Ha avuto inizio ieri sera l’ottava edizione di veDrò, l’evento annuale organizzato dall’omonimo think-net trasversale fondato, tra gli altri, da Enrico Letta, Giulia Bongiorno, Angelino Alfano, Enrico Bertolino, Gianluca Rana e Luisa Todini, presieduto da Benedetta Rizzo. Cominciano invece oggi pomeriggio i lavori dei 21 working group in programma. Franco Spicciariello, socio fondatore di Open Gate Italia (Media Partner di questa edizione di veDrò) e coordinatore del Master in Public Affairs della LUMSA di Roma, parteciperà a quello dedicato al tema della corruzione, “cronache da un paese che non riesce (ancora) a emendarsi”. Ecco il suo punto di vista
Lobbying e ddl anticorruzione: quando la norma rischia di peggiorare il problema
Nell’ambito della Convenzione di Strasburgo del 1999, che reca misure per combattere la corruzione e che l’Italia ha ratificato dopo 13 anni lo scorso giugno, c’è la norma sul traffico di influenze. Ovvero, chiunque paghi un terzo affinché cerchi di influenzare il decisore pubblico, e da ciò ne provenga vantaggio, commette traffico illecito di influenza che (testo del nuovo 346bis), nel recente ddl Anticorruzione approvato in prima lettura alla Camera dei Deputati, è stato introdotto come reato nel nostro ordinamento.
Al di là della demagogia che circonda le discussioni sul lobbying, va valutato come si possa introdurre un reato che stabilisce in maniera non del tutto definita cosa sia illecito senza aver detto cosa invece è lecito. Tanto più se si introduce una norma che ha l’effetto di rendere ancor più incontrollabile la discrezionalità – vista l’obbligatorietà prevista dalla Costituzione – dell’azione penale della magistratura. In uno stato di diritto è infatti imprescindibile determinare in maniera chiare e definita i confini di ciò che è reato.
L’Italia invece, come appare evidente dal testo approvato, va nella direzione opposta. Cosa vuol dire infatti farsi dare o promettere “indebitamente” denaro o altro vantaggio patrimoniale sfruttando le proprie relazioni con i decisori pubblici? Può essere reato la legittima attività di lobbying di rappresentanti di aziende o anche di sindacalisti (che, quando non si occupano di concertazione, altro non fanno che lobbying)? La risposta può essere positiva o negativa, ma il problema è che la genericità delle definizione e l’assenza di una regolamentazione dell’attività lasciano una discrezionalità quantomeno pericolosa. Un pericolo che appare evidente anche ai politici, visto l’OdG approvato dalla Camera che impegna il Governo (e lo stesso Ministro della Giustizia Paola Severino si è impegnata pubblicamente al riguardo) ad adottare provvedimenti normativi per introdurre una disciplina ampia ed organica dell’attività di lobbying e di rappresentanza degli interessi.
Purtroppo però, non sembrano essere stati presi in considerazione due aspetti relativi alla norma di cui si parla. Il primo è che «I paesi che hanno ratificato la Convenzione del 1999 – come ha scritto il professor Pier Luigi Petrillo, costituzionalista presso la LUISS – come il Regno Unito, l’Olanda, la Francia e altri senza dimenticare la Svezia, che non sono certo Paesi incivili, lo hanno fatto apponendo una riserva sulla norma del traffico illecito di influenza. Se inserito nell’ordinamento penale, e così hanno giustificato la loro decisione, pregiudicherebbe l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito», riconosciuto nel nostro paese anche da alcune sentenze della Corte Costituzionale.
L’altro aspetto è che la gran parte dei paesi europei si sta orientando verso un sistema inteso a regolare l’attività di lobbying. All’agosto 2012 l’elenco dei paesi che presentano una normativa sul lobbying vede tra gli altri Australia, Austria, Canada, Francia, Germania, Polonia e USA, oltre a Commissione e Parlamento UE. E presto toccherà anche a Gran Bretagna e Irlanda. La spinta alla trasparenza arriva anche dalle istituzioni internazionali: dall’ONU all’OCSE (che ha stabilito linee guida condivise e inglobate nelle norme approvate in particolare nei paesi ex comunisti), passando persino per il Fondo Monetario Internazionale. L’FMI nel maggio 2009 ha infatti pubblicato un working paper, “A Fistful of Dollars: Lobbying and the Financial Crisis”, sottolineando il ruolo avuto dall’attività di lobbying per una regolamentazione più leggera portata avanti dalle società del mondo della finanza. Attività che avrebbe portato direttamente alla crisi del 2008. Le conclusioni dello studio sono state molto chiare: “La nostra analisi suggerisce che l’influenza politica da parte dell’industria finanziaria può essere fonte di un rischio sistemico. La prevenzione di crisi future potrebbe richiedere un indebolimento dell’influenza politica da parte del mondo della finanza o un più attento monitoraggio delle attività di lobbying”. Un monitoraggio ad oggi inesistente in Italia, nonostante oltre 40 proposte di legge di iniziativa parlamentare e una governativa (il cosiddetto ddl Santagata ai tempi del secondo governo Prodi), e che anzi le decisioni prese sino ad ora da Governo e Parlamento rischiano di spingere sempre più in un’ombra di cui in Italia non c’è alcun ulteriore bisogno.
Su questo tema ha molto lavorato in questi mesi veDrò con un working group sul lobbying composito (lobbisti, consiglieri di Stato, rappresentanti di associazioni, ecc.) – animato dal professor Petrillo, anche responsabile dell’Unità per la Trasparenza del MIPAAF, primo Ministero ad istituire un registro dei lobbisti – finalizzato alla costruzione di una proposta condivisa di regolamentazione. Il frutto del lavoro di un anno sarà presentato nel corso di una sessione plenaria di veDrò in programma per domani, martedì 28 agosto.