Facebook è il più grande, intrigante, promettente e rivoluzionario social media, frequentato da un terzo degli abitanti del pianeta. Facebook cresce a ritmi sbalorditivi che porteranno a rivedere al rialzo legge di Moore. Zuck e il suo team sembrano venuti da Marte: ogni giorno ne inventano una ed aree come l’informazione, l’e-commerce, la finanza, la scuola verranno presto inglobate da Facebook. Del resto quando c’è un miliardo e mezzo di persone da gestire, devi pur inventarti qualcosa per far relazionare la piazza sempre su nuovi terreni. Se no, fai la fine di Twitter che ancora molta gente non sa come funziona e vi fa qualcosa perché legge che occorre farlo.
Questa enorme potenzialità di Facebook è spendibile per il business? Zuck e la Sandberg giurano di sì e anche il mercato ci crede tanto è che la capitalizzazione di borsa di Facebook è stellare. A noi che siamo nel business dei libri e degli ebook sorge spontanea la domanda se Facebook possa essere considerato una risorsa per far conoscere un libro e un ebook e raggiungere i lettori che senz’altro sono sulle sue pagine. Una domanda che meriterebbe un sì istintivo, ma che in realtà diventa un rebus dopo che qualcuno ci ha provato.
Abbiamo pensato allora di chiederlo a una persona che conosce le dinamiche di Facebook, ha molte campagne attive e si occupa proprio di libri. Si tratta di Michael Alvear scrittore, esperto di social marketing e autore di molti testi tra cui uno che sembra proprio di dover leggere. Ha un titolo chilometrico (vorrà pur dire qualcosa!) Make A Killing On Kindle without blogging, Facebook and Twitter. The Guerrilla Marketer’s Guide to Selling Your Ebook on Amazon (da notare quante parole chiave ci sono in questo titolo). Forse il primo atto di marketing è proprio la scelta del titolo.
Alveat ha scritto estesamente sul lavoro degli autori per farsi conoscere, sulle azioni adatte per raggiungere questo scopo e su quelle inutili e recentemente ha esposto i risultati delle sue riflessioni in un bel contributo su DBW di cui certamente si discuterà nel corso della settimana del libro digitale che si terrà tra qualche mese a New York all’Hilton Midtown. Da questo intervento abbiamo tratto gli spunti per questa conversazione condotta dal team di ebookextra con Michael Alveat. Ve ne riportiamo una sintesi. Per un definitivo approfondimento dei temi trattati rimandiamo all’ebook sopra menzionato.
Ebookextra [EB]: Un libro o un ebook prima di essere venduto deve essere conosciuto a meno che sia di James Patterson o di uno scrittore d’alta classifica. Spesso ci chiediamo se Facebook serva davvero a far conoscere, e di conseguenza, a far vendere un ebook o un libro di un autore esordiente, di un autopubblicato o di uno scrittore di media classifica. Facebook è veramente il coltellino svizzero per i nuovi arrivati nella foresta della narrativa?
Micheal Alvear [MA]: Serve a poco, molte volte è un’immensa perdita di tempo.
[EB]: Su, fai il bravo!
[MA]: Okay. Serve solo se avete almeno 20mila fan su Facebook. Ma Facebook non è l’unica cosa che non funziona tra quelle che comunemente si pensa che funzionino per far conoscere gli autori e i loro libri. È in una buona compagnia di cose inutili.
[EB]: Lasciaci indovinare… pensi a Twitter o alle newsletter degli autori e degli editori.
[MA]: Esattamente a quella roba lì. Prendiamo la newsletter. Spesso viene menzionata come una trave portante nella cosiddetta piattaforma dell’autore. Mi riferirò solo alla mia esperienza per brevità. Nel tempo e con molto lavoro sono riuscito a costruire un indirizzario di 30mila lettori di cui sono molto fiero. Si tratta di gente che in qualche modo è entrata in relazione con me e quindi mi conosce più o meno bene. Di questi, chiamiamoli, conoscenti solo il 30% apre la newsletter e se sono fortunato l’1% di questo 30% compra qualcosa. Dopo aver inviato una newsletter ai miei 30mila indirizzi, le vendite su Amazon si muovono appena. Spesso la linea del grafico delle vendite rimane piatta a una settimana di distanza dall’inoltro delle newsletter. A preparare una newsletter ci impiego un paio di giorni e mi costa qualcosa l’abbonamento a Mail Chimp. Farei meglio ad andare al parco e mangiare un gelato.
[EB]: Lasciamo perdere il parco e il gelato, che sono sempre un’ottima cosa da fare. Se non capiamo male il tuo discorso, che trova un po’ conferma anche nella nostra esperienza, è questo. Tu intendi dire che solo un autore che è già ampiamente conosciuto nella comunità dei lettori trae vantaggio dalla cosiddetta piattaforma sociale dell’autore. Che ci vuole tempo e soprattutto successo per trarne dei benefici in termini di vendite. Il che naturalmente non significa che i nuovi autori non debbano proporsi di costruirla. Quindi il messaggio che possiamo mandare agli autori che non siano già una celebrità non deve essere ambiguo: non aspettatevi troppo da questo strumento, piuttosto consideratelo un investimento per il futuro, una sorta di ginnasio per prepararsi alla competizione.
[MA]: Sicuro, ci vogliono anni, investimenti e durissimo lavoro sottratto ad altre attività per costruire una piattaforma che converta in vendite. Alle volte mi chiedo se per gli scrittori esordienti non sarebbe meglio impiegare il proprio tempo a scrivere e a migliorare il loro essere narratori, investendo, per esempio, sulla formazione e su un editor.
[EB]: Un discorso sensato che porta l’autore dritto nelle braccia di un editore. Dovrebbe essere proprio l’editore a farsi carico dell’investimento per promuovere il libro e stimolare le vendite. Come vedi il ruolo dell’editore? Ha ancora senso nel tempo di Amazon e delle piattaforme di self-publishing?
[MA]: Sì, ha un senso nella misura in cui l’editore sostiene finanziariamente l’autore che è a corto di mezzi. Lo vedo come un imprenditore che dispone i capitali necessari e la competenza per gestire il business che nasce intorno a un’opera creativa. Quanto alla sua capacità di fare la differenza nel far conoscere i lavori degli autori nutro i miei dubbi. Ho pubblicato con tre editori tradizionali. Sono stati molto bravi: mi hanno fatto intervistare da almeno 30 stazioni radio, ho partecipato a molteplici talk show, ho tenuto centinaia di presentazioni e ho trascorso innumerevoli ore su Facebook e Twitter. Se vi dovessi dire che lo sforzo è valso la pena, vi prenderei in giro.
[EB]: Così però ci spaventi davvero. Intendi dire che i mezzi tradizionali per promuovere un libro sono diventati del tutto inefficaci, che andare in radio e in televisione non serve a niente e che le presentazioni non ripagano il costo dell’aereo e dell’albergo? Che cosa si può fare, oggi, che possa funzionare?
[MA]: Leggete il mio libro! [ride forte]. Come vedete sono sempre in modalità promozione. Ci sono una dozzina di cose che si possono fare, e che si devono fare su Amazon, per vedere veramente la differenza nelle vendite tra il prima e il dopo averle attuate. Fai una presentazione e non succede nulla, fai una di queste 12 azioni e iniziano ad attivarsi i moltiplicatori delle vendite. Tutto il resto è una perdita di tempo in particolare lo è il blogging, Twitter e Facebook. Così come sono una perdita di tempo tutte le tattiche tradizionali di promozione dei libri. Se non si lavora bene su Amazon, dove si realizzano l’80% delle vendite, queste ultime resteranno anemiche.
[EB]: Ci dici qualcosa che condividiamo ma che la stragrande maggioranza degli autori ignora. Molti considerano Amazon come una libreria online al pari di molte altre, un luogo alquanto dozzinale dove i lettori vanno per comprare quello che cercano al migliore prezzo disponibile. Entrano, cercano, comprano, escono e dimenticano e Amazon gestisce tecnicamente il processo riducendolo a un click. E invece Amazon è molto, molto di più: è un vero e proprio ecosistema all’interno del quale si può ingaggiare e sviluppare un rapporto molto sofisticato con il lettore al termine del quale quest’ultimo è guidato da Amazon come Dante lo è da Virgilio nella Divina Commedia. E come ogni ecosistema Amazon è un mondo in sé stesso e può essere immune da quello che succede all’esterno. È l’ecosistema dove sono davvero i lettori e pertanto riuscire a conoscerlo e utilizzarlo al massimo delle sue potenzialità può veramente fare la differenza tra anemia ed emorragia delle vendite. Il che non significa che gli altri mezzi siano zero e proprio per questo vorremmo tornare a parlare di Facebook. Tu dici che ci vogliono almeno 20mila fan per raccogliere qualche risultato. È un bel numero! Ci puoi dire come sei arrivato a tirare fuori dal cilindro questa cifra?
[MA]: Prima di tutto fammi dire che sono d’accordo con voi su Amazon come vero e proprio ecosistema e aggiungerei, complesso ecosistema. Vengo ai 20mila fan. Non è un numero ufficiale è un numero che deduco dalla mia esperienza di molti anni su Facebook. Considerando che il numero medio di amici per persona è 350 (negli USA), mi chiedo come possa fare un autore mezzo sconosciuto o mezzo conosciuto ad arrivare a 20mila fan. Io sono stato ospite di HBO, di Canale 4 nel Regno Unito, sono ben conosciuto nel mio ambiente, che è una nicchia importante, e in cinque anni ho raccolto 5mila fan. Ciò che nessuno dice davvero è quanto difficile sia costruire una reale fan base su Facebook. È così difficile che, per esempio, molte aziende incaricano delle società specializzate di portare avanti questo compito. Poi dove queste aziende trovino i fan è un mistero che è meglio non indagare.
[EB]: In effetti con azioni spontanee o organiche si va poco lontano sia nell’acquisire nuovi fan sia nel far arrivare i post a un numero significativo di soggetti. Per arrivare a più persone, bisogna pagare, perché Facebook fa pagare per raggiungere i clienti e ottenere dei like. Di media, senza esborsi, Facebook lascia che un post possa raggiungere un massimo del 16% della propria fan base. Leggete questo post al riguardo.
[MA]: Esattamente e che abbiate il minimo sindacale di 350 fan o ne abbiate 20mila, bisogna mettere mano al portafoglio per raggiungerli tutti con un qualsiasi post. Se poi fate più post al giorno, allora la faccenda non è più di portafoglio, ma di conto in banca. Una volta ero a pranzo con un giornalista del “New York Times” che mi magnificava i 2milioni di fan del giornale. Quando gli ho detto che il NYT poteva raggiungerne solo un quinto è rimasto di stucco e se ne è convinto solo dopo aver chiamato il proprio capo sulla settima strada il quale ha confermato che le cose stavamo come gli avevo appena detto e che il “Times” paga solo per promuovere le storie più importanti. Alle altre storie, lasciate ai meccanismi organici, succede che, dei 2milioni di amici dichiarati sulla pagina Facebook, è concesso di raggiungere “solo” 400mila persone, che sono in sé già un piccolo esercito. Ma questo è il NYTimes che ha vinto 117 premi Pulitzer. Semplicemente molte persone, anche molto attive sui social media, non conoscono questi fatti e pensano che Facebook non abbia un business miliardario da portare avanti e da incrementare e che la sua missione sia quella di fare felici i propri amici, come Babbo Natale. Però, … ipotizziamo pure che con duro lavoro, privazioni e deficit di attenzione verso qualsiasi cosa diversa da Facebook, un autore riesca a raggiungere 20mila follower, a quel punto deve iniziare a pagare Facebook per raggiungerli tutti. Se non paga ne raggiunge appena 3mila e per raggiungerne 20mila deve farne 150mila.
[EB]: Spari dei numeri che danno le vertigini. Hai qualche esempio concreto di cui parlarci per avvalorare questa tesi.
[MA]: Certo che ce l’ho. Ho un libro che negli ultimi dodici mesi è stato permanentemente nella classica dei 10 titoli più venduti della sua categoria, spesso al primo posto. Ho speso 60 dollari per un post sulla news feed di Facebook con lo scopo di raggiungere i miei 5000 mila seguaci più altri 8000 utenti interessati all’argomento. Il mio post è stato così efficace che ho avuto dei risultati dei quali si è complimentato lo stesso Facebook dicendo che la mia campagna ha performato meglio del 93% della media. Ho infatti avuto 581 clic sulla foto, 382 click through, 2 like alla pagina, 188 like al post, 20 commenti, 23 condivisioni. Complessivamente le azioni sono state 1196 e la paid reach ha toccato i 13mila utenti. Per chi non ha familiarità con questo tipo di statistiche basti dire che sono stato visto da 13mila persone.
[EB]: Accidenti, hai fatto bingo con appena 60 dollari. Allora Facebook funziona alla grande, altro che! E che conversioni hai avuto.
[MA]: Ho venduto 3 ebook.
[EB]: Andiamo Michael, 60 dollari è un investimento microscopico in pubblicità. È quello che paga un pubblicitario ad Uber per farsi portare dal cliente. Non ci si può aspettare miracoli neppure da un prestigiatore come Facebook. Forse con quei 60 dollari facevi meglio a regalare 6 copie dell’ebook agli amici così lo facevi salire di una decina di posizioni in classifica. Quello che attrae e stupisce è il numero di persone che hai raggiunto con il post, 15mila sono una bella cifra. Il che ci porta a un altro livello di riflessione che è questo: non è tanto il numero di persone che raggiungi, quanto l’ingaggio che avviene con queste persone, nel caso del tuo post è stato molto leggero e non tale comunque da spingere qualcuno a mettere mano al portafoglio. Forse occorre un ingaggio maggiore per avere una qualche conversione in vendite. Un ingaggio che forse su Facebook non è possibile realizzare. Forse c’è bisogno di mettere più soldi. Che ci dici in proposito
[MA]: Appunto è quello che ho pensato e fatto con uno dei miei successivi libri, Eat It Later: Mastering Self Control & The Slimming Power Of Postponement, che si trovava a competere non in una categoria di nicchia come il precedente, ma in una categoria da pesi massimi che si rivolge a un mercato di massa e che attraversa tutti i generi, le età e le fasce di reddito. Ho investito 334 dollari per raggiungere 13 mila persone interessate a perdere peso. Con la mia nuova campagna ho raggiunto 12.558 persone con 583 click through. Vendite… e mi viene da piangere, zero. Dico zero spaccato.
[EB]: Piangiamo insieme allora, perché sappiamo che hai altre campagne in corso e che i risultati sono grosso modo questi. E allora ti chiediamo: perché Facebook è così poco utile per vendere libri? Forse non ci sai fare ed è un tuo problema capire come. Forse Sheryl Sandberg garbatamente ti farebbe capire questo. Per questo c’è un team di Facebook che gira il mondo per tenere corsi agli inserzionisti e ai pubblicitari per insegnarli a progettare delle campagne efficaci. Forse sono davvero troppo avanti per noi terrestri. Che ci dici in proposito.
[MA]: Può essere tutto, ma la mia ferma convinzione è che Facebook sia poco utile per vendere qualsiasi cosa.
[EB]: Tornando ai libri la nostra impressione è che, fondamentalmente, la gente non va su Facebook per sentir parlare di libri o ricevere dei post sponsorizzati sui libri. È su Facebook per fare altre cose, c’ha la testa da un’altra parte. È un po’ come cercare di vendere libri al luna park, qualcuno si può fermare alla bancarella, ma molti vanno dritti alla ruota panoramica e alle giostre. Ci sono delle attrazioni molto più potenti della bancarella di libri illuminata da tre lampadine. Mi ricordo che quando ero ragazzo avevo venduto un bel po’ di fumetti mettendo un banchino nei pressi della cartoleria che vendeva anche i giornali e le riviste. Mi ero fatto un sacco di idee sbagliate dopo questo inatteso boom di vendite. Quando venne il tempo della fiera del paese spostai lo stesso banchetto al luna park, ma con mia meraviglia non ci si fermava nessuno, eppure c’erano anche le stesse persone che passavano da lì, e quell’esperienza fu solo una perdita di tempo. Ci penso spesso perché è stato quando ho scoperto il marketing. Quella lontana esperienza mi ricorda un poco il confronto tra quello che succede ad avere il banchetto su Amazon e ad averlo su Facebook.
[MA]: Se non provi non impari, diceva il presidente Roosevelt. A quello che avete detto, aggiungerei che il click through dei post a pagamento di Facebook è terrificante. Nella mia prima riuscitissima campagna è stato del 3%. Un risultato che mi dicono essere spettacolare perché il click through su Facebook è meno di due decimi dell’1%. Ma c’è una statistica ancor più deprimente.
[EB]: Oddio, abbi pietà di noi.
[MA]: Solo il 13% del meno dell’1% delle persone che cliccano sul link del post per approdare su Amazon effettuano l’acquisto. Si tratta di una statistica elaborata da Millward Brown Digital, un sito che misura il traffico del web. C’è però un altro dato che, forse è risolutivo di questa nostra discussione. Riguarda il tasso di conversione dei clienti Prime di Amazon.
Il tasso di conversione degli utenti Prime su Amazon è il 74%. 20 volte tanto il tasso media degli altri e-commerce.
[EB]: Tutto nasce e torna ad Amazon come avrebbe detto il capo indiano in Balla coi Lupi.
[MA]: In effetti sì. Considerate che il tasso di conversione di un cliente Prime di Amazon è del 74% [è il cliente che versa 99 euro/dollari all’anno per non pagare le spese di spedizione TV di Amazon e per accedere, solo negli USA, al servizio di streaming di musica, film e programmi]. Se riuscite a portare un cliente Prime sulla scheda del vostro libro avete il 74% delle probabilità che lo acquisti. Ma i clienti Prime si pescano su Amazon, se vai su Facebook o sui social media a cercarli è come cercare il Santo Gral. Ma se usciamo da Prime sono dolori. Sempre secondo questa statistica il tasso di conversione dei primi 500 e-commerce negli Stati Uniti è del 3%. Su Amazon il tasso di conversione dei clienti non-Prime sale al 13%, quattro volte tanto. Il cliente Prime vale 20 volte un cliente generico. Stando a una previsione di Macquarie investment nel 2020 metà delle famiglie americane avrà un contratto Prime. Ecco perché è Amazon il terreno d’ingaggio con i lettori.
[EB]: In sostanza quello che dici agli autori è questo: non buttate tempo e risorse su Facebook o a costruire una piattaforma per relazionarvi con i lettori, piuttosto concentrate le vostre risorse sullo scrivere e sul capire bene i meccanismi che regolano l’ecosistema di Amazon così da poterli rendere pervasivi in ogni vostra azione futura.
Quanto alla sentenza sull’efficacia di Facebook, beh, ci rimettiamo alla clemenza della corte.