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Venezuela, l’ultima follia di Maduro: invadere la Guyana (per il petrolio) 

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Gli Usa avevano teso la mano, allentando le sanzioni sul petrolio venezuelano in vista di una possibile crisi in Medio Oriente e in cambio di elezioni democratiche, il dittatore Nicolas Maduro ha risposto indicendo un referendum, vinto col 96%, per farsi “autorizzare” dai suoi cittadini ad annettere Essequibo, un territorio che oggi appartiene alla confinante Guyana e ne rappresenta i due terzi della superficie terrestre. Ma al leader venezuelano interessano soprattutto i confini marittimi, visto che al largo della Guyana nel 2015 il colosso statunitense Exxon ha scoperto riserve di petrolio pari, secondo le stime, quasi a quelle dell’intero Brasile. Non è dunque difficile dedurne che la mossa di Maduro sta per generare forti tensioni nell’area caraibica, sotto gli occhi vigili degli Usa, di Cuba (che per la verità non ha offerto sponda al Venezuela in questo caso) ma anche di Russia, Cina e Iran, che soprattutto negli ultimi tempi si sono avvicinati molto a Caracas e per la verità a tutta l’America Latina, per diversi motivi, geopolitici e – in particolare nel caso di Pechino – commerciali. 

In Sudamerica si rischia l’effetto domino

Dal punto di vista militare, tra Venezuela e Guyana non c’è partita: Maduro conta su un esercito di 123mila effettivi, contro i soli 3.000 poliziotti del piccolissimo – ma strategico – Paese confinante. Il rischio è come detto l’effetto domino e lo scontro militare allargato, tanto che lo stesso Lula, presidente del Brasile che confina sia con Venezuela che Guyana e che è alleato di Caracas dai tempi di Hugo Chavez, ha avvertito: “Il Sudamerica non ha bisogno di instabilità”. 

La contesa per la verità non è nuova: già nel secolo scorso Caracas aveva provato ad annettere Essequibo, parte della Guyana, dopo che nel 1899 una corte arbitrale di Parigi stabilì che l’ex colonia olandese passasse sotto il controllo britannico. Il Venezuela da sempre disconosce quella decisione e oggi Maduro ha deciso di tagliare la testa al toro, convincendo i suoi concittadini a suon di video da reguetonero postati sui social network.

Dal 1966 per la verità la Guyana è diventata indipendente, ma l’Onu non ha voluto riconoscere l’annessione di Essequibo al Paese ispanofono e a molti analisti latinoamericani questo annoso scontro territoriale sta ricordando quello in Argentina per le Falkland/Malvinas, che appunto sfociò in una vera e propria guerra negli anni ’80. 

Essequibo: il territorio ricco di petrolio

Essequibo è un territorio di soli 160mila metri quadrati, dove abitano 120mila persone la cui ricchezza, grazie al petrolio e alle altre risorse del suo generosissimo territorio (ferro, rame, oro, diamanti, magnesio e altro ancora), sta letteralmente schizzando negli ultimi anni: secondo la Banca Mondiale il Pil dal 2021 al 2022 è cresciuto del 63% in termini reali e quest’anno ha già superato i 15 miliardi di dollari. 

Sull’abbondantissimo petrolio ha però già messo le mani Exxon, che ha iniziato le attività di estrazione nel blocco offshore di Stabroek, al largo della capitale Georgetown, nel 2019, investendo in tutto quasi 1 miliardo di dollari ad oggi (di cui 400 milioni solo nel 2022) in un sito che ha riserve di greggio per oltre 11 miliardi di barili, una quantità notevole per una parte di territorio così limitata. Exxon è il primo operatore dell’area, di cui detiene i diritti per il 45%, ed è in grado di estrarre dal blocco di Stabroek circa 620.000 barili al giorno. 
Al Venezuela il petrolio non manca, ma Maduro si è messo in testa di giocare a “lascia o raddoppia”: una mossa che smuove interessi economici enormi, che allarma dal punto di vista degli equilibri geopolitici ma che al leader latinoamericano serve anche per risollevare la sua immagine e il destino di un Paese che da anni attraversa una crisi finanziaria e sociale profondissima, con l’inflazione che viaggia oltre il 300%.

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