Benchè sia stato declassato (al momento dell’arrivo sulle coste Usa) da uragano a tempesta tropicale e abbia fortunamente causato molte meno vittime per esempio di Katrina (in quel caso furono quasi 2mila), Sandy passerà alle cronache come il secondo disastro naturale più dannoso in termini economici della storia degli Stati Uniti, secondo solo all’uragano di categoria 3 (in una scala da 1 a 5) che si abbattè sulle cose della Lousiana nel 2005.
Dopo il temuto passaggio sulla città di New York, e un bilancio di vittime al momento fermo a 17, la stima dei danni è passata dai 10-20 miliardi di dollari inizialmente calcolati a una cifra che potrebbe raggiungere i 35-45 miliardi, secondo la Smith School of Business dell’università del Maryland: meno della metà di quanto provocato da Katrina (108 miliardi) ma ben di più di Ike (2008, 29,5 miliardi), Andrew (1992, 26,5 miliardi) e Wilma (2005, 21 miliardi).
L’area colpita, quella intorno al New Jersey, è una delle più popolate del Nordamerica e produce da sola il 25% dell’economia statunitense. Senza contare anche la presenza di due centrali nucleari, in particolare quella di Oyster Creek che fa capo al gruppo Exelon, dove vige ancora la massima allerta (allarme a livello 2 su 4) a causa delle inondazioni che potrebbero danneggiare il sistema di drenaggio del reattore.
Il danno economico si è anche verificato sui mercati finanziari: Sandy ha infatti costretto Wall Street a restare chiusa sia nella giornata di lunedì sia in quella di martedì. Una circostanza, come ha ricordato Bloomberg, che non accadeva oltre un secolo. Ma non è solo la Borsa ad essere stata colpita: a New York e nel suo Stato sono ancora più di un milione le persone senza energia elettrica, oltre a molte aziende e all’intera rete metropolitana, che tornerà a funzionare solo nel fine settimana così come gli aeroporti, al momento ancora chiusi.
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