Si preannunciano sempre di più una farsa le prossime elezioni presidenziali in Venezuela, in programma il 28 luglio ma al momento con un solo candidato effettivo, il presidente uscente Nicolas Maduro. L’attuale regime ha infatti bloccato la scorsa settimana la candidatura della sfidante più accreditata, María Corina Machado, che aveva vinto le primarie dell’opposizione, e della sua sostituta, Corina Yoris, concedendo l’iscrizione alla contesa solo all’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, che però è un candidato provvisorio. La situazione ha innescato una crisi diplomatica in tutto il Sudamerica, con il presidente del Brasile Lula, storicamente alleato del chavismo, che è stato costretto a dissociarsi, mentre ancora più dura è stata la reazione del presidente argentino Javier Milei, che ha chiesto elezioni libere e democratiche e ha offerto asilo agli oppositori del l’omologo venezuelano. E sempre negli ultimi giorni, Milei – per altri motivi, intervistato dalla Cnn spagnola – si è scagliato contro il presidente colombiano, il socialista Gustavo Petro, dandogli dell’”assassino terrorista”. Nella rissa si è inserito anche il presidente del Messico Lopez Obrador, mentre la Colombia ha espulso i diplomatici argentini e su tutta la vicenda vigila sempre l’occhio attento degli Usa, che avevano promesso a Caracas la fine delle sanzioni sul petrolio in cambio però di elezioni trasparenti, il tutto mentre Maduro insiste nel voler annettere l’Essequibo, una parte del territorio della Guyana ricchissimo di riserve petrolifere offshore sulle quali però ha già messo le mani la statunitense Exxon.
La profonda crisi del Venezuela
Questo è lo stato dell’arte a pochi mesi da un voto, comunque, molto significativo per gli equilibri geopolitici dell’area e non solo. Ma in che condizioni si presenta alle elezioni il Venezuela? Dopo la morte dell’ex presidente Hugo Chavez, ormai 11 anni fa, la situazione nel Paese è progressivamente precipitata, raggiungendo l’apice della crisi economica e sociale nel 2018, quando l’inflazione era arrivata a salire di oltre il 130.000%, il dato più alto al mondo, salvo poi cadere fino al 76% del febbraio di quest’anno, un risultato migliore di quello dell’Argentina. La relativa ripresa è stata possibile perché Maduro a partire dal 2019 ha riaperto l’economia al mercato, riammettendo ad esempio la circolazione dei dollari statunitensi. Quell’impennata del costo della vita del 2018, durata fino al 2021, ha tuttavia lasciato cicatrici: il Pil pro capite venezuelano, che nel 2015 superava i 10.000 dollari, crollò nel 2018 a 2.400 dollari. Da allora ha continuato a scendere, ma meno brutalmente, assestandosi nel 2022 a 1.600 dollari, secondo le stime dell’università Ucab. Il salario minimo in Venezuela è di 3,6 dollari al mese, di gran lunga il più basso dell’America Latina e tra i più bassi del mondo: un funzionario pubblico guadagna in media 64 dollari, un imprenditore non va molto sopra i 200 dollari. Per questo motivo l’indice di povertà resta ovviamente altissimo, sebbene in lieve calo rispetto al 2021, quando toccò il 65%: oggi, sempre secondo l’Ucab, vive sotto la soglia di povertà il 52% dei venezuelani, oltre la metà. Nel 2015 erano il 41%.
Sotto il peso dell’ineguaglianza: il Venezuela diviso tra fuga e repressione
Anche l’indice di Gini, che misura le diseguaglianze, continua ad essere allarmante: 51,2. In Brasile è persino più alto, 52,9, ma ad esempio in Uruguay è 40,8 e volendo prendere a parametro un Paese europeo come l’Italia, il nostro dato è 35,2 (o per meglio dire 0,352, con lo 0 che rappresenta l’uguaglianza assoluta). Il regime ha provato a porre rimedio a questa situazione, tant’è vero che l’80% dei venezuelani percepisce sussidi dallo Stato, ma questo non ha impedito la grande fuga all’estero negli ultimi anni. A causa delle difficoltà economiche ma anche della repressione (dal 2014 sono finiti in carcere oltre 15.000 dissidenti politici, compresi militari), secondo l’Onu oggi vivono fuori dal Venezuela circa 7 milioni di venezuelani, praticamente un quarto della popolazione. La maggior parte ha scelto i Paesi vicini, in particolare Colombia e Brasile. Un Paese profondamente lacerato, sull’orlo di una crisi umanitaria, avrà tra pochi mesi la possibilità di esprimersi: ma gli verrà davvero concesso?
View Comments (2)
Che sarà un voto farsa lo dice lei. Ha scritto un'accozzaglia di luoghi comuni.
Salve. L'utilizzo del termine "farsa" può effettivamente essere una forzatura, ma i segnali ci sono. Vedremo, sarò contento di essermi sbagliato. Per il resto niente luoghi comuni, solo dati e fatti. Per lo meno i dati ufficiali elaborati da istituzioni internazionali, che chissà magari mentono ma io non posso saperlo. Sono comunque dati, non luoghi comuni