Assediato dalle proteste popolari e dalla pressione internazionale degli Usa, di larga parte dell’America Latina e, più debolmente, dall’Europa, il presidente-dittatore del Venezuela Maduro prova a giocare la carta del dialogo con il capo dell’opposizione Guaidò, anche se poi lo attacca definendolo “un agente dei gringos”. “Incontriamoci” ha detto ieri Maduro al giovane ingegnere che punta a spodestarlo. Ma Guaidò non ne vuol sapere: “Non ho intenzione di vederlo, non mi interessa un falso dialogo”. Guaidò ha invece annunciato che la mobilitazione popolare contro il regime proseguirà fino al ristabilimento della democrazia nel Paese e ha lanciato nuovi segnali di apertura ai militari.
Il braccio di ferro Maduro e Guaidò continua, ma purtroppo continuano anche gli scontri tra le forze dell’ordine e i civili in un Paese stremato dalla crisi economica e dall’iperinflazione stratosferica e dalla cancellazione dei diritti democratici e che spinge moltii venezuelani a un esodo biblico verso i Paesi vicini.
Russia e Messico si sono fatti avanti per offrire una mediazione internazionale che scongiuri l’ulteriore spargimento di sangue ma finora senza successo.
Al di là della battaglia internazionale, che fa da sfondo e accompagna quella nazionale, è convinzione diffusa che l’ago della bilancia sarà ancora una volta l’esercito: finora i suoi vertici si sono schierati dalla parte di Maduro, che li ha finora ricoperti d’oro, ma la proposta di amnistia generalizzata lanciata da Guaidò è una sirena accattivante per molti quadri militari che negli anni scorsi si sono distinti in operazioni di aperta violazione dei diritti civili.
Sul piano economico sarà invece il petrolio venezuelano – che fa gola agli Usa ma anche alla Russia – a giocare un ruolo cruciale. Finora Maduro ha cercato di parare i colpi del completo fallimento del suo sistema economico usando la compagnia petrolifera Pdvesa come un bancomat con il bel risultato di metterla in ginocchio, anche per effetto del crollo dei prezzi del greggio. Se invece vincesse Guaidò, è probabile che la compagnia petrolifera venga privatizzata e che si aprono le porte al ritorno di molte compagnie estere,tra cui continua ad esserci l’Eni .
Dopo due giorni dal pronunciamento di Guaidò, gli scenari possibili della crisi venezuelana restano dunque aperti ma questo purtroppo non esclude che salga il numero dei morti, dei feriti e degli arrestati di un Paese in ginocchio. Ma una svolta potrebbe venire dall’ultimatum che Germania, Francia e Spagna hanno lanciato a Maduro: “O nuove elezioni entro 8 giorni o riconosciamo Guaidò”.
Fa tristezza invece vedere che l’Italia, divisa tra le spinte terzomondiste e pro-Maduro dei Cinque Stelle e il trumpismo temperato della Lega, sia prarticamente inesistente sulla scena internazionale e non sappia pronunciare una parola contro la dittatura di Maduro.