic, vizi e virtù dell’italiano medio. In questo caso, c’è l’attore, il regista, lo sceneggiatore, il protagonista di sé stesso, il “personaggio” Verdone che racconta Verdone, in tutta la sua generosità, la sua ipocondria, la sua stessa cultura e le sue capacità professionali raggiunte nella sua epoca più matura.
La serie proposta da Amazon in dieci “pillole” racconta di Carlo alle prese con due grandi dilemmi: realizzare un film colto, candidabile ai grandi concorsi internazionali, intimista, da copertina dei Cahiers du cinéma (rivista di cinema molto prestigiosa) oppure accettare la proposta di diventare sindaco di Roma. Nel mezzo ci sono gli abitanti della città che lo fermano e interrompono continuamente per fare un selfie, in compagnia del suo migliore amico (Max Tortora in grande spolvero che nel film si lamenta di non essere riconosciuto e ricordato da nessuno), con il fidanzato della figlia che “gli vuole bene” e lui si affezione. Insomma, è sempre quel mondo di umanità varia che ha composto tutte le sue opere precedenti.
Ormai Verdone è un brand, un marchio di fabbrica che non lascia spazio alla mediazione: può piacere o meno ma gli ingredienti dei suoi film sapientemente miscelati tra loro compongono sono sempre gli stessi, ovvero un prodotto cinematografico che in un modo o nell’altro somiglia molto a quanto abbiamo visto e apprezzato.
La chiave di narrazione di Vita da Carlo usata questa volta è certamente divertente quando riemergono sullo sfondo i “personaggi” del passato evocati nella sceneggiatura del film che il sedicente amico produttore vorrebbe realizzare e che invece gli si rimprovera di non aver riproposto: è un gioco di specchi tra presente e passato, tra realtà e finzione che regge bene il ritmo televisivo.
Quest’ultima notazione ci porta dritti nel cuore di altre valutazioni a proposito del “contenitore”, cioè Amazon Prime, con la quale si era già cimentato nel suo precedente lavoro. Si vive una volta sola uscito nello scorso maggio. Questo nuovo prodotto è un tipico esempio da “televisione” seriale, da piattaforma con palcoscenici globali, da gustare in pillole brevi e condensate, autoportanti oppure con una scorpacciata di Binge watching che ci costringe ad una maratona di 10 puntate da circa 30 minuti ognuna.
Si avverte fortemente che siamo in presenza di una nuova grammatica audiovisiva, un nuovo linguaggio, una diversa modalità di ripresa e montaggio delle scene dove si separa e si distingue sempre più il mondo del cinema tradizionale con il racconto analogico da quello digitale con quello alternato e frammentato nello spazio e nel tempo.
Il timbro e l’immagine del “personaggio” Verdone rimane lo stesso ma la cornice e dunque i destinatari della visione, il pubblico, cambia e non poco. Un conto è scrivere le immagini di un prodotto destinato ad una percezione unica, da sala cinematografica, altro conto è scrivere e allestire un prodotto destinato ad una platea eterogenea che lo fruisce nei molti modi possibili, spaziali e temporali, che si possono utilizzare con i diversi device come cellulari, tablet o pc. Parafrasando Humphrey Bogart quando ha detto «È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente!» si può dire che “. È lo streaming bellezza. E tu non ci puoi fare niente!”.
Infatti, è difficile (non impossibile) realizzare e distribuire un film che voglia ambire ad uscire dai confini nazionali se non è in grado di comprendere le nuove dimensioni del mercato che è fatto di capitali, di tecnologie, di contenuti intellegibili da tanti “pubblici” diversi tra loro. Forse è finito il tempo di Enzo di Un sacco bello, di Pasquale Amitrano in Bianco Rosso e Verdone o di Sergio in Borotalco solo per citarne alcuni tra gli innumerevoli ritratti dell’italiano medio ed è iniziato un nuovo tempo di un Verdone che non sa più scegliere la sua nuova maschera cinematografica e ripiega sul racconto di sé stesso che, comunque, è un bel ripiegamento che si lascia guardare con soddisfazione, comodamente sdraiato sul divano invece che sulle poltrone del cinema. Non sarà mai la stessa cosa, non sarà mai paragonabile con il fascino del grande schermo, però Verdone è pur sempre un monumento nazionale del cinema italiano.