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Usa, sciopero in 36 porti: timori per un aumento dei prezzi. Ripercussioni anche nel Mediterraneo e in Italia

Pixabay

I porti sono un fattore chiave per far girare le economie del mondo. Sono ancora ben limpidi i ricordi dei problemi creati alle catene di approvvigionamento internazionali dagli attacchi dei miliziani Houthi nel Mar Rosso, senza contare l’imbuto delle forniture creatosi nel post Covid. Ora a sollevare timori per il commercio internazionale è lo sciopero indetto in ben 36 porti negli Stati Uniti, portando ripercussioni anche nei commerci del Mediterraneo, Italia compresa considerando che gli Usa sono il primo partner commerciale dell’Italia fuori dall’Europa.

Stimate perdite fino quasi 5 miliardi di dollari al giorno

Da ieri primo ottobre sono in sciopero i lavoratori di ben 36 porti situati tra la costa orientale e il Golfo del Messico. L’astensione dal lavoro, il primo dal 1977 e a poco più di un mese dalle presidenziali Usa, è stata proclamata dall’International longshoremen’s association (Ila), coinvolge circa 45mila addetti e paralizzerà le attività di scali in grado di movimentare tra il 40 e il 50% dei volumi di tutti i porti statunitensi. Le perdite di volume in un mese, potrebbero raggiungere i 2 milioni di contenitore, con perdite giornaliere che Jp Morgan stima tra i 3,8 e i 4,5 miliardi di dollari.

Problemi sulle forniture graveranno sui prezzi. Gli occhi di Fed e Bce

In base alla durata della mobilitazione si vedrà la portata dell’impatto sulle catene di fornitura a livello globale con la conseguente carenza di beni di consumo e industriali e un aumento dei prezzi: la situazione è monitorata anche da Fed e Bce che sono alle prese con il controllo dell’inflazione. Uno sciopero di una settimana potrebbe avere conseguenze per un mese nello smaltimento delle merci accumulate, quindi uno stop prolungato rischia di avere effetti ancora più pesanti. “Siamo pronti a combattere per il tempo necessario, a scioperare per quanto serve”, ha assicurato il leader della Ila, Harold Daggett, che spera di ottenere gli stessi successi incassati di recente dal sindacato dei metalmeccanici United Auto Workers. Poco prima di indire lo sciopero, i portuali hanno respinto un’offerta con un aumento del 50% di stipendio in sei anni, ritenendola inadeguata: il sindacato chiedeva infatti un aumento del 77% solo per sedersi al tavolo delle trattative. Il Presidente uscente Joe Biden ha già dichiarato di non voler intervenire per fermare la protesta.

I porti e i prodotti coinvolti

I porti coinvolti includono quelli di New York e del New Jersey, il terzo più grande della nazione per volume di merci movimentate, ma comprende anche altri porti come quello di Wilmington nel Delaware che, per esempio, sono centrali per alcuni prodotti come le banane. Conseguenze anche su altri prodotti come vino e birra, ma anche su altre materie prime utilizzate dai produttori alimentari statunitensi, come il cacao e lo zucchero, così come sul settore dei mobili e degli elettrodomestici.

I problemi del Mediterraneo e del porto di Genova

“Con lo sciopero, ogni settimana, si stima che, a livello mondiale, saranno circa 500mila i contenitori che non potranno sbarcare o raggiungere le destinazioni finali. Un danno gravissimo all’economia Usa, ai suoi consumatori, ma anche agli esportatori, che certamente vedranno lievitare il costo dei noli già nelle prossime settimane” dice Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto, l’associazione degli spedizionieri di Genova. Anche i porti del Mediterraneo, secondo Spediporto, subiranno pesanti ripercussioni: “sono a rischio, ogni settimana circa 71mila contenitori, in ambo le direzioni, sull’asse con la costa orientale degli Stati Uniti”. Paese che, per il porto di Genova, “rappresenta un riferimento imprescindibile: gli ultimi dati disponibili da parte dell’Autorità di sistema portuale, riferiti al 2022, parlano di 336mila contenitori movimentati tra imbarco e sbarco. Una cifra superiore a quella legata, ad esempio, a tutte le destinazioni europee”. Secondo il presidente di Assarmatori, Stefano Messina, “a essere maggiormente colpito sarà l’export, dal momento che gli Usa sono i principali destinatari del made in Italy, al di fuori dell’Unione europea, e il secondo Paese in assoluto, dopo la Germania.

Le alternative: i porti del West Coast o del Canada o l’aereo cargo

Per cercare di arginare i problemi gli spedizionieri stannoo cercando di trovare delle alternzate ai trasporti. “Una soluzione alternativa, la più gettonata al momento, è quella relativa all’utilizzo dei porti della West Coast o del Canada, ma gli operatori stanno puntando anche sul cargo aereo e su una più accurata gestione delle scorte, per evitare interruzioni nella catena di approvvigionamento”.

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