Venerdì 21 giugno andrà in scena al Teatro La Fenice di Venezia “Madama Butterfly”, tragedia giapponese in due atti di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica (tratto dal racconto omonimo di John Luther Long e dalla tragedia omonima di David Belasco). L’opera andò in scena per la prima volta al Teatro alla Scala il 17 febbraio 1904 e fu più volte rimaneggiata dall’autore negli anni successivi. L’opera è stata proposta nella versione definitiva e pubblicata nella partitura a stampa del 1907, proposta in francese a Parigi nel 1906 e in italiano a New York nel 1907.
Il capolavoro pucciniano sarà presentato al Teatro La Fenice in un nuovo allestimento di grande interesse artistico, che farà parte, come progetto speciale, della 55esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, con due serie di rappresentazioni in giugno e in ottobre, a inizio e fine della mostra. Scene e costumi saranno affidati a Mariko Mori, una delle più interessanti artiste contemporanee giapponesi, autrice di installazioni ispirate all’intersezione tra l’antica tradizione culturale nipponica e i più sofisticati mezzi tecnologici contemporanei nonché all’equilibrio profondo tra uomo e natura. Utilizzando materiali d’avanguardia, strumenti multimediali e tecniche di modellizzazione e stampa 3D e avvalendosi dell’originalissimo “head design di milliner by Kamo”, Mariko Mori proporrà un contenitore scenico e un set di costumi e accessori di inconsueto impatto visivo, che permetterà di sviluppare in modo inedito il cruciale incontro tra Oriente e Occidente che è alla base dell’opera di Puccini.
La regia dello spettacolo sarà affidata al regista spagnolo Àlex Rigola, per molti anni direttore artistico dell’innovativo Teatre Lliure di Barcellona e dal 2010 direttore della sezione Teatro della Biennale di Venezia, cui si affiancheranno il light designer Albert Faura e le danzatrici Inma Asensio, Elia Lopez Gonzalez e Sau-Ching Wong.
Dal punto di vista musicale, la concertazione della partitura pucciniana sarà opera del direttore israeliano Omer Meir Wellber, già applaudito lo scorso anno alla Fenice in Carmen e nell’Elisir d’amore, che dirigerà tutte le recite salvo quelle del 23 e del 27 giugno affidate a Giacomo Sagripanti. L’Orchestra del Teatro La Fenice e il Coro diretto da Claudio Marino Moretti accompagneranno il doppio cast nel quale si alterneranno i soprani Amarilli Nizza e Svetlana Kasyan nel ruolo di Cio-Cio-San, i mezzosoprani Manuela Custer e Rossana Rinaldi in quello di Suzuki, i tenori Andeka Gorrotxategui e Giuseppe Varano in quello di Pinkerton, i baritoni Vladimir Stoyanov ed Elia Fabbian in quello di Sharpless; Julie Mellor sarà Suzuki, Nicola Pamio il nakodo Goro, William Corrò il principe Yamadori, Riccardo Ferrari lo zio bonzo. Nei ruoli minori di Yakusidé, il commissario imperiale, l’ufficiale del registro, la madre di Cio-Cio-San, la zia e la cugina si alterneranno gli artisti del Coro del Teatro La Fenice Ciro Passilongo, Bo Schunnesson, Emanuele Pedrini, Nicola Nalesso, Enzo Borghetti, Marco Rumori, Misuzu Ozawa, Manuela Marchetto, Marta Codognola, Emanuela Conti, Sabrina Mazzamuto ed Eleonora Marzaro.
La prima di venerdì 21 giugno sarà seguita da 8 repliche consecutive, sabato 22 (turno C) e domenica 23 (turno B) alle 17.00, martedì 25 (turno D), mercoledì 26 (fuori abbonamento), giovedì 27 (turno E), venerdì 28 (fuori abbonamento), sabato 20 (fuori abbonamento) e domenica 30 (fuori abbonamento) alle 19.00. La serale di sabato 29 giugno rientra nelle iniziative “La Fenice per la città” e “La Fenice per la provincia” rivolte ai residenti nel comune e nella provincia di Venezia, in collaborazione con le Municipalità del Comune di Venezia e con l’amministrazione provinciale.
Accolta dal pubblico della Scala di Milano con fischi e sghignazzate, Madama Butterfly fu trascinata al suo infausto esordio (17 febbraio 1904) da un’infelice trovata di Tito Ricordi, che volle “colorire il quadro con maggior suggestione” disseminando nel loggione alcuni impiegati “con appositi fischietti intonati musicalmente. Agli schiamazzatori non parve vero d’approfittarne”. Ormai è chiaro che il fiasco fu dovuto a una claque, probabilmente inviata da Sonzogno, l’editore-impresario rivale di Ricordi. La fiducia di Puccini nella sua creazione tuttavia non vacillò, e ottenne una vistosa conferma con il grande successo arriso a Madama Butterfly a partire dalla ripresa del 28 maggio 1904 al Teatro Grande di Brescia (un successo da allora mai più venuto meno), tanto da conquistare in brevissimo tempo a questo capolavoro il rango di classico del teatro musicale.
Quattro anni prima dell’infausto esordio milanese, durante l’estate del 1900, Puccini aveva assistito a Londra alla rappresentazione di un dramma d’analogo soggetto che David Belasco aveva tratto da una novella dell’avvocato newyorchese John Luther Long, mutandone il finale da lieto a tragico. Il suo fiuto teatrale gli aveva fatto riconoscere nella protagonista Cio-Cio-San un personaggio affascinante, la cui caratterizzazione si adattava singolarmente alle proprie inclinazioni di compositore: per mano dei fidati Illica e Giacosa l’opera venne totalmente incentrata sulla protagonista, attorno alla quale vennero fatti ruotare gli altri personaggi. Raffinate alchimie timbriche e continui richiami a modelli musicali orientaleggianti (emerge il ricorso a scale difettive o a procedimenti armonici eterodossi) accompagnano il percorso psicologico della fragile geisha dall’iniziale ingenuità al dubbio ed alla dolorosa rassegnazione finale con sensibilità e delicatezza straordinarie, tanto da farne uno dei personaggi più umanamente e finemente caratterizzati dell’intera storia del melodramma.
Madama Butterfly è anche un atto di condanna contro la violenza ottusa e barbarica della cosiddetta civiltà occidentale, contro il suo sadismo, la sua superficialità, il suo cinismo, il suo infondato senso di superiorità. Lontana anni luce da una facile e sterile oleografia orientalistica, essa pone con forza il tema del contrasto tra culture del quale è vittima la protagonista, incentrando su di essa (su una piccola giapponese ingenua e naïve) l’indagine psicologica, con esiti che conoscono paragone solo nelle figure femminili più interiormente ricche (Violetta, Tat’jana…) della storia del melodramma.
Di grande rilievo è lo stile musicale dell’opera, che non evita contaminazioni linguistiche delle più ardite: accanto al già menzionato influsso della musica giapponese, che prende sostanza soprattutto nel frequente ricorso alla scala pentafona, confluiscono elementi della tradizione occidentale colta (il fugato, gli echi wagneriani, i richiami a Massenet, le reminiscenze dalla Bohème e da Tosca, ma anche la scala per toni interi e altri modalismi orientaleggianti derivati dalla musica russa) e di quella d’uso (l’inno della marina statunitense, oggi inno nazionale americano): un mélange estremamente duttile di modelli che consente da un lato svariate possibilità combinatorie nell’invenzione sonora, tali da garantire la continua adesione della musica all’azione ovvero la sua profonda pregnanza drammaturgica, e dall’altro una continua reinvenzione del suono che evita lo scadimento del linguaggio a un cliché orientalistico estetizzante, il cui manierismo avrebbe miseramente banalizzato l’autenticità della vicenda umana di Butterfly.
Mariko Mori
Artista internazionalmente riconosciuta, i cui lavori si trovano presso musei e collezioni private di tutto il mondo, Mariko Mori ha conquistato fama internazionale con l’installazione Wave UFO presentata alla Kunsthaus di Bregenz nel 2003 ed esposta in seguito a New York, a Genova e alla Biennale di Venezia 2005. Ha ricevuto numerosi premi, tra cui la Menzione d’onore alla 47esima Biennale di Venezia per Nirvana (1997), e il Premio Arte Giapponese Contemporanea 2001 della Japan Cultural Arts Foundation. Oneness, una retrospettiva della sua opera, è stata presentata a Groninga, Aarhus, Kiev, Brasilia, Rio de Janeiro e São Paulo. Le sue grandi sculture recenti comprendono Tom Na H-iu (2006) e Plant Opal (2009): entrambe sono basate su elementi che interagiscono con l’ambiente naturale. Lavora attualmente al progetto Primal Rhythm, un’installazione permanente monumentale strettamente legata al paesaggio della Seven Light Bay dell’Isola di Miyako nella Prefettura di Okinawa. Il suo attuale centro di interesse è rivolto a un mondo in cui gli esseri umani sono una cosa sola con la natura, e nel quale il ritmo della vita umana si muove in accordo con quello dell’ambiente naturale. I suoi progetti mirano a far balenare questa esigenza nella nostra coscienza e a celebrare l’equilibrio che esiste in natura. Un’idea che si riflette nei temi della vita, della morte, della rinascita, e dell’universo. Le sue installazioni, spesso monumentali, sono state esposte in sedi prestigiose in tutto il mondo, tra cui la Royal Academy of Arts e la Serpentine Gallery di Londra, il Museum of Contemporary Art di Tokyo, il Centre Georges Pompidou di Parigi, la Fondazione Prada di Milano, il Brooklyn Museum of Art di New York, il Museum of Contemporary Art di Chicago, il Dallas Museum of Art, il Los Angeles County Museum of Art, e i suoi lavori sono entrati a far parte tra l’altro delle collezioni del Guggenheim Museum e del MoMA di New York e dell’Israel Museum di Gerusalemme. Vive tra Londra, New York e Tokyo.