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Venezuela, è scontro internazionale sulla rielezione di Maduro. Lula ambiguo: “Tutto normale”

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Sono almeno 12 i morti e 750 gli arresti, stando agli aggiornamenti a metà giornata di mercoledì 31 luglio, dovuti alla violenta repressione messa in atto dall’esercito venezuelano in seguito ai disordini scoppiati nella capitale Caracas e in tutto il Paese dopo la contestatissima vittoria elettorale del presidente uscente Nicolas Maduro. Tra i deceduti, segnalano alcune Ong, ci sono anche due minori, mentre il partito di opposizione Voluntad Popular, che denuncia irregolarità nel voto e sostiene di aver vinto col doppio del consenso di Maduro, informa che uno dei suoi dirigenti, Freddy Superlano, è stato prelevato dalla polizia ed è detenuto in carcere. La situazione nel Paese caraibico sta dunque precipitando, col rieletto Maduro che conferma di aver vinto col 51,2% dei voti e accusa gli avversari Corina Machado, leader di VP, e Edmundo Gonzalez Urrutia, candidato presidente sconfitto, di essere responsabili di “atti di vandalismo in tutto il Paese”, annunciando che verrà fatta giustizia. Il presidente, in carica dal 2013 e adesso fino al 2031, ha addirittura parlato di “tentativo di golpe” nei suoi confronti, per giustificare la durissima repressione.

La posizione ambigua di Lula

In questo clima da guerra civile fa sentire tutta la sua preoccupazione la comunità internazionale, ad incominciare da quella latinoamericana. Se infatti gli Stati Uniti e l’Unione europea condannano le violenze ma si limitano per ora a chiedere trasparenza, mettendo in dubbio la regolarità della vittoria di Maduro, ancora più aspro è il confronto tra i Paesi vicini al Venezuela. Particolarmente ambigua è la posizione del presidente brasiliano Lula, che si è impegnato direttamente con Joe Biden per tenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo a Caracas e per garantire una soluzione pacifica, ma che allo stesso tempo non ha disconosciuto la rielezione del collega Maduro, parlando anzi pubblicamente di una situazione “che non ha niente di grave o di anomalo”, pur chiedendo di avere accesso ai documenti elettorali. Parole che sono state ritenute “preoccupanti” dall’ex ambasciatore venezuelano a Brasilia Milos Alcalay, e che sono dovute probabilmente alla volontà di non andare allo scontro frontale con il leader chavista (che appartiene alla stessa famiglia politica socialista di Lula), soprattutto dopo che tra i due c’erano già state scaramucce alla vigilia delle elezioni.

Maduro sempre più isolato in Sudamerica

Decisamente più dure le reazioni degli altri Paesi dell’area, con alcuni dei quali infatti Maduro ha tagliato i rapporti diplomatici mandando via gli ambasciatori: a parte Cuba, Bolivia, Honduras e Nicaragua, il Sudamerica si schiera compatto contro il leader chavista. Sulla posizione scettica ma prudente alla Lula convergono anche il presidente cileno Gabriel Boric e quello colombiano Gustavo Petro, oltre alla neoeletta messicana Claudia Sheinbaum, mentre addirittura disconoscono ufficialmente il risultato elettorale Argentina, Uruguay, Ecuador e soprattutto Perù, che anzi riconosce lo sfidante Gonzalez Urrutia come legittimo vincitore. Inutile sottolineare che invece da parte dell’altro versante dell’asse geopolitico, cioè Paesi come Russia, Cina, Iran, Bielorussia e Turchia, a Maduro sono persino arrivate calde congratulazioni. Le tensioni con il resto del mondo possono essere significative per vari aspetti: intanto, per il mercato del petrolio, visto che già ad aprile Washington ha nuovamente inasprito l’embargo contro il Venezuela e che ora potrebbe prendere ulteriori provvedimenti. E poi per le ripercussioni economiche e sociali in tutto il Sudamerica, dove ora si teme una nuova ondata migratoria dal Venezuela verso i Paesi vicini, in primis Colombia e Brasile, che difatti hanno blindato le frontiere.

Carter Center: “Elezioni in Venezuela non democratiche e sospette”

Nel frattempo, l’osservatorio elettorale indipendente Carter Center, citato dalla stampa sudamericana, ha stabilito che il processo elettorale in Venezuela “non può essere considerato democratico”. L’istituzione ha mandato 17 ispettori, regolarmente accolti dal Consejo Nacional Electoral (organo a maggioranza chavista), i quali hanno rilevato che, innanzitutto, non sono stati forniti i risultati disaggregati, ovvero regione per regione e città per città, come prevede il regolamento, limitandosi invece a fornire un inverosimile risultato complessivo che vede Maduro prevalere col 51,2% e Gonzalez Urrutia fermo al 44,2%. In realtà l’opposizione sostiene di aver ricevuto molti voti in più, e il Carter Center stima che solo l’80% delle schede sia stato effettivamente conteggiato. Infine, è stato praticamente negato il diritto al voto ai 7,7 milioni di cittadini venezuelani residenti all’estero, praticamente un quarto della popolazione costretto negli ultimi anni ad emigrare a causa della povertà: solo 70 mila di loro risultavano iscritti nei registri elettorali.

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