L’andamento del mercato del lavoro in Veneto è buon indicatore regionale per valutare lo stato di salute di una parte rilevante della manifattura italiana. Gli ultimi dati a disposizione si riferiscono all’intero 2024, che si chiude con “luci ed ombre” da svelare all’interno dei numeri elaborati da Veneto Lavoro. Partiamo dall’aumento dei posti di lavoro dipendente (+28.500): un risultato inferiore rispetto a quello degli ultimi anni, a conferma di un congelamento della crescita che si è fatto ancora più marcato a partite dalla seconda metà dell’anno. Come si è formato questo saldo? La dinamica si è determinata a fronte di una leggera riduzione delle assunzioni (-1%) e con il contestuale incremento delle cessazioni (+1%), tra le quali si segnala l’aumento delle conclusioni contrattuali per fine termine e la diminuzione delle dimissioni. Rispetto al 2023, le assunzioni mostrano un calo tra i lavoratori italiani (-5%), le donne (-3%) e i lavoratori delle fasce d’età centrali (-3%), mentre aumentano tra gli stranieri (+8%) e gli over 55 (+4%).
Dinamiche del mercato del lavoro e contratti
Veneto Lavoro segnala anche una ridotta mobilità del mercato del lavoro regionale: “le posizioni a tempo indeterminato aumentano di 29.100 unità a fronte delle +34.600 registrate nel 2023, a seguito di una diminuzione sia delle assunzioni che delle trasformazioni da contratti a termine. Negativo l’andamento dell’apprendistato, che registra nell’anno 2.700 attivazioni in meno, un calo degli avviamenti del -6% e una crescita delle trasformazioni a tempo indeterminato del +18%. Cresce invece il tempo determinato, il cui bilancio annuale è positivo (+2.200) e superiore a quello dell’anno precedente (+1.600)”. E ancora: “crescono i contratti part-time (+2%), in aumento soprattutto tra gli uomini (+7%) e legati a specifiche dinamiche settoriali nell’agricoltura e in alcuni ambiti del terziario”. La crescita dei posti di lavoro si concentra nelle province di Verona (+7.200), Venezia (+5.500) e Padova (+5.100), seguiti da Treviso (+4.700), Vicenza (+3.200), Belluno (+1.500) e Rovigo (+1.400).
Settori in difficoltà e crisi della manodopera
Dal punto di vista settoriale i dati riferiti all’agricoltura fanno segnare un aumento di +4.400 posti di lavoro dipendente (più di quanti guadagnati nel 2023), il terziario +19.400, mentre l’industria si ferma a +4.700, meno della metà del saldo occupazionale fatto registrare nel 2023, con un calo delle assunzioni del 7%. Il comparto metalmeccanico, che in Veneto ha connessioni profonde con le catene del valore globali dell’automotive, presenta un saldo ben lontano da quello del 2023 (appena 200 posti in più contro i +3.700 dell’anno precedente) e un calo delle assunzioni del 14%. In difficoltà anche il mercato del lavoro legato al sistema moda (tessile, abbigliamento e calzature), all’industria conciaria e al legno-mobilio che chiudono l’anno con un saldo negativo e assunzioni in forte calo. Il dato più preoccupante, e che non fa rilevare per intero la “frenata del lavoro” in Veneto, riguarda il ricorso alla cassa integrazione. In una nota diffusa a inizio anno, l’Inps ha infatti confermato per il trimestre settembre-novembre 2024 un incremento del 21% delle domande regionali di cassa integrazione ordinaria, concentrate in particolare nelle province di Vicenza e Treviso e relativa per lo più a situazioni di “mancanza di ordini o commesse di lavoro” o per “crisi temporanea di mercato”.
Un futuro incerto: il fenomeno del “labour hoarding” e la fuga dei giovani
Se il mercato del lavoro veneto appare di fatto congelato dall’attuale congiuntura europea poca dinamica, emerge sottotraccia, soprattutto tra gli artigiani vicentini e della fascia pedemontana, un altro elemento non incorporato dalle statistiche: la crisi negli ultimi mesi avrebbe potenzialmente potuto creare ancora più contraccolpi sui numeri del mercato del lavoro, ma anche nelle aziende più piccole si procrastina il più a lungo possibile il licenziamento di figure più o meno specializzate (in molti casi che sanno fare un determinato tipo di lavorazione), poi difficilmente recuperabili sul mercato. È il fenomeno del cosiddetto “labour hoarding”: le aziende preferiscono – a ragione – trattenere i lavoratori qualificati anche nelle fasi più acute di flessione della produzione. Il fenomeno si ricollega perfettamente con il mismatching strutturale che accompagna più in generale l’economia a Nordest: la demografia è calante, scarseggiano le figure professionali e tecniche più qualificate e prosegue, come rilevato anche dalle ultime indagini della Fondazione Nordest, la “fuga” dei giovani all’estero. Forse la questione più sottovalutata per il futuro dell’economia veneta.