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USA, UE e Iran, ecco il vero prezzo delle sanzioni

A partire dal 2006 gli USA, l’ONU e, successivamente, l’UE, hanno adottato una serie di misure restrittive nei confronti dell’Iran, mirate a disincentivare il programma nucleare del Paese. Tra il 2008 e il 2012 il quadro è stato progressivamente inasprito. Se le prime sanzioni adottate includevano il congelamento degli asset di alcune imprese iraniane e restrizioni su determinate transazioni finanziare e commerciali, principalmente legate al settore oil&gas, nel 2012 l’UE ha imposto un divieto sul trasferimento di fondi tra banche comunitarie e istituti di credito e finanziari locali. A loro volta, gli USA hanno esteso le restrizioni commerciali ai settori automobilistico (il principale settore di impiego locale dopo quello energetico) e navale, ampliando le restrizioni finanziare anche alle banche che effettuano transazioni in rial iraniani. Nonostante le sanzioni approvate siano ancora in vigore, i principali Paesi sanzionatori hanno concordato un piano di progressivo allentamento delle contromisure alla luce dell’impegno dell’Iran nella riduzione del piano nucleare

Dai dati pubblicati nell’ultimo focus SACE, tra il 2000 e il 2013 l’Iran ha importato beni per una media annual di per circa 38 miliardi di euro. In questo scenario, l’Italia detiene una quota media di mercato del 4,6%. Nel periodo precedente le sanzioni (2000-2005), l’export italiano verso l’Iran è cresciuto a un ritmo superiore a quello delle importazioni iraniane dal mondo (23,5% rispetto a 17,8%), con un conseguente incremento della quota di mercato per il Made in Italy (6,9% in media).

Gli scambi commerciali dell’Iran hanno risentito delle sanzioni applicate. Con la prima ondata del 2006 le importazioni hanno continuato a espandersi, seppur a un ritmo progressivamente inferiore. E se fino al 2010 si è registrato un andamento altalenante ma comunque positivo delle vendite, le esportazioni hanno iniziato a calare dal 2011, arrivando a registrare tassi di contrazione del 25% nel 2012 e 2013. Tuttavia, le esportazioni italiane hanno subito effetti negativi già dalla prima fase del processo sanzionatorio (-19% nel 2006). Le sanzioni sono costate all’Italia una perdita di oltre 15 miliardi a partire dal 2006, di cui oltre il 60% accumulato nel solo periodo 2011-2013. Questa stima si ottiene ipotizzando una crescita dell’export a un tasso medio annuo del 10%, ovvero con un’intensità pari alla metà di quella osservata nel periodo pre-sanzioni 2000-2005. In questo senso, si perderanno quasi 16 mld di esportazioni tra il 2014 e il 2016. La meccanica strumentale, che costituisce oltre la metà delle esportazioni italiane in Iran, è il settore più colpito, avendo perso oltre 11 mld dall’inizio delle sanzioni, di cui 7 mld solamente negli ultimi tre anni. Un restante 30% dell’export è rappresentato dai metalli, le apparecchiature elettriche e la chimica, che dal 2006 hanno registrato perdite complessive per quasi 2 mld. Ecco allora che, nello scenario fino al 2016 i quattro settori principali registreranno perdite per 13,7 mld.

In un rapporto recente del National Iranian American Council (NIAC) è stata pubblicata una stima delle perdite derivanti dalle sanzioni per gli USA, in termini di mancate esportazioni con l’Iran. L’analisi si basa su un punto di vista alternativo e poco dibattuto, ossia quello degli effetti derivanti dalle sanzioni su chi le impone piuttosto che su chi le subisce. Secondo tali stime, nel periodo 1995-2012 la perdita potenziale per l’export statunitense oscillerebbe tra 135 e 175 miliardi di dollari. Secondo lo studio, anche per l’Europa le perdite sono rilevanti. Le esportazioni dai mercati UE sono calate del 52% tra il 2010 e il 2013. La maggiore contrazione si è registrata per i beni d’investimento, in particolare macchinari e mezzi di trasporto, le cui esportazioni sono diminuite del 68% dal 2010. E proiettando nel prossimo triennio la dinamica che avrebbero le esportazioni italiane in assenza di sanzioni, si riuscirebbe a registrare vendite per oltre 19 miliardi di euro, rispetto ai 3 mld che invece realizzerebbe qualora persistesse il regime sanzionatorio.

A novembre 2013 USA, Regno Unito, Germania, Francia, Russia, Cina e l’Iran hanno firmato un accordo a Ginevra (Joint Plan of Action, JPA) che prevede l’attuazione da parte del governo iraniano di alcune misure politiche ed economiche in un arco temporale di 6 mesi (dal 20 gennaio al 20 luglio 2014) aventi ricadute positive in termini di maggiore export. Tuttavia, il contesto internazionale ancora volatile non incentiva per il momento nuovi investimenti nel Paese, nonostante la percezione del rischio da parte degli operatori internazionali stia migliorando. Il raggiungimento dell’accordo si potrà tradurre in un aumento solo moderato delle esportazioni di petrolio (attualmente ferme a 1,4 milioni di barili al giorno), con un impatto relativamente modesto, quindi, per l’economia globale. Nonostante ciò, il sentiero di crescita dell’economia iraniana è già positivo: nell’ipotesi di un ulteriore allentamento delle sanzioni si prevede un tasso di crescita del PIL del 2% per il 2014-15, una valuta più forte e un’inflazione più moderata. Secondo le stime pubblicate da SACE, il prezzo del petrolio per il 2014-15 potrà attestarsi a 105-110 dollari al barile. E un aumento della domanda estera potrebbe quindi tradursi in una crescita dell’export iraniano.

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