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Venezuela: la Corte Suprema ferma la candidata dell’opposizione, tornano le sanzioni Usa

Non trova pace il Paese sudamericano: dopo l’intenzione di Maduro di annettere la Guyana (si tratta proprio in questi giorni per evitare il conflitto), ora la giustizia ha estromesso Maria Corina Machado dalle prossime elezioni. Dura la reazione di Washington

Venezuela: la Corte Suprema ferma la candidata dell’opposizione, tornano le sanzioni Usa

Tensione sempre più alta in Venezuela: dopo l’annuncio a dicembre da parte del dittatore Nicolas Maduro dell’annessione della vicina Guyana (per il petrolio), poi ridimensionato nelle ultime settimane, ora è arrivato lo stop della Corte Suprema alla candidatura della leader dell’opposizione, María Corina Machado, alle prossime elezioni presidenziali in programma teoricamente ad ottobre ma che a questo punto rischiano di non essere libere e democratiche. Proprio per questo è arrivata immediata la reazione degli Stati Uniti, che già monitoravano con fastidio la vicenda della Guyana o per meglio dire della parte di territorio chiamata Essequibo, dove Exxon detiene la maggior parte dei diritti di estrazione del ricchissimo blocco petrolifero offshore di Stabroek, che ha riserve di greggio per oltre 11 miliardi di barili e sul quale il colosso Usa ha investito 1 miliardo di dollari, con l’aspettativa di produrre 620.000 barili al giorno.

Venezuela: tornano le sanzioni Usa dal 13 febbraio

Ecco, Washington ha annunciato che a partire dal prossimo 13 febbraio torneranno in vigore le sanzioni contro il Paese sudamericano, che erano state alleggerite lo scorso ottobre per compensare la disponibilità di petrolio sul mercato globale in seguito alla crisi energetica dovuta alla guerra tra Russia e Ucraina, e anche per lanciare un messaggio distensivo a Maduro, spingendolo in qualche modo a garantire libere elezioni, seppur chiedendogli in cambio il rilascio di prigionieri americani (che in effetti a dicembre c’è stato). La risposta del Venezuela è stata che venerdì 26 gennaio la Corte Suprema ha appunto dichiarato ineleggibile per un periodo di 15 anni, con l’accusa di corruzione, la candidata María Corina Machado, che aveva vinto le primarie dell’opposizione lo scorso anno ottenendo ben 2,4 milioni di voti, in un Paese di meno di 28 milioni di abitanti dove la partecipazione democratica non è esattamente incoraggiata.

Blocco di transazioni e petrolio, il dilemma di Maduro

“Non faranno le elezioni senza di me”, ha protestato la 56enne ingegnera, di cui la settimana scorsa sono stati arrestati 3 collaboratori con l’accusa di partecipare ad una cospirazione per assassinare il presidente Maduro. Tra qualche giorno saranno dunque sospese le transazioni tra le aziende americane e l’impresa statale di estrazione di oro Minerven, mentre i contratti sul petrolio, che scadono il 18 aprile, non verranno rinnovati “a meno che – ha spiegato la Casa Bianca – tutti i candidati dell’opposizione non vengano riammessi alla corsa presidenziale”. Anche la comunità internazionale sta alzando il livello di attenzione sul caso: la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha parlato di atti “da regime autoritario” e di “persecuzione” che scoraggia il voto, e pure l’Organizzazione degli Stati Americani sta monitorando la questione, condannando la decisione della Corte Suprema di Caracas.

“La giustizia venezuelana non offre garanzia di indipendenza e imparzialità – ha scritto l’organizzazione in un comunicato – e la sua posizione impedisce lo svolgimento di elezioni libere, giuste e competitive”. Nel frattempo, si è invece alleggerita la faccenda della Guyana, che per alcune settimane aveva fatto temere l’esplosione di un vero e proprio conflitto nell’area, con l’intervento delle truppe americane ma anche inglesi, che infatti si erano affacciate con navi da guerra a fine dicembre nel golfo di Georgetown, la capitale della Guyana, per marcare il territorio dell’ex colonia. Su Essequibo però rivendica dei diritti, in parte legittimi, pure il Venezuela, e negli ultimi giorni le parti si sono sedute attorno ad un tavolo, offerto dal presidente brasiliano Lula a Brasilia, per risolvere diplomaticamente il caso.

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