Otto giorni al D-Day. La data segnata in rosso, sul calendario degli Stati Uniti, è il prossimo 17 ottobre. Se per quel giorno il Congresso non avrà votato la legge sul debito gli Usa si ritroveranno insolventi, aprendo le porte a una crisi di cui lo shutdown rischia di essere solo l’antipasto. Una recessione che, secondo alcuni, potrebbe essere peggiore di quella del 2008.
Le conseguenze della chiusura dei servizi federali non essenziali sono state limitate, o comunque recintabili: il Congresso ha varato una legge che permetterà il pagamento retroattivo dei lavoratori rimasti a spasso e l’atteso scossone dei mercati non è arrivato. Le Borse continuano a mostrare un cauto ottimismo, mentre la curva di crescita del Pil non ha subito flessioni apprezzabili.
Le conseguenze del mancato innalzamento del tetto debito sarebbero invece fatali. Il debt ceiling, introdotto ai tempi della prima guerra mondiale, è fissato a 17.600 miliardi di dollari. La soglia indica la quantità massima di denaro che lo Stato può prendere in prestito per onorare gli impegni finanziari approvati dal Congresso e in teoria sarebbe stata già varcata lo scorso maggio. Da allora il Tesoro ha lavorato di fino, varando misure eccezionali per allungare la coperta. Fino al 17 ottobre. Quel giorno, se il tetto non sarà innalzato, l’America, stando al segretario al Tesoro Jack Lew “non avrà più soldi per onorare i pagamenti”.
La crisi ha una ragione politica. Lo stallo messicano tra democratici e repubblicani – che si tengono sotto tiro senza sparare, mentre i mercati prendono la mira – si muove intorno all’Obamacare. Ancora una volta la riforma sanitaria voluta da Barack Obama è la miccia che accende le posizioni più intransigenti dei due gruppi. Al ricatto dei repubblicani – “o si definanzia la riforma oppure non votiamo la legge di bilancio” – i democratici oppongono una fermezza uguale e contraria, rifiutando le negoziazioni.
Si va verso il disastro, quindi, verso quella che Warren Buffet ha definito una “bomba nucleare”. Esplodendo, il rischio default, lascerebbe dietro di sè soltanto macerie: l’eventualità di un nuovo downgrade, dopo quello subito nel 2011 in situazioni analoghe, e la crisi dei mercati, mentre cresce il nervosismo dei creditori stranieri e l’America prova ad interrogarsi su una crisi che, stavolta, più che congiunturale sembra sistemica.