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Vegas e la dittatura dello spread: da marzo 30 miliardi di euro in più di spesa per interessi

Da dove nasce la corsa all’insù dello spread? Certamente dalle tensioni dei mercati finanziari e dall’avversione al rischio sovrano alimentata oggi dalla corsa della Grecia verso nuove elezioni ma non si possono dimenticare le negligenze dei nostri politici sul debito pubblico. Da marzo la spesa per interessi è aumentata di oltre 30 miliardi di euro

Vegas e la dittatura dello spread: da marzo 30 miliardi di euro in più di spesa per interessi

Ieri il Presidente della Consob, l’autorità di vigilanza sui mercati, Giuseppe Vegas ha presentato la sua relazione annuale in cui si è lanciato in un j’accuse contro la “dittatura dello spread”, una sorta di tirannia che inchioda i cittadini europei a pagare “per scelte su cui non sono chiamati a decidere”. Ha veramente ragione?

Vista dall’Italia la questione è semplice. Da luglio 2011 lo spread tra i titoli decennali emessi dal Tesoro italiano (i BTP) e gli analoghi titoli emessi dal tesoro tedesco (i Bund) è salito decisamente. Ancora a fine giugno era al di sotto dei 200 punti base (p.b., cioè meno del 2% di differenza di rendimento), a luglio arrivava a sfiorare i 400 p.b. e il massimo di oltre 550 p.b. si toccava all’inizio di novembre, prima delle dimissioni di Berlusconi e dell’avvento di Monti. Successivamente, si è avuta una riduzione pressoché univoca fino a metà marzo, quando si collocò sui 280 p.b.. Ma, da allora, è tornato a salire in un vortice in cui lo spread dell’Italia veniva tirato su da quello della Spagna, paese indentificato oggi più in crisi del Bel Paese.

Ieri, in seguito alle conseguenze negative della perdurante difficoltà a formare un governo ad Atene e della netta sconfitta riportata dalla CDU nelle elezioni regionali del popoloso Land Nord Reno-Westfalia, i mercati hanno fatto salire lo spread italiano verso i 430 p.b. (e quello spagnolo verso i 480 p.b). Oggi, a seguito della corsa alle nuove elezioni della Grecia, lo spread Btp-Bund ha toccato quota 440.

Ogni 100 p.b. in più dello spread, se si mantengono stabilmente, significano per l’Italia circa 20 miliardi di euro aggiuntivi di interessi da pagare sul proprio debito pubblico, cioè una Finanziaria in più.

Quindi, siccome rispetto a metà marzo siamo risaliti di circa 160 p.b., i conti sono presto fatti: rispetto ad allora, qualora lo spread italiano restasse stabilmente a questi livelli, servirebbero oltre 30 miliardi di euro in più per pagare gli interessi. E andare a prelevare dagli italiani una somma del genere con ulteriori tasse o riducendo la fornitura di servizi pubblici, proprio in un momento in cui siamo in recessione e molti perdono il posto di lavoro, non è certo una prospettiva allettante. Quindi, la risposta alla domanda iniziale (ha ragione Vegas?) è probabilmente positiva: l’aumento dello spread rischia di avvitare su se stessa una situazione economica difficilmente sostenibile. E chi, come continuava fino a ieri a fare la Cancelliera Merkel, sente solo la campana del rigore dei conti pubblici e non ascolta l’esigenza della crescita sta imponendo ai cittadini europei dei sacrifici forse esagerati. Però, c’è un però. Quello di Vegas è il pulpito giusto per fare queste affermazioni?

Bisogna ricordare che dal 1990 al 1995, prima che l’Italia si avviasse verso l’ingresso nell’euro, la media dello spread BTP-Bund era di 500 p.b.. Perché nessuno si lamentava allora? Perché avevamo ancora la lira e, all’occorrenza, era possibile che la lira si svalutasse, ridando fiato alla competitività del made in Italy. Naturalmente, da quando siamo nell’euro, quella possibilità di ridare ossigeno alle tante fabbrichette di casa nostra non c’è più. Però abbiamo avuto grandi vantaggi perché, per quasi quindi anni, abbiamo pagato i tassi tedeschi, o quasi, sui nostri debiti, ivi incluso il debito pubblico. Infatti, con l’avvento dell’euro, e già prima, lo spread si azzerava (o quasi) e rimaneva su quei livelli più o meno fino alla prima parte del 2011. E allora il conto lo si può fare di quanti interessi sul debito pubblico l’euro ci ha risparmiato per circa quindici anni. Calcolando prudenzialmente una riduzione dello spread di 400 p.b. rispetto al periodo pre-euro, si arriva almeno a 60 miliardi di minori interessi all’anno sul debito pubblico italiano. In tutto, se consideriamo il quindicennio nel quale abbiamo goduto del bonus “tedesco” sui tassi di interesse, si cumula un ammontare di oltre 800 miliardi di interessi risparmiati. Insomma, se i nostri politici – di destra e di sinistra – invece di rilassarsi e di accontentare i tanti loro amici avessero usato il bonus tedesco per ridurre il debito pubblico, oggi ci troveremmo con un rapporto debito pubblico/PIL (il valore della produzione di un anno intero) al 70%, anziché al livello attuale del 120%. Ebbene, va ricordato che l’Italia si trova nell’occhio del ciclone e soffre l’alto spread non per la crisi delle proprie banche (le banche italiane sono entrate in crisi l’anno scorso solo dopo che era salito lo spread) e neanche per la bolla dei prezzi immobiliari (da noi i prezzi delle case sono saliti molto meno che in Spagna o Irlanda) bensì proprio perché il nostro debito pubblico è troppo alto. E, allora, un giorno qualcuno dovrà chiedere conto ai nostri politici, ripeto, di destra e di sinistra: che cosa ci avete fatto col bonus tedesco? Credo che le risposte non saranno esaltanti né convincenti. E lo stesso vegas, che viene dal mondo della politica, non può chiamarsi fuori.

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