Una spinta alla bad bank è arrivata nei giorni scorsi anche dal presidente della Bce Mario Draghi, per Fortune secondo leader più influente del mondo dopo l’amministratore delegato della Apple Tim Cook e davanti al presidente cinese Xi Jinping e a Papa Francesco. “La Bce guarda con molto favore a iniziative per ridurre il peso delle partite deteriorate nei bilanci delle banche in modo da liberare risorse” a beneficio delle imprese, ha detto Draghi in audizione alla Camera. Quella di Draghi è l’ultima di una serie di dichiarazioni a favore della bad bank da parte delle autorità: il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha parlato genericamente di una soluzione che rispetti la disciplina europea della concorrenza, il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha indicato la necessità di forme diverse da quelle di altri Paesi europei con maggiore coinvolgimento del settore privato, infine il ministro Pier Carlo Padoan pochi giorni fa ha prospettato una soluzione light cin misure specifiche di tipo regolatorio che possano facilitare la cessione dei crediti in sofferenza.
Certo è che, nonostante di bad bank se ne parli da molto tempo e si sia giunti ormai ai calci di rigore, c’è ancora poca chiarezza sul se e come la bad bank prenderà forma.
Per Giacomo Vaciago, professore di Economia monetaria all’Università Cattolica di Milano, intervistato da FIRSTonline, procedere senza più indugi a una bad bank è ormai prioritario, attraverso una soluzione che standardizzi le sofferenze e un decreto che ne fissi le regole. Altrimenti, c’è poco da fare, il Qe di Draghi servirà soprattutto alla Germania.
Cosa ne pensa del dibattito sulla bad bank?
E’ urgente, certamente è meglio farla tardi che mai. Si parla di bad bank quando si crea un veicolo pubblico con gestione pubblica a cui vengono trasferiti i non performing loans (Npl) a prezzi ragionevoli. Ora ritengo invece più necessario una soluzione che passi tramite un decreto sulle regole, la deduzione fiscale delle perdite e operatori privati adeguati alla mission, ossia che comprino le sofferenze, e che probabilmente arriveranno dall’estero. Se vuoi che i Npl vengano tolti dalle banche e siano negoziati devi stabilire una standardizzazione. Tra l’altro se li avessimo standardizzati e cartolarizzati in modo appropriato qualche anno fa li avremmo potuti vendere alla Bce. Questa carta invece Draghi come fa a comprarla?
Propende comunque per una soluzione di tipo privato, è questa la via migliore per il sistema?
Oggi è tardi per la via pubblica e la situazione non è così grave da dover pensare a una soluzione come quella svedese di temporanea nazionalizzazione. Oggi non siamo di fronte a un burrone ma di fronte a una parete da scalare, che è la ripresa economica, ma abbiamo le tasche piene di sassi e non riusciamo a salire. E’ anche un errore drammatizzare, non è vero che domani moriamo tutti di fame, ogni tanto come stiamo facendo, ci venderemo i gioielli ai cinesi, ai coreani. Ma non risolvendo subito i problemi aumentiamo il divario tra chi va bene e chi va male e nel 2015 chi andava bene andrà meglio, chi andava male andrà peggio. Si parla di ripresa nel 2015 ma non avremo la ripresa con le banche che riducono gli impieghi. Quest’anno ripartirà solo chi andava bene, che tra l’altro è chi esporta e vende al resto del mondo. Chi andava male andrà peggio.
Questa soluzione sarebbe compatibile con le regole europee che vietano gli aiuti di Stato?
Secondo me non sarebbe un problema a livello europeo. Se sappiamo spiegare a Bruxelles che questo è l’interesse di tutti e che chiediamo semplicemente di fare quello che hanno già fatto gli altri. Sostengo da anni che noi italiani non abbiamo ancora capito che crisi stiamo vivendo. Tutti hanno parlato di crisi del debito sovrano, di debito pubblico. La crisi invece arriva in Europa come eccessivo debito privato, nasce dalle banche, dalla crisi dei subprime che sono i prestiti erogati a soggetti ad alto rischio di insolvenza.
A un certo punto la situazione greca ha fatto precipitare la situazione sui debiti pubblici.
Solo la Grecia ha detto bugie e ha avuto una crisi di debito pubblico. Ci hanno tratto in inganno anche i mercati che hanno preso Atene com l’emblema dell’Europa meridionale e hanno sentenziato che era una crisi di debito sovrano. Non era vero, ai tempi 106 di rapporto debito/Pil era ancora sostenibile. Ma certo non ci permetteva di salvare le banche. Ma ignorare cosa è successo al debito bancario vuol dire non avere capito nulla, vuol dire pensare che la Grecia è l’Europa ma non è così. Trattare la crisi come una crisi del debito sovrano l’ha aggravata.
In che senso?
Anche da noi ci sono state la bolla immobiliare e le conseguenze di politiche espansive che hanno indotto un eccesso di indebitamento bancario, ma noi li abbiamo curati con l’aspirina. Con i Tremonti bond si è avuto l’idea di prestare i soldi del Tesoro e farci sopra uno spread, costavano il 3% e tornavano al 9. Intanto le banche tagliavano i prestiti. Quando vedo queste soluzioni che adotta solo l’Italia mi viene da ridere. Abbiamo avuto la più bella crisi bancaria trascurata del mondo mentre altrove le banche vanno salvate con i soldi pubblici: la Germania ha messo miliardi nelle banche e ha potuto farlo perché quando è arrivata la crisi non aveva troppo debito pubblico, l’Irlanda ha nazionalizzato le banche temporaneamente e la Spagna ha fatto la bad bank, entrambe hanno reso pubblico debito privato. Per farlo però è necessario arrivare alla crisi con poco debito e noi non avevamo capito né potuto fare quello che si doveva fare. Come facevamo a raddoppiare debito pubblico se già eravamo a 106 di debito/Pil? Ma invece di fare l’austerity per ridurre il deficit pubblico dovevamo fare subito la bad bank o una soluzione simile.
Era ed è comunque anche una questione di vincoli di bilancio.
Qualche soldo ci vuole ma il problema è trovare il coraggio di dire la verità. Noi abbiamo dormito, per orgoglio, il governo Monti, abbiamo perso l’occasione per dire alla Comunità europea di fare ciò che era indispensabile. Tre anni fa potevamo negoziare una soluzione, se l’avessimo capito subito che era una crisi di debito privato e non pubblico. Il Tesoro, Maria Cannata, non ha mai perso l’accesso al mercato, invece nell’estate 2011 lo hanno perso le banche: la raccolta all’ingrosso del sistema interbancario è caduta di 100 miliardi, gli impieghi sono stati così tagliati di altri 100 e le sofferenze sono aumentate di conseguenza di altri 100.
E ora?
In tempi fisiologici le banche ci mettono 10 anni di profitti per assorbire queste sofferenze, è un tubo otturato. E il Qe non passa da questo tubo, per questo in Italia non funzionerà. Serve di più alla Germania che all’Italia. E questo i tedeschi non lo capiscono.
Come sbloccare l’impasse?
Le grandi banche sono a buon punto, stanno uscendo dalle secche. Sono le piccole di cui si preoccupa Bankitalia perché il resto del sistema bancario è fermo e il sistema non riparte. Anche tutto quello che è successo sulle popolari, con la riforma in Spa, riguarda il fatto che sono loro a dover essere ricapitalizzate.
Mi aspettavo così che sulla bad bank si agisse come si è fatto con il decreto sulle banche popolari, con decisione e velocità: è necessario consentire al sistema di ripulire i bilanci in tempi brevi. Nei Paesi civili quando c’è una crisi le autorità si incontrano e mettono su un tavolo di lavoro congiunto e mi sarei aspettato che Ministero del Tesoro, Bankitalia, e Consob costituissero un gruppo di lavoro congiunto che quotidianamente passasse al Parlamento le indicazioni su cosa fare. Ora serve il coraggio di andare in Parlamento a dire che le banche sono una risorsa del Paese e vanno aiutate.