Mentre in Italia si discute, spesso con acredine e veemenza, sulle nuove linee guida del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) relative all’insegnamento della storia, sui criteri del reclutamento universitario e sul ridimensionamento degli stanziamenti agli atenei per la ricerca, Donald Trump dà prova ancora una volta di decisionismo autoritario anche per quanto riguarda i compiti dello Stato – nel suo caso quello federale – nel campo della pubblica istruzione.
Lo scorso 20 marzo ha promulgato una direttiva che ingiunge a Linda McMahon – la titolare del Department of Education, l’analogo statunitense del MIM italiano – di predisporre la chiusura del proprio dicastero e di prepararsi per la devoluzione delle relative funzioni ai singoli Stati dell’Unione. Si assistite così al paradosso che McMahon, insediatasi formalmente il 3 marzo, dopo neppure tre settimane dall’assunzione dell’incarico, si è trovata come principale obiettivo da raggiungere quello di smantellare il proprio dipartimento.
L’improbabile sopravvivenza del Department of Education
In realtà, al di là dei gesti populisti per compiacere il proprio elettorato reazionario, tra i quali il farsi riprendere circondato da scolari festanti nell’atto di firmare il decreto del 20 marzo, come Trump non può abrogare con un ordine esecutivo lo jus soli per i figli degli immigrati irregolari, non può neppure cancellare il Department of Education per decreto.
Il dicastero, infatti, è stato costituito con una legge del Congresso nel 1980 e unicamente un altro provvedimento legislativo di Camera e Senato – non una decisione del presidente – può annullare la disposizione precedente. Tuttavia, mentre per l’abolizione dello jus soli è necessario modificare la Costituzione, per sopprimere il dicastero dell’istruzione a Trump è sufficiente una legge ordinaria e nel Congresso il partito repubblicano, che detiene la maggioranza dei seggi in entrambi i rami, dispone sulla carta dei voti per raggiungere lo scopo.
In questa maniera, non soltanto verrebbe mantenuta una delle promesse elettorali del tycoon, ma sarebbe realizzato anche uno dei propositi del Project 2025, il programma preparato dalla Heritage Foundation, un think tank conservatore, già nel 2022 in vista di un ritorno di The Donald alla Casa Bianca.
Nel frattempo, i tagli al personale federale indicati dal Department of Government Efficiency – il DOGE, per il momento guidato ancora da Elon Musk – hanno proposto di dimezzare l’organico del dicastero, con il fine dichiarato di ridurre i costi di gestione, ma con l’obiettivo ultimo di intralciarne comunque l’operatività quotidiana in attesa dell’intervento del Congresso.
La pretestuosità delle motivazioni del DOGE è facilmente svelabile alla luce della constatazione che, con poco più di 4.000 addetti, il Department of Education è il dicastero con il minor numero di dipendenti e le sue spese ammontano ad appena il 4% del bilancio complessivo dell’amministrazione federale.
Il percorso accidentato verso il coinvolgimento dello Stato federale nell’istruzione pubblica
Il partito repubblicano e i conservatori in genere hanno sempre avuto un rapporto molto difficile con l’intervento federale nel settore della pubblica istruzione. La Costituzione tace in proposito, ragione per la quale è a lungo invalsa la tesi che la materia fosse di esclusiva competenza dei singoli Stati dell’Unione.
Alla fine della guerra civile, combattuta tra il 1861 e il 1865, il Congresso autorizzò il Freedmen’s Bureau, l’agenzia incaricata di aiutare l’inserimento nella società degli ex schiavi appena liberati, a creare scuole per promuovere l’alfabetizzazione degli afroamericani ai quali i padroni avevano fino ad allora impedito di ricevere un’istruzione per poterli asservire meglio. Fu, però, un’esperienza estremamente breve che si concluse con lo scioglimento del Freedmen’s Bureau dopo appena sette anni, nel 1872.
La successiva gestione dell’istruzione pubblica da parte dei soli Stati consentì, in quelli del Sud, la segregazione di studenti e studentesse afrodiscendenti fino al 1954, quando una sentenza della Corte Suprema impose l’integrazione delle scuole. L’esclusività delle prerogative statali nel campo dell’insegnamento permise anche l’elaborazione dei curricula scolastici in sede locale con esiti anacronistici.
Un esempio in proposito fu il divieto di insegnare l’evoluzionismo, perché contrario al creazionismo esposto nel Vecchio Testamento, negli Stati della cosiddetta Bible Belt, la regione dove il fondamentalismo evangelico protestante era maggiormente diffuso e più influente. Così, per esempio, nel 1925 a Dayton nel Tennessee, John T. Scopes, un insegnante di liceo, fu condannato perché aveva spiegato le teorie di Charles Darwin ai suoi studenti, violando una legge dello Stato che proibiva di parlare di evoluzione umana nelle scuole finanziate con fondi pubblici.
Quando, sotto la presidenza del repubblicano Dwight D. Eisenhower, nel 1953, fu riscontrata l’esigenza di una qualche presenza dell’amministrazione federale nel campo dell’istruzione, tale funzione non fu assegnata a un dicastero specifico, ma venne inserita all’interno di un più vasto Department of Health, Education, and Welfare, che – come previsto dalla sua denominazione – doveva occuparsi anche di sanità e assistenza in generale.
A dirigerlo fu nominata Oveta Culp Hobby, una texana magnate dell’editoria (la famiglia era proprietaria del quotidiano “Houston Post”) che aveva comandato i corpi ausiliari femminili durante la Seconda guerra mondiale ma era priva di un’adeguata esperienza in campo scolastico.
Soltanto nel 1980, in seguito alle pressioni del presidente democratico Jimmy Carter e vincendo la resistenza dei suoi membri repubblicani, il Congresso accettò di scorporare le mansioni dell’istruzione dal Department of Health, Education, and Welfare e di affidarle a un dicastero autonomo, appunto il Department of Education.
I compiti di quest’ultimo sono, comunque, rimasti limitati a quattro ambiti principali: la raccolta di dati sull’istruzione, la definizione di criteri per il finanziamento federale del sistema scolastico e universitario, la garanzia delle pari opportunità nell’accesso all’istruzione impedendo forme di discriminazione nonché l’elaborazione e la supervisione di progetti di possibili riforme nel settore della formazione.
I limiti operativi del dicastero dell’Istruzione
Il Department of Education non ha mai ottenuto il potere di definire curricula di studi a livello nazionale, in quanto la loro formulazione continua a restare una prerogativa dei singoli Stati. Non è, però, cessata l’opposizione del partito repubblicano.
I conservatori, infatti, hanno continuato a ritenere che, per il semplice fatto di esistere, il dicastero rappresenti un’ingerenza indebita e incostituzionale dell’amministrazione federale negli affari interni dei singoli Stati.
Il dipartimento era stato appena inaugurato il 4 maggio 1980 che già Ronald Reagan, in piena campagna per la Casa Bianca, dichiarò che lo avrebbe eliminato se fosse stato eletto presidente, sebbene poi non avesse potuto mantenere il proprio impegno dal momento che il partito democratico conservò la maggioranza alla Camera durante entrambi i suoi mandati.
Nel 1965 il democratico Lyndon B. Johnson era riuscito a ottenere dal Congresso una legge, l’Elementary and Secondary Education Act, per integrare con fondi federali le risorse a disposizione dei Board of Education (i provveditorati agli studi) nei distretti con un’elevata presenza di studenti e studentesse provenienti da famiglie a basso reddito.
Però, il repubblicano George H. Bush riuscì a far modificare il provvedimento nel 2001, in modo tale che i finanziamenti fossero subordinati al raggiungimento di alcuni punteggi minimi nel complesso dei test di fine ciclo scolastico, in mancanza dei quali le singole scuole avrebbero subito una serie di penalizzazioni: dal passaggio della loro gestione a società private fino alla chiusura.
Questa norma fu rivista solo parzialmente durante l’amministrazione del democratico Barack Obama, quando gli Stati ottennero maggiore autonomia nello stabilire i risultati da conseguire e i correttivi da adottare nel caso del loro mancato ottenimento.
Istruzione pubblica e “guerre culturali”
Poiché concorre istituzionalmente alla formazione dei cittadini statunitensi, il Department of Education è stato ripetutamente preso di mira da Trump e dai sostenitori del tycoon. Infatti, fino dalla campagna elettorale del 2016, al dicastero è stato imputato di aver favorito la diffusione dell’ideologia woke (cioè lo stare all’erta per prevenire e denunciare pregiudizi e discriminazioni a danno delle minoranze), delle teorie sul gender e delle interpretazioni sul razzismo sistemico (che sostengono come perfino leggi e istituzioni apparentemente egualitarie finirebbero per perpetrare la supremazia dei bianchi), una serie di dottrine che, prese nel loro complesso o singolarmente, secondo i repubblicani, servirebbero a plagiare gli americani e a trasformarli in votanti democratici.
Quindi, nel destino del Department of Education, la volontà di assicurare un adeguato seguito al partito repubblicano è accompagnata soprattutto dal desiderio di plasmare la percezione delle future generazioni riguardo alla natura della società statunitense, sostituendo l’idea che l’inclusione costituisca una risorsa della nazione con la convinzione che rappresenti invece un problema e un difetto. Il dicastero è così diventato un campo di battaglia delle “guerre culturali”, il conflitto di valori tra la tradizione conservatrice e la visione progressista che negli ultimi anni ha spaccato gli Stati Uniti.
La questione degli eccessi ai quali possa condurre la fine della supervisione operata dal Department of Education negli Stati amministrati dai conservatori ha avuto un’anticipazione esemplificativa nella Florida, dove il governatore repubblicano Ron DeSantis ha promulgato una legge che vieta agli insegnanti di discutere di orientamento sessuale e di identità di genere nelle scuole elementari. DeSantis avrebbe voluto anche proibire ai docenti di parlare di razzismo sistemico, ma la misura è stata ritenuta incostituzionale da un tribunale in quanto si sarebbe configurata come una violazione della libertà di espressione.
La centralità del Department of Education nelle “guerre culturali” si è accentuata dopo che il dicastero è stato pure accusato di non avere adottato provvedimenti nei confronti delle università che ricevono fondi federali e che non avrebbero saputo scongiurare gli episodi di antisemitismo in coincidenza con le manifestazioni a sostegno della Palestina svoltesi nei campus accademici soprattutto nella primavera dello scorso anno.
L’unico terreno sul quale Trump appare voler mantenere operativo il Department of Education, almeno per il momento, sembrerebbe quello di tagliare i finanziamenti federali ai provveditorati che continuano ad attuare programmi di valorizzazione della diversità, garanzia di equità ed educazione all’inclusione, contravvenendo a quanto disposto dalla sua presidenza.
Sono in pericolo anche i fondi per una decina di prestigiosi atenei, tra cui la Columbia University e la Harvard University, che non avrebbero contrastato l’antisemitismo e fornito adeguata protezione agli studenti ebrei. In proposito McMahon ha dichiarato che, pur incarnando il sogno americano, Harvard avrebbe messo a repentaglio la propria reputazione promuovendo “ideologie divisive”, un riferimento che pare andare oltre la condanna dell’antisemitismo per sconfinare nell’implicito suggerimento di mettere limiti alla libertà dell’insegnamento.
Per la sola Harvard sono in gioco circa 8,7 miliardi di dollari di sovvenzioni e contratti con il governo, destinati soprattutto alla ricerca.
Problemi pratici per studenti e studentesse svantaggiati
La sopravvivenza o meno del Department of Education non ha solo implicazioni ideologiche. Riguarda anche problemi pratici. Il principale scaturisce dal fatto che il dicastero sovrintende all’accesso all’istruzione di oltre sette milioni di studenti e studentesse con disabilità e bisogni educativi speciali che frequentano le scuole pubbliche, fornendo ai singoli Stati i finanziamenti (14 miliardi di dollari nel 2023) che permettono di assumere insegnanti di sostegno e specialisti per definire piani didattici personalizzati.
Trump ha assicurato che la gestione di queste funzioni verrà trasferita al Department of Health and Human Services (il dicastero equivalente al Ministero della Salute italiano), ma non ha precisato con quali modalità. Anche in questo caso, il presidente sembra non avere tenuto conto che questo passaggio sarebbe possibile solo in base a una modifica dell’Individuals with Disabilities Education Act, cioè con un cambiamento della legislazione vigente che ancora una volta è di competenza del Congresso e non della Casa Bianca.
A rendere il futuro dell’impiego di tali fondi ancora più incerto è la constatazione che il Project 2025 si propone di trasformare tali stanziamenti in sovvenzioni senza vincoli di impiego per gli Stati che li ricevono. In altre parole, le amministrazioni statali assegnatarie potrebbero utilizzare i finanziamenti per finalità nel campo dell’istruzione differenti dalla formazione dei disabili nelle scuole pubbliche. Una sorte analoga, per le medesime implicazioni legislative, rischiano di subire le risorse (18 miliardi di dollari nel 2023) destinate ai Board of Education dei distretti economicamente disagiati.
Il futuro incerto dell’istruzione pubblica
Sulla falsariga del Project 2025 l’obiettivo ultimo di Trump va ben al di là della devoluzione delle competenze in materia di istruzione pubblica agli Stati. La direttiva del 20 marzo stabilisce anche di convogliare i fondi residui del Department of Education sugli school choice program, letteralmente i programmi di scelta scolastica, un eufemismo che indica la possibilità per i genitori di utilizzare il corrispettivo degli stanziamenti federali destinati allo Stato in cui risiedono per l’istruzione dei propri figli nella forma di voucher da spendere per iscriverli a istituti privati.
Sono 33, su un totale di 50, gli Stati dell’Unione che oggi prevedono programmi di questo genere e, più di un terzo, cioè 12, non impongono restrizioni di reddito per accedervi. In altre parole, perfino le famiglie benestanti possono usare i fondi per l’istruzione pubblica al fine di pagare in toto o in parte, a secondo del costo, le rette per la frequenza dei figli a scuole private.
Nell’anno scolastico 2023-2024, l’ultimo svoltosi interamente sotto l’amministrazione del democratico Joe Biden, quando erano solo otto gli Stati che finanziavano la frequenza alle scuole private con fondi pubblici a prescindere dal reddito, furono quasi 570.000 gli studenti ad avvalersi di questi incentivi per una spesa complessiva di circa 4 miliardi di dollari.
È possibile che proprio in questa direzione vengano indirizzati gli aiuti agli Stati per gli studenti e le studentesse con bisogni speciali nonché per i provveditorati di aree con povertà diffusa, nel caso in cui fossero convertiti – come auspicato dal Project 2025 – in sovvenzioni senza vincoli di impiego. In prospettiva, dunque, la politica di Trump mette a rischio la sopravvivenza stessa dell’istruzione pubblica.
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STEFANO LUCONI insegna Storia degli Stati Uniti d’America nel dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova. Le sue pubblicazioni comprendono La “nazione indispensabile”. Storia degli Stati Uniti dalle origini a Trump (2020), Le istituzioni statunitensi dalla stesura della Costituzione a Biden, 1787–2022 (2022), L’anima nera degli Stati Uniti. Gli afro-americani e il difficile cammino verso l’eguaglianza, 1619–2023 (2023). La corsa alla Casa Bianca 2024. L’elezione del presidente degli Stati Uniti dalle primarie a oltre il voto del 5 novembre (2024).