La mostra “Machines à penser” arriva a Venezia, nella sede della Fondazione Prada nella città lagunare. L’esposizione, a cura di Dieter Roelstraete, sarà aperta al pubblico da sabato 26 maggio al 25 novembre 2018 all’interno del palazzo di Ca’ Corner della Regina.
Il progetto esplora la correlazione tra le condizioni di esilio, fuga e ritiro e i luoghi fisici o mentali che favoriscono la riflessione, il pensiero e la produzione intellettuale. “Machines à penser” si focalizza su tre fondamentali figure della filosofia del XX secolo: Theodor W. Adorno (1903 -1969), Martin Heidegger (1889 – 1976) e Ludwig Wittgenstein (1889 -1951).
Gli ultimi due filosofi hanno condiviso nel corso della loro vita la necessità di creare un proprio luogo di isolamento intellettuale: Heidegger ha trascorso lunghi periodi della sua maturità in una baita a Todtnauberg nella Foresta Nera in Germania, mentre Wittgenstein si è ritirato in più momenti della sua esistenza in un rifugio situato in un fiordo a Skjolden in Norvegia.
Nel caso di Adorno è analizzata, invece, la condizione di esilio che il filosofo tedesco sperimenta, a causa dell’affermazione del nazismo in Germania, prima a Oxford e poi a Los Angeles, dove scrive “Minima moralia”, un insieme di aforismi che indagano tra gli altri temi quello del destino di un’emigrazione forzata. Seguendo queste riflessioni l’artista e poeta scozzese Ian Hamilton Finlay ha realizzato nel 1987 Adorno’s Hut, un’installazione centrale all’interno della mostra insieme alle ricostruzioni architettoniche dei luoghi di ritiro nei quali Heidegger e Wittgenstein scrissero le loro rispettive opere fondamentali “Essere e Tempo” (1927) e “Tractatus Logico-Philosophicus” (1921).
Esposte negli spazi di Ca’ Corner della Regina, queste riproduzioni accolgono a loro volta documenti e opere che trattano il tema dell’archetipo architettonico della capanna come luogo di fuga e di ritiro.
Come sostiene il curatore della mostra Dieter Roelstraete: “in questi spazi i tre protagonisti della mostra hanno partorito i loro pensieri più profondi. L’isolamento, sia che sia stato scelto sia che sia stato imposto, sembra averne decisamente influenzato il pensiero. Nel corso degli anni le loro abitazioni si sono dimostrate una fonte d’ispirazione inesauribile per molte generazioni di artisti attratti dalla fantasia del ritiro, materializzata in questi elementari archetipi architettonici”.
La mostra si sviluppa al piano terra e al primo piano nobile del palazzo settecentesco in un percorso immersivo che approfondisce le figure dei tre pensatori e la relazione tra filosofia, arte e architettura ospitando i lavori di artisti contemporanei come Leonor Antunes, Jan Bontjes van Beek, Paolo Chiasera, Alec Finlay, Robert Gillanders, Anselm Kiefer, Alexander Kluge, Patrick Lakey, Goshka Macuga, Mark Manders, Iñigo Manglano-Ovalle, Digne Meller-Marcovicz, Jeremy Millar, Guy Moreton, Sophie Nys, Giulio Paolini, Susan Philipsz, Gerhard Richter, Mark Riley, Joseph Semah, Ewan Telford e il collettivo composto da Sebastian Makonnen Kjølaas, Marianne Bredesen e Siri Hjorth.
Il progetto prevede inoltre una sezione storica nella quale sono esplorate le radici del profondo fascino esercitato sulla filosofia dalle figure dell’eremita e dai suoi luoghi di ritiro, con un focus particolare sulla leggenda del padre della Chiesa San Gerolamo (347 – 419), passato alla storia per aver condotto una vita da anacoreta nel deserto della Siria e aver tradotto la Bibbia in latino. Dipinti e stampe rinascimentali dedicate all’iconografia del santo sono esposte nella sala che ospita uno studiolo rinascimentale, al cui interno sono presentate edizioni rare di opere di Heidegger e Wittgenstein, mentre nelle sue pareti esterne è allestita l’installazione site-specific Hutopia (2018), realizzata dall’artista e poeta scozzese Alec Finlay.