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Usa, la politica americana è incomprensibile come l’Ulisse di Joyce per il New York Times

In questo intervento sul NYT, Maureen Dowd collega il caos linguistico dell’Ulisse di Joyce con lo strampalato discorso che troneggia nelle istanze più alte della politica americana

Usa, la politica americana è incomprensibile come l’Ulisse di Joyce per il New York Times

Vi abbiamo già presentato su FIRSTonline Maureen Dowd, una delle opinioniste più influenti e più argutamente corrosive del “New York Times”. Come Thomas Friedman, un altro commentatore di punta del quotidiano di New York, riesce a collegare l’immaginabile per creare delle sintesi illuminanti che gettano luce su aspetti molto complicati del mondo attuale e della politica contemporanea.

In questo intervento la Dowd connette il caos linguistico dell’Ulisse di Joyce (di cui quest’anno ricorrono i 100 anni dalla pubblicazione) con lo strampalato discorso che troneggia nelle istanze più alte della politica americana. Non foss’altro per capire come riesce a tira fuori questi parallelismi, il ragionamento della giornalista di New York merita una certa attenzione. Ecco in versione italiana uno dei suoi più recenti interventi sul New York Times.

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La commozione cerebrale dell’Ulisse di Joyce

Ero su un Uber a Broadway quando improvvisamente il mondo ha cominciato a ruotare intorno a me.

Un furgone aveva speronato l’Uber.

Ne sono uscita stordita, ma ero ben decisa a non perdere il primo giorno di lezione del semestre alla Columbia University, dove sto studiando per un master in letteratura inglese.

Ho dato i miei recapiti all’autista e sono corsa a lezione. Quando sono arrivata, ho respirato lentamente per capire che cosa mi ero fatta. Il cervello funzionava bene?

Mah, le parole del libro davanti a me scorrevano in modo incomprensibile.

“Ineluttabile modalità del visibile”.

“Limite del diafano in. Perché in? Diafano, adiafano”. (J. Joyce, Ulisse, trad. it. Mario Biondi, La nave di Teseo, p. 59).

“Dilettazione morosa lo chiama il panzone Aquinate, frate porcospino. L’Adamo non ancora caduto montava, ma senza fregola. Berci pure: sei ben messa assai di quarti. Linguaggio nient’affatto peggiore del suo. Parole di monaci, grani di rosario gli borbottano sul cordone; parole di malavitosi, toste pepite gli ticchettano in tasca. (Ivi, pp. 70-71)

Mi ero fatta una commozione cerebrale, o stavo semplicemente leggendo l’Ulisse?

In questo centenario del colosso di James Joyce, ci sta a pennello una poesia di W.B. Yeats dal titolo “Il fascino del difficile”: l’Ulisse è difficile perché è grande, o la gente suppone che sia grande perché è difficile?

“È difficile perché Joyce ci ha messo dentro un mondo”, mi ha detto Dan Mulhall, l’ambasciatore irlandese a Washington. “Molte persone sono attratte dal romanzo per la sua complessità e ricevono una soddisfazione che dura tutta la vita dall’esplorarlo in profondità. È come Wordle per i giocatori seri”.

Compagno di viaggio

L’ambasciatore Mulhall ha adottato Ulisse come suo compagno di viaggio e l’usa in giro per il mondo per la diplomazia creativa. Ha postato tutti e 18 gli episodi sul sito web dell’ambasciata, e ha commemorato il centenario dell’opera con un nuovo libro dal titolo Ulysses: A Reader’s Odyssey.

Il contenuto epico dell’opera quello di “Seinfeld” (su Netflix), perché al pari della celebrata sitcom, nel romanzo non succede molto. Certamente non ha l’azione de L’Odissea, sulla quale è modellato. Vanta, però, come ha scritto Merve Emre sul New Yorker, “una cultura letteraria che ha del divino nella sua estensione”.

Colm Toibin, il famoso scrittore irlandese che insegna nel mio corso, ha scritto sul “Financial Times” a proposito del libro: “Per il lettore comune, ha lo stesso significato che la maratona ha per l’atleta non professionista. È una sfida e poi, per chi riesce a portarla a termine, un fatto di cui andare orgogliosi”. Ha poi aggiunto:

“Ulisse, in tutta la sua abbondanza di stile, la sua pienezza, l’aperta sensualità dei suoi personaggi, la mancanza di accettazione e di rispetto dell’autorità, il suo mettere al centro un ebreo cosmopolita e libero pensatore, può essere letto come un contributo alla causa irlandese e il tono generale del libro come una sorta di progetto della vita irlandese dopo l’indipendenza”.

Piccoli momenti, ha detto Toibin, “scintillano e luccicano” nella scia del volo travolgente del linguaggio di Joyce.

Ho comprato una copia di Ulisse a Dublino molto tempo fa. Ma finora non avevo mai raccolto la le forze per leggere quella storia di amore, di desiderio e di disconnessione che si dispiega a Dublino in un solo giorno, il 16 giugno 1904 – con i flussi di coscienza intrecciati di Stephen Dedalus, Molly e Leopold Bloom.

I pastrocchi di Washington

Si potrebbe pensare che io sia abituata a decifrare l’incomprensibile dopo gli ultimi cinque anni a Washington.

I discorsi squinternati di Donald Trump. Lo zigzagare scriteriato di Kevin McCarthy [leader dei repubblicani alla Camera dei rappresentanti). L’inanità di Marjorie Taylor Greene, che accusa Nancy Pelosi di aver sguinzagliato la sua “polizia del gazpacho” contro i legislatori [confusione tra gazpacho e Gestapo].

In questo tempo di pastrocchi gergali ha anche il Comitato Nazionale Repubblicano c’ha messo del sale: ha chiamato il barbaro attacco al Campidoglio “un’azione politica legittima”. Una dichiarazione così oltraggiosa che Mitt Romney  ha dovuto strigliare la presidente del Comitato, la nipote Ronna Romney McDaniel. Ad esclusione di Liz Cheney e Adam Kinzinger, la maggior parte delle cose che fanno i repubblicani sono spinte dalla pusillanimità; i repubblicano hanno un tale terrore dei trumpisti che sostengono i vandali che hanno cercato di trasformare un’azione illegittima in un’azione legittima. Vergognoso.

La pazzia in tempo reale

E ci sono pure le indecifrabili regole del governo sul Covid – cristallizzate nella sconsiderata immagine di Stacey Abrams (candidata del partito democratico a governatore della Georgia) che sì e fatta fotografare seduta e sorridente, senza mascherina, circondata da scolari con la mascherina.

Ora come ora l’unica cosa che può salvare il presidente Biden e i democratici è lo sfilacciamento e il deragliamento dei repubblicani. Si sa che quando Mitch McConnell spinge il suo partito oltre le colonne d’Ercole, molti repubblicani vanno fuori di testa. McConnell ha bisogno di far vincere i suoi candidati negli stati che Biden ha conquistato, come il New Hampshire e la Pennsylvania. Questo non sarà facile, dato che stiamo vedendo in tempo reale la perdita di senno di un partito. “I loro quarti non sono assai ben messi” (Ivi, p. 70).

L’ultima seccatuta per Trump è venuta da Axios [un sito di news] che ha riferito che Maggie Haberman del “Times” scrive nel suo nuovo libro, “Confidence Man”, che i membri dello staff della Casa Bianca avevano trovato in un wc delle carte appallottolate, presumibilmente, da Trump. Sembra che l’ex presidente abbia una fissa per le stanze da bagno. (H.G. Wells dice che Joyce, molto esplicito sulle funzioni corporali, aveva “un’ossessione cloacale”).

Nixon usava gli sturabagni. Trump era uno che ne aveva bisogno.

Stephen Dedalus, l’alter ego di Joyce, cattura la nostra incomprensibile politica in un commento che brilla più luminoso che mai: “La storia è un incubo da cui sto cercando di svegliarmi”. (Ivi, p. 54).

Fonte: Maureen Dowd su The New York Times, 12 febbraio 2022.

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