Manuel Valls, il nuovo premier scelto in Francia da François Hollande per risalire la china della popolarità (ma il presidente resta ancora bloccato al 18% dei consensi nei sondaggi), sta per affrontare la sua prima grande battaglia. Paragonato a Parigi a Matteo Renzi, Valls, anticonformista della gauche, troppo a destra per l’ala sinistra del Partito socialista, ha presentato un piano di tagli alla spesa pubblica per un totale di 50 miliardi, da realizzare da qui al 2017. È il «patto di responsabilità», come viene definito, perché ha l’obiettivo di riportare il deficit pubblico entro il 3% del Pil, il Prodotto interno lordo, nel 2015, la spina nel fianco della Francia di fronte a Bruxelles. Sarà votato dall’Assemblea nazionale martedì 29 aprile. Ma non è per nulla scontato che venga approvato, perché già si palesano all’orizzonte diverse defezioni all’interno della salda maggioranza sulla quale i socialisti possono (teoricamente) contare in Parlamento.
Il patto prevede, fra l’altro, il congelamento delle pensioni, degli assegni familiari e delle indennità concesse per la casa. E poi il blocco degli stipendi dei funzionari pubblici, Oltralpe un esercito di 5,2 milioni di persone (e notoriamente un bacino di voti per la sinistra). Questi sacrifici serviranno ad alleggerire il costo del lavoro, in Francia ancora più elevato che in Italia, con una riduzione nei tre anni a venire dei contributi sociali pagati dalle imprese per un totale di dieci miliardi. Non stupisce che una parte del Ps sia già partita all’attacco. Nei giorni scorsi undici deputati hanno preso carta e penna per rigettare il piano, giudicato «economicamente pericoloso, perché conduce la ripresa e l’occupazione all’asfissia ed è contrario agli impegni che abbiamo preso di fronte agli elettori». Questi politici, che dicevano esprimersi in nome di un centinaio di parlamentari, hanno chiesto che la cifra sia ridotta a 35 miliardi.
Valls, che è un duro, non intende cedere, tanto più che alleggerire a 35 miliardi significherebbe procrastinare ancora il rientro nei ranghi della Francia sul deficit pubblico rispetto ai parametri di Maastricht, un punto sul quale il Paese è andato avanti negli ultimi anni tra promesse (mancate) e nuovi rinvii. Giovedì il premier ha promesso di restare «molto attento alle aspettative del ceto medio e di chi riceve salari modesti». Concretamente, dovrebbe venire incontro ai funzionari pubblici che guadagnano di meno e che potrebbero sfuggire, almeno in parte, al congelamento dei salari. Potrebbe anche varare qualche «regalino» fiscale ai redditi più bassi, con la finanziaria aggiuntiva già prevista in giugno per il 2014. Ma tutto resta molto vago. E in ogni caso i margini rimangono davvero ridotti. Valls non vuole e non può rimangiarsi il suo piano, che ha rappresentato una rottura nella tradizione della sinistra francese, rompendo certi tabù, vedi gli intoccabili dipendenti dello Stato, chiamati a sacrificarsi, o i vantaggi varati per le aziende, nella speranza che un costo del lavoro più basso possa ridare slancio all’economia.
La situazione, intanto, non sembra calmarsi. I verdi, alleati dei socialisti, dovrebbero votare contro il piano. Venerdì altri tre deputati socialisti (Laurence Dumont, Jean-Marc Germain e Christian Paul) sono intervenuti direttamente con un articolo nel quotidiano Libération dichiarando che martedì, in occasione del voto, si asterranno. « Dove è la giustizia – si legge nel documento – quando, per finanziare la riduzione dei contributi pagati delle imprese, si decide di ridurre il potere d’acquisto dei pensionati e dei funzionari pubblici, compresi quelli con un salario più modesto?». Insomma, la sfida non si annuncia per nulla facile per Valls. Che forse sarà costretto a puntare sui voti favorevoli di alcuni rappresentanti della destra. Perfino Frédéric Lefebvre, un tempo collaboratore stretto di Nicolas Sarkozy, ha ammesso che dovrebbe dire sì al piano Valls. Confermando che il premier, il Renzi francese, non è un personaggio scontato per la gauche.