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Usa: il paradosso della Fed sullo stop ai tassi e la debolezza della crescita

La Federal Reserve ha annnunciato ieri sera che manterrà i tassi d’interesse a breve termine vicino allo zero fino al 2013. E’ come se avesse annunciato che l’economia americana resterà debole fino al 2013. Non è il tipo di discorsi che ci aspetta da una delle istituzioni più potenti del mondo, eppure Ben Bernanke ha deciso di legarsi le mani pur di far riprendere fiato alla crescita del suo Paese.

L’economia americana è cresciuta meno del previsto nel primo semestre (+0,8% del Pil) e la Fed ha dichiarato che continuerà a essere debole nel resto del 2011. A peggiorare la situazione c’è stato lo scompiglio nei mercati, con il downgrade di Standard & Poor’s e il Dow Jones che ha visto il suo giorno peggiore dal dicembre 2008. Ma Bernanke si è mostrato più che determinato a trovare una soluzione per risollevare l’economia americana e, oltre i mercati, ha dimostrato di avere a cuore l’economia reale.

Con l’annuncio di ieri il Presidente della Fed ha praticamente detto quando finirà questo periodo di depressione. Dichiarando che i tassi a breve si manterranno intorno allo zero fino al 2013 la politica monetaria gioca con le aspettative e le posticipa. In poche parole è come se avesse detto “fino al 2013 non aspettatevi cambiamenti”. Inoltre poiché i tassi di interesse a lungo termine non sono altro che la iterazione di molti tassi a breve, questa mossa permetterà alla Fed di mantere basso il costo del denaro a lungo termine. Quindi diminuire i costi per prendere in prestito denaro. Attrarre investitori e stimolare la crescita. Gli Usa dovrebbero crescere a un tasso compreso tra il 4 e il 5% per far fronte alla disoccupazione (al 9%) e al deficit di bilancio (pari al 10% del Pil). Ma con questa soluzione la politica monetaria non potrà più cambiare nei prossimi due anni, Bernanke ha talmente poche opzioni adesso per offrire stimoli che Jp Morgan le ha definite “ridicole”. Quindi, con le mani legate, Bernanke dovrà essere più creativo.

Una delle politiche che si potrebbe mettere in atto a breve è quella basata su un’altra tornata di quantitative easing, ovvero l’emissione di moneta per comprare obbligazioni e titoli a lungo termine che non hanno effetti sui tassi d’interesse. C’è chi sostiene che a questa politica si debba ricorrere solo per risolvere situazioni di trappola di liquidità e che non è la mancanza di capitali il problema in questo momento. Ma c’è anche chi pensa che avrebbe potuto metterla in atto da subito e che mantenere i tassi vicino allo zero sia una strategia per distruggere moneta e non pagare il debito. 

Rimane tuttavia il problema dell’inflazione. Tre membri su dieci dell’Open Market Committee hanno votato contro al congelamento dei tassi, opponendosi a una politica monetaria che rischia di far aumentare troppo l’inflazione e di generare una bolla come quella immobiliare alla base della crisi finanziaria. La decisione di mantenere bassi i tassi d’interesse non è stata presa all’unanimità. E non succedeva da 20 anni. Sarà l’inizio di una nuova era in cui peserà la maggioranza e i pochi preoccupati dell’inflazione verranno lasciati in disparte? Già si dice che in futuro le voci dei tre dissidenti siano destinate a non essere prese in considerazione come un tempo.

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