Condividi

Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia sul podio dell’industria a maggior valore aggiunto ma devono attrarre più talenti

Vicenza, Lecco, Treviso, Modena e Brescia sono, secondo una nuova ricerca della Fondazione Nord Est, le province più virtuose nella produzione di manufatti a maggior valore aggiunto ma per sfuggire alla “trappola dello sviluppo” devono attrarre più talenti

Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia sul podio dell’industria a maggior valore aggiunto ma devono attrarre più talenti

Per uscire dalla trappola dello sviluppo le regioni italiane possono fare leva sulla grande complessità delle loro produzioni e sull’elevata possibilità di applicare i saperi alla ideazione e alla manifattura di altri beni. Infatti, hanno punteggi elevati sia dell’indice di complessità sia di quello di prossimità delle produzioni.

Particolarmente ben posizionate sono Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Bene anche Piemonte e Toscana. Più indietro Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.

L’analisi della Fondazione Nord Est, incrociando i risultati di diversi studi, mette in luce sia la graduatoria internazionale sia quella interna al Paese, fino a livello provinciale.

Ma questi vantaggi competitivi da soli non possono bastare, altrimenti non ci sarebbe stato l’arretramento rispetto alle altre regioni europee che abbiamo osservato tra il 2000 e il 2019 (ultimo anno prima della pandemia). Occorrono, infatti, politiche che agiscano su attrazione dei talenti, portatori di nuove conoscenze e competenze, sulla valorizzazione dei giovani, sul tessuto industriale (spingendolo verso i grandi megatrend globali) e sulle infrastrutture materiali e immateriali, anche per migliorare la qualità della vita.

L’alta complessità come leva per uscire dalla trappola dello sviluppo

Negli ultimi vent’anni le regioni italiane sono cresciute ad un ritmo inferiore rispetto a quello di altre regioni d’Europa. I motivi che spiegano tali risultati sono diversi: un livello di investimenti inferiore a quello delle regioni europee di testa, una quota di popolazione laureata che rimane fra le più basse del Vecchio continente, con l’aggravante della scarsa capacità di attrazione dei talenti da altri Paesi, unita alle dinamiche demografiche che condannano molte regioni alla costante ascesa della quota della popolazione non attiva.

Tra i fattori che spingono le regioni nella “trappola dello sviluppo regionale”, ossia nella situazione in cui diminuisce il dinamismo economico in termini di reddito, produttività e occupazione, così da avere risultati peggiori rispetto ai propri pari nazionali ed europei, c’è la specializzazione produttiva.

Come uscirne? La prima buona notizia è che alcune provincie italiane hanno elevati valori di complessità economica, che è uno degli ingredienti più importanti per tornare a crescere 

Da uno studio di Roberto Antonietti e Chiara Burlina dell’Università di Padova emerge che tra le prime 20 provincie per complessità economica 7 sono in Lombardia (Lecco, Brescia, Bergamo, Varese, Como, Lodi e Milano), 4 in Emilia-Romagna (Modena, Reggio nell’Emilia, Bologna e Parma) e 3 in Veneto (Vicenza, Treviso e Padova).

Come nel gioco dello scarabeo, vince chi…

Una delle idee di base nell’approccio alla complessità economica, proposto da Ricardo Hausmann e César Hidalgo, è che le economie crescono generando manufatti sempre più complessi (ad alto contenuto di conoscenza e valore aggiunto) e sofisticati (difficili da produrre altrove, perciò al riparo dalla concorrenza di prezzo).

Spiegandolo con la metafora proposta da quegli stessi autori, possiamo pensare alla crescita come a una partita di scarabeo. Per vincere a questo gioco è necessario sviluppare parole lunghe (complesse) e difficili da imitare (rare). Le condizioni che massimizzano la probabilità di un giocatore di vincere sono di avere a disposizione lettere: 1) numerose per fare parole lunghe, 2) diverse per comporre parole articolate, 3) e rare, che diano un punteggio maggiore. 

Nei sistemi produttivi le lettere sono le competenze, che devono essere molte e varie, in modo da poterle combinare in modi sempre nuovi, per poter innovare, e sofisticate, cosicché le innovazioni non siano facilmente imitate da altri produttori e si abbia maggior potere di mercato.

Il passaggio dalla complessità dei prodotti manufatti alla complessità dei territori è diretto: se un territorio produce un bene significa che detiene le competenze e le conoscenze necessarie a produrlo. Cosicché, l’analisi delle produzioni di ciascun territorio consente di rivelare le competenze e i saperi delle persone che lì vivono e lavorano. Ne consegue che i Paesi che sono dotati di maggiore stock di conoscenza hanno la possibilità di produrre un più ampio set di beni e che i beni “complessi” possono essere prodotti solo nei Paesi dotati delle competenze sofisticate. Partendo da queste relazioni è possibile determinare l’indice dicomplessità del settore manifatturiero di un Paese e dei territori che lo compongono.

Valori elevati di complessità sono tipici di quei territori che hanno a disposizione elevati livelli di conoscenza, competenza e know-how, che lo abilitano a generare innovazioni e creare valore aggiunto.

C’è un legame positivo tra la complessità e il reddito pro-capite di un territorio. E il livello di complessità contribuisce a spiegare la sua crescita futura. Questo perché i sistemi economici crescono innovando i prodotti e aggiungendone di nuovi, sempre più sofisticati. 

Per esempio, la prima industrializzazione avviene con il settore tessile e l’abbigliamento, mentre occorre un’evoluzione verso la complessità dei saperi per produrre i macchinari; similmente, si passa dalla meccanica alla meccatronica. Cosicché, più è alta la complessità dei saperi, maggiore è la probabilità che ci siano più innovazione e più crescita.

A livello mondiale il Giappone, nel 2020, si pone ai vertici della classifica della complessità. La Germania, primo paese dell’UE, è al quinto posto. L’Italia si colloca al diciassettesimo posto.

La posizione globale dell’Italia, e quindi delle sue regioni, sale di quindici gradini, collocandosi seconda dietro alla sola Germania, stando a un altro indicatore di complessità, il Trade Performance Index, calcolato dal WTO sulla base nel numero di prodotti esportati e di paesi destinatari dell’export. Mentre quello dell’OEC considera il numero di prodotti e la loro unicità. In ogni caso, si tratta di posizioni elevate.

Attenzione, gli indici di complessità calcolati a livello di interi paesi dall’Observatory of Economic Complexity e quelli a livello delle provincie italiane, tratti dal lavoro di Roberto Antonietti e Chiara Burlina, non sono direttamente confrontabili, perché si basano su dati diversi (flussi del commercio internazionale, i primi, e unità locali, i secondi).

C’è una seconda buona notizia

Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia sono in testa nella graduatoria europea di prossimità (relatedness). Toscana e Piemonte sono ben posizionate. Mentre nel Nord-est Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia si collocano in terza fila, sebbene davanti a molte altre regioni. Questo vuol dire che hanno una più elevata capacità di applicare le loro competenze a nuovi prodotti. 

Infatti, i sistemi economici evolvono producendo nuovi beni e servizi che richiedono conoscenze, competenze e know-how che si sviluppano a partire dalle, e in prossimità delle, capacità esistenti. In altre parole, i sistemi economici tendono a diversificarsi producendo “prodotti vicini e correlati” che richiedono un know-how simile a quello utilizzato nelle produzioni esistenti.

La buona notizia è che molte delle regioni del Nord Italia evidenziano un grande potenziale di sviluppare nuove tecnologie e attivare, quindi, percorsi di upgrading delle produzioni, accrescendo il valore aggiunto nelle loro attività.

Complessità e prossimità elevate sono importantissime carte da giocare nella partita di ridisegno delle catene globali del valore. Questo ridisegno è in corso, guidato da due linee guida nelle strategie aziendali e nazionali. Queste due linee guida sono state battezzate just-in-case e friendshoring.

Il just-in-case prende il posto del just-in-time, perché le interruzioni delle consegne, dovute ai lockdown anti- covid e alla guerra, hanno messo in grave difficoltà le aziende, rimaste senza componenti; cosicché ora preferiscono avere scorte di materie prime e semi-lavorati, per essere pronte a consegnare (l’opposto dello zero-scorte tipico del just-in-time). Inoltre, si privilegiano fornitori vicini, anziché andare a cercarli in capo al mondo per risparmiare sui costi.

Il friendshoring, invece, è figlio delle tensioni internazionali: si localizzano le produzioni nei Paesi amici, con cui non si avranno mai soprese politiche, come accaduto con la Russia e rischia di accadere con la Cina.

L’Italia è vicina e amica, e quindi le sue imprese possono diventare partner sempre più strategici di molti produttori che prima guardavano all’Oriente estremo per avere prodotti a più buon mercato.

Come sfruttare questo potenziale? Anzitutto attraendo talenti

Le implicazioni, da un punto di vista delle misure di politica industriale, sono:

  • avere un approccio il più pragmatico possibile: le misure devono essere ideate sulla base delle caratteristiche dei sistemi produttivi dei diversi territori. Se l’evoluzione dei territori avviene a partire dall’insieme di competenze e saperi di cui dispongono, è utile adottare strategie che bilancino gli sforzi di sviluppo sia verso l’upgrade di prodotti vicini a ciò che già un territorio produce sia verso prodotti più “distanti”, piuttosto che puntare esclusivamente su ricette di sviluppo “stereotipate” valide per tutti i territori;
  • ampliare e arricchire la conoscenza, sia nei processi produttivi sia nei prodotti sia nell’organizzazione, attraendo talenti che detengono competenze diverse e innestabili nell’ecosistema esistente e trattenendo i giovani brillanti che tendono ad andarsene.

Questa nuova prospettiva permette di immaginare interessanti traiettorie di sviluppo per le economie dei territori italiani e ha rilevanti implicazioni per la politica industriale e della formazione, anche a livello locale. Infatti, negli ultimi mesi le regioni europee sono state impegnate nella definizione di una “Strategia di Specializzazione Intelligente” (S3), che dovrebbe servire a guidare le politiche industriali locali verso la trasformazione dei sistemi produttivi regionali nei prossimi sei anni. Una novità introdotta dalla Commissione Europea nel ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020 dei fondi strutturali. Secondo questo recente approccio strategico, le regioni devono individuare le priorità partendo da una approfondita analisi di contesto e di scenario. Sarà interessante vedere quante e quali regioni hanno accettato la sfida della complessità economica e quante invece hanno preferito la più comoda via degli incentivi a pioggia.

Commenta