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Veneto Banca era insolvente: ora Consoli rischia la bancarotta

Imagoeconomica

Ancora guai per Veneto Banca. Il tribunale civile di Treviso ha stabilito che la banca veneta non era in grado di pagare i creditori nemmeno prima che il governo, il 25 giugno 2017, decidesse per la liquidazione coatta amministrativa, con la cessioni di sportelli e attività (insieme a Popolare Vicenza) a Intesa San Paolo. Il giudice ha dunque dichiarato la banca insolvente. Una decisione che peggiora la situazione giudiziaria dei vertici di Veneto Banca e che potrebbe ora spingere il pubblico ministero Massimo De Bortoli a chiedere una consulenza tecnica per valutare se indagare gli ex manager dell’istituto anche per il reato di bancarotta.

L’inchiesta penale sul crac della banca è transitata da Roma a Treviso per decisione del giudice dell’udienza preliminare romano, che ha accolto l’eccezione di competenza territoriale avanzata dall’avvocato Ermenegildo Costabile, difensore di Vincenzo Consoli. A Treviso l’ex direttore generale e amministratore delegato di Veneto Banca – arrestato nell’agosto 2016 e oggi libero  – è indagato con altri ex manager e consiglieri di amministrazione per i reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Reati che hanno tempi di prescrizioni più brevi rispetto alla bancarotta, che tecnicamente potrebbe ora essere contestata. Un altro scenario interessante aperto dalla dichiarazione di insolvenza è che i pubblici ministeri potrebbero ora chiedere conto del proprio operato anche agli amministratori successivi rispetto a Consoli e Flavio Trinca, ex presidente dell’istituto.

Al centro dell’indagine della procura trevisana ci sono le operazioni con cui la banca si è ricapitalizzata fra il 2012 e il 2014. L’ipotesi della procura di Roma – che in udienza preliminare ha dovuto passare la palla ai colleghi di Treviso – era che la banca avesse concesso credito in cambio dell’acquisto di azioni della banca, erodendo così il patrimonio di vigilanza. Un meccanismo che avrebbe contribuito a determinare il crollo del valore dei titoli, che nel 2016 con il passaggio delle azioni a Fondo Atlante è sceso da 40 euro a 10 centesimo. Un tonfo che ha bruciato miliardi di euro in mano ai soci.

Il tribunale fallimentare di Treviso ha calcolato in 538,6 milioni la passività dell’istituto al 25 giugno dell’anno scorso. La sentenza cita una memoria di Banca d’Italia del luglio 2017 in cui si rileva come nel periodo precedente la liquidazione coatta amministrativa Veneto Banca “non era in grado di continuare a svolgere le propria attività creditizia senza ricorrere a richieste di sostegno da parte dello Stato”. Se lo Stato avesse deciso di non intervenire, “centomila piccole e medie imprese e circa duecentomila famiglie sarebbero state costrette a restituire per intero i crediti (circa 26 miliardi) … e la conseguente distruzione di valore si sarebbe scaricata sui debitori”. Uno scenario apocalittico, che secondo Banca d’Italia avrebbe costretto il Fondo interbacario di tutela dei depositi (Fitd) “a fare fronte a un esborso immediato di circa 10 miliardi, e a rivolgersi alla liquidazione neli anni successivi”.

Secondo Luigi Fadalti, il legale trevisano che aveva chiesto al Tribunale fallimentare l’insolvenza di Veneto Banca, la dichiarazione di insolvenza potrebbe dar luogo anche ad “azioni revocatorie per pagamenti successivi”, fra i quali, in linea teorica, sono comprese anche le transazioni accettate da molti soci, nella primavera del 2017, pari al 15% del valore perduto con l’azzeramento delle azioni, in cambio dell’impegno a non avviare contenziosi.

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